Kurt Vonnegut è morto. Già da ieri, in realtà, e la notizia è subito slittata in fondo ai media. Aveva 84 anni e, sebbene fosse considerato giustamente uno dei più grandi scrittori americani, non era certo un idolo del reality-show.
Del resto, lui non era troppo dispiaciuto di doversene andare, prima o poi. Infatti, voleva fare causa alla ditta produttrice delle Pall Mall: "Da quando avevo solo dodici anni, ho fumato come un turco sempre soltanto Pall Mall senza filtro. E da diversi anni, ormai - c'è scritto proprio sul pacchetto - la Brown & Williamson ha promesso di ammazzarmi.
Ma ho ottantadue anni. Mille grazie, luridi bastardi. L'ultima cosa al mondo che avrei mai desiderato è essere ancora in vita nel momento in cui le tre persone più potenti del pianeta si chiamano Bush, Dick e Colon." Per chiunque non sia edotto nel gergale americano, Buh equivale a "figa", dick come si sa a "cazzo" e colon è una forzatura del Nostro per colin. La battuta è greve, l'umorismo macabro: ma Vonnegut aveva, tra i suoi tanti pregi, quello di non aver paura di fare la figura dello scemo. O del pazzo. Chè un bel po' fuori di testa lo era, sì. Ma forse si è portati a cosiderarlo così perchè ciò che cercava lui, come spesso ha dichiarato, era semplicemente la Verità. Aveva cominciato col massacro di Dresda, denunciando al mondo l'assoluta inutilità, e crudeltà, del bombardamento inglese che rase al suolo la città tedesca: era la fine della seconda guerra mondiale, Vonnegut era là come prigioniero. E sopravvisse, uno fra i pochissimi, e raccontò: quindici anni dopo, nel 1968, decise che era "abbastanza maturo" per raccontare quell'"atto di distruzione assurdo, insensato" che uccise 135.000 persone in una sola notte, quasi tutti civili, con bombe incendiarie. E fu così onesto da riconoscere, a posteriori, che era stata anche l'opposizione alla guerra nel Vietnam a dargli la spinta per scriverne: "finalmente potevamo parlare di qualcosa di qualcosa di cattivo che avevamo fatto noi ai peggiori cattivi che si possano immaginare, i nazisti." , chè la guerra del Vietnam aveva dimostrato quanto la politica Usa e dei suoi alleati fosse "qualcosa di raffazzonato, ed essenzialmente stupido".
Alla Verità, in ogni caso, Vonnegut nei suoi romanzi ci arriva in un modo talmente assurdo che provare a raccontarne uno è come provare a descrivere un quadro di Bosch: proprio per questo vale la pena di leggerli, se non altro come una delle migliori dimostrazioni di quello che può fare un'intelligenza divergente. Tanto divergente che Vonnegut fu per anni considerato uno scrittore di fantascienza, senza nessun motivo al mondo: " non ci tenevo affatto ad essere etichettato così, e mi chiedevo cosa avevo fatto di male per non vedermi riconosciuto come scrittore serio." Ma, come diceva anche un'altra scrittrice, Ursula Le Guin, quando l'editoria non sapeva in che categoria mettere uno scrittore lo infilava nella fantascienza. E indubbiamente Vonnegut ha continuato a sfuggire ad ogni classificazione: non a caso, faceva parte della Società degli Umanisti, come già Asimov.
A proposito del quale, nella commemorazione tenuta alla Società dopo la sua morte, Vonnegut pronunciò solennemente (cito a memoria, chè il nanetto è indimenticabile): "Il nostro amico Isaac, che ora ci guarda dall'alto dei cieli..." e qui fece una piccola pausa, per permettere a tutta la platea di scoppiare in un fragorosa risata. Quale migliore commemorazione per un ateo, per un estimatore della ragione e delle qualità umane?
Ma a Vonnegut sono anche debitrice di una semplice, eppur grandiosa, intuizione sul matrimonio e la vita di coppia, anche se purtroppo non me la ricordo tutte le volte che dovrei. Secondo lui, ciò che vogliono le donne è "un sacco di gente con cui parlare. E di cosa vogliono parlare? Vogliono parlare di tutto." E gli uomini? "Gli uomini vogliono un sacco di amici, e vorrebbero che la gente non se la prendesse così tanto con loro." Sembra una riflessione banale, invece secondo me è sottile, e sinteticamente veritiera. Perciò Vonnegut era un convinto sostenitore delle famiglie allargate e ne deprecava la scomparsa: < In realtà ci sono degli americani, ma molto pochi, che hanno ancora famiglie allargate. I Navajo. I Kennedy.
Ma quasi tutti, al giorno d'oggi, se si sposano, vanno a rappresentare una singola persona in più per l'altra persona. Lo sposo si ritrova un amico in più, ma è una donna. La donna si ritrova una persona in più con cui parlare di tutto, ma è un uomo.
A giorno d'oggi, quando un uomo e una donna litigano, possono pensare che sia una questione di soldi, di potere, di sesso, di educazione dei figli, o cose del genere. Ma in verità quello che si stanno dicendo, senza rendersene conto, è " Tu non sei abbastanza persone!" >
E infine, un pensiero di Vonnegut dedicato all'amicae. e a tutti quelli che , come me del resto, si ostinano a pensare che nella vita ci debba essere un fine: "Gli esseri umani sono animali fatti per danzare. Quant'è bello alzarsi, uscire di casa e fare qualcosa. Siamo qui sulla terra per andare in giro a cazzeggiare. Non date retta chi dice altrimenti."
Non si può dargli torto, guardando i risultati del suo cazzeggio: Kurt Vonnegut è passato sulla terra con passo leggero, lasciando impronte profonde.
E quindi la comune-ty mi perdonerà questo lunghissimo post, che spero invogli chi non lo ha ancora fatto a leggere i libri di Vonnegut: ma, anche a prescindere, ci sono vite che meritano se ne parli.
venerdì, aprile 13, 2007
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