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Ma non c'è niente di strano e di nuovo, in tutto ciò: c'est la guerre. La guerra entra nelle menti, prima che nella vita vera. E ci si abitua a non sapere le cose - noi italiani, poi, abbiamo una lunga abitudine a non saperle neanche in tempo di pace - a considerare normale stare col fiato sospeso ora per questo ora per quello, ai ritratti appesi ai muri, alla manipolazione delle emozioni. E allora la vicenda di Rahmatulah forse riflette soprattutto i vizi nazionali, a cominciare dal pressapochismo e dalla lacrime di coccodrillo, per finire però anche alla stessa impulsività di Gino Strada. Che a me piace, che immagino sia uno dei suoi punti di forza sull'agire, ma che in questi casi forse non fa bene a nessuno. E con ciò non voglio dire che abbia torto, ovviamente, nè che ci siano responsabilità sue in tutto ciò, di nessun tipo.
A quanto dice Peacereporter riportando le testimonianze di chi lavora con Hanefi, il governo di Kabul ha semplicemente approfittato di un'occasione per togliere di mezzo un connazionale scomodo, che non guardava in faccia a nessuno: è abbastanza credibile e abbastanza semplice perchè, in tempo di guerra, sembri sospetto e misterioso.
Non c'è gran che da aggiungere, solo una chicca: oggi, su Repubblica. it, un pezzo commentava il ritorno a casa dei turisti italiani che - oh, quanto eravamo in ansia per loro - erano bloccati da due giorni in un aeroporto delle Maldive per un guasto ai due aerei delle compagnia. Il titolo era "Fine di un incubo".
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