mercoledì, marzo 31, 2010

ALLE FRONDE DEI SALICI, AGAIN.


Il brutto è l'effetto che ci fa, a noi bloggers di sinistra. Che prima delle elezioni siamo pimpanti e compresi e tosti: disincantati, disillusi, perfino cinici, ma insomma si vede che un filo di speranza c'è. Che, senza avere il coraggio di confessare la propria ingenuità, un pochino ci speriamo, di svegliarci al mattino del lunedì e, cazzo, abbiamo vinto noi. Maddài, non sembrava fino a ieri sera, neh? E neanche siamo "noi", non dimentichiamocelo, ma insomma almeno non sono loro. Ecco, diciamo che hanno perso loro. Perso davvero, mica discorsi. Sai che soddisfa? Svegliarsi il lunedì e abbiamo tutte le regioni, tutte le province, tutti i comuni. Ma anche mica tutti, diciamo che ne abbiamo tanti. Basterebbe, sarebbe bastato.

Invece no. Qui siamo salvi, è vero. Ma anche questa volta, come da troppo tempo a questa parte, man mano che escono i risultati ci incupiamo. Ci incazziamo. Siamo increduli, soprattutto. Eppure. Il silenzio cala sui nostri blog, l'afasia ci ha colpito ancora una volta.
A costo di ripetermi, e come potevamo noi cantare?

sabato, marzo 27, 2010

APPELLO



Vorrei, a volte, vivere in un Paese normale. A dir la verità, quasi sempre. Ma a volte di più.
Un Paese dove, per esempio, si possa organizzare la domenica contemplando l'ipotesi di non andare a votare: se facciamo tardi tornando, se abbiamo voglia di dormire, se stiamo in vacanza un giorno di più, ecco, vabbe', magari non ci andiamo. Non è tanto una bella cosa ma, via, si può fare.
Vorrei vivere in un Paese in cui andare a votare è un gesto di normale democrazia, non il gesto che può fare la differenza per la democrazia.
Vorrei vivere in un Paese in cui "emergenza democratica" sia un termine sconosciuto, incomprensibile.
Vorrei vivere in un Paese in cui perfino i peggiori xenofobi, polizieschi e corrotti reazionari rispettano le strutture della democrazia - che, non dimentichiamolo, è la "loro" democrazia, non quella che piacerebbe a noi, ma almeno...
Vorrei vivere in un Paese in cui le bombe prima delle elezioni sono una preoccupante anomalia.
Vorrei vivere in un Paese in cui far politica possa essere una scelta come un'altra, una strada fra le tante, e non l'obbligo morale di opporsi alla barbarie più nera.
Vorrei vivere in un Paese in cui non si possono assumere cinquecento persone con metodi clientelari, nè offendere gli avversari politici in base al loro aspetto fisico, nè pretendere ringraziamenti per aver costruito una casa a un terremotato, nè sottrarsi ai processi, nè falsare leggi e regole, nè... ok, avete capito.
Magari pensate che quel Paese non c'è. Neanch'io sono sicura che ce ne sia uno che assomma queste piccole virtù, tutte insieme.
Ma a noi ci tocca quello che assomma la mancanza di tutte queste virtù, più la mancanza di altre ancora, e quante.
E solo a pensare a quel sorriso di denti falsi (no, non lo troverete sul mio blog, giammai) dopo le elezioni, mi viene male. Mi vien da dirvi che, piuttosto che niente, vi
abbraccerei anche se votaste Casini (ma attenti a non fare confusione, che il Signor Banderuola sta un po' di qua e un po' di là)
Poi mi riscuoto: no, non vi abbraccerei.
Ma un mezzo sorriso potrei farvelo: non importa se i gatti sono bianchi o neri, l'importante è che prendano i topi.
Caro presidente, timoniere di un tempo che fu, a volte è proprio vero. Purtroppo.

giovedì, marzo 25, 2010

McDUMMY


Non so più dove le ho trovate e mi sono pure persa la decima, ma per alleggerire l'atmosfera ecco le nove topiche peggiori di McDonald.
Giusto per ricordarci che sono grossi ma scemi, comunque vada il voto.

9) Hulaburger. Creato nel 1963, era rivolto a cattolici rispettosi del venerdì senza carne. Si trattava di un cheeseburger, ma una fetta di ananas sostituiva la carne. I cattolici osservanti continuarono a disertare il McDonald’s di venerdì.
8) McDLT (McDonald’s Lettuce and Tomato). Da una parte fetta di pane e carne, dall’altra lattuga, pomodoro e formaggio. Lo scopo era di tenere parte calda e parte fredda del panino separate, e il cliente poco prima di mangiarlo doveva unire i due componenti. A parte il packaging estremamente ingombrante, chi al fast food ha voglia di contribuire alla preparazione del panino?
7) Arch Deluxe, detto “hamburger per gli adulti”. La campagna pubblicitaria fu imponente. Nonostante la spesa in reclam di 100 milioni di dollari, nessuno se lo filò. Un esperto di Wall Street disse che gli incassi portati dall’Arch Deluxe coprirono appena un quarto del costo pubblicitario.
6) McLobster, panino con al posto della carne l’aragosta. Pensato per i canadesi, costava più di tutti gli altri panini (5.99 dollari), ma era troppo leggero, non saziava.
5) McHotdog. Nella terra degli hamburger il rivale hot dog. Il panino con dentro il wurstel ha fatto il giro del mondo in vent’anni, dal 1990 a oggi. Passando dal Midwest americano, all’Inghilterra, al Canada, al Giappone, non ha mai sfondato.
4) McPizza. A metà degli anni Novanta McDonald’s si lanciò nel mondo della specialità italiana. Già esistevano negli Usa innumerevoli catene e semplici esercizi nel settore. Troppa concorrenza, flop totale e McPizza caduta nel dimenticatoio.
3) McPasta. Se non va la pizza, perchè non provare con la pasta? Lasagne, fettuccine Alfredo, spaghetti con polpette. La sorte di queste proposte fu identica a quella della McPizza. Recentemente la McPasta è stata introdotta in Nuova Zelanda e Australia. Progetto abbandonato un’altra volta per la scarsa domanda.
2) McAfrica. Quale è la peggiore cosa da fare quando gente che soffre la fame in Africa è su tutte le prime pagine dei giornali e nei servizi d’apertura dei telegiornali? Ideare il McAfrica. La campagna pubblicitaria scatenò polemiche e il fast food fu costretto a ritirare il prodotto.
1) McLean Deluxe. Il top dei flop. Spinti dalle campagne Usa per una corretta alimentazione, contro l’obesità e stili di vita poco salutari, quei diavolacci del marketing McDonlad’s vollero ideare un Mc Deluxe “dietetico”. A tavolino decisero, con operazioni da alchimisti, di sostituire il grasso con acqua. Ma per far trattenere l’acqua alla carne, nell’hamburger fu aggiunto il crondo crispo, un’alga rossa. Il gusto era orribile e la gente preferì intasare le proprie arterie piuttosto che mangiare il McLean Deluxe.


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Ci sono momenti in cui, sassolino dopo sassolino, si accumula una bella quantità di pietrame. Lì sopra, più in bilico di quello che sembra. Poi qualcuno, senza volere e senza accorgersene, sbatte la porta.

mercoledì, marzo 24, 2010

SE MIO NONNO AVEVA LE RUOTE ?


C'è una discussione che mi alita sul collo da un bel po': il brother si è messo a difendere il libero mercato, e stuzzica e provoca affinchè si dibatta, sapendo che prima o poi cederò. Infatti.
Io, premetto, non ho ben capito cosa sostiene il brother: perchè pare dire "supermercato è bello" e insieme "privatizzare l'acqua è un abominio", apparentemente saltando il passaggio "l'acqua si vende nei supermercati" (che non è un fatto ininfluente o casuale, ma come minimo propedeutico al commercio dell'acqua, come massimo necessario.)
La discussione appare in ogni caso interessante, anche se confesso subito che il mio testo principe di economia è stato e rimane "L'obelisco nero" di Remarque e di lì in poi mi sono un po' persa, nonostante il buon Karletto.
Mi pare comunque che il brother voglia sostenere che, in quanto principio, il libero mercato è cosa buona giusta, semmai è la sua applicazione che lascia a desiderare.
Effettivamente, ci sono economisti che mi sono fin simpatici. John Maynard Keynes, per esempio, è uno: disse alcune cose di buon senso, tra cui il fatto che il capitalismo a volte va corretto con lo statalismo, fu persona interessante e membro del Bloomsbury Group. E proprio lui, a quanto pare, oltre a essere convinto sostenitore dell'eugenetica, ideò e creò le condizioni per la macroeconomia. Cioè, banalizzando moltissimo si può dire che inventò teoria e modi attraverso cui l'economia poteva funzionare su scala mondiale, mettendo così le basi per quella che oggi è diventata globalizzazione. ... Mai fidarsi degli economisti, neppure se sono gay che sposano ballerine.
Keynes, in verità, aveva previsto meccanismi compensativi e trucchetti ingegnosi per "limitare" l'impatto dell'economia sulla società: sembra paradossale, ma fu lui a sostenere fra i primi che le onerose richieste economiche alla Germania sconfitta, dopo la Prima Guerra, avrebbero portato al disastro non solo economico. E così fu: la crisi inflazionistica che colpì la Germania e favorì l'avvento del nazismo (vedete che torna l'Obelisco Nero?) fu tra i motivi che spinsero gli Stati, dopo la Seconda Guerra, a cercare meccanismi di stabilità non solo economica (contro l'inflazione selvaggia, appunto) ma anche sociale, ad esempio sul versante dell'occupazione. Il tutto funzionò fino alla Guerra del Vietnam, che mandò in tilt l'allora principale azionista, per così dire, dell'Azienda Mondo.
Keynes, nel frattempo morto, fu allora buttato alle ortiche (non del tutto, ovviamente la parte a vantaggio del liberissimo mercato rimase) e con la crisi petrolifera, ci dice Wikipedia, si posero infine le basi di quella che è l'attuale economia.
Che, pare voler dire il brother, non ha molto a che vedere con il libero mercato. Io direi che i figli degeneri non per questo smettono di essere figli e che la globalizzazione sia figlia del libero mercato mi pare indiscutibile. O, sennò, forse bisogna intendersi sulle definizioni.
Ma, tanto per cominciare, mi chiedo: anche a prescindere dalla globalizzazione e dai suoi nefasti effetti, ci sono luoghi al mondo dove il libero mercato è stato o può essere applicato "correttamente", cioè secondo i suoi basilari principi, esenti da storture? Perchè, se invece parliamo di utopie, allora a me pare che perfino senza ricadere nel sol dell'avvenire ce ne siano in giro di ben più affascinanti... E non solo: a me pare che questo sia il momento in cui le menti brilalnti possono provare a crearne, di utopie, in cui l'aspetto economico sia compreso e fondamentale, ma magari innovativo, diverso, strano. Utopico, insomma, anche per gli uomini e le donne del 2000, non per quelli del 1700. Ma su questo tornerò, come disse Gargamella, ah se tornerò...!




lunedì, marzo 22, 2010

ART IS CRAFTS





Cose magnifiche segnalate
come al solito dalla Stranastrega, : "Big wave moving towards a small castle made of sand", 2005. "Cut To The Bone II", 2008 e "Down the River" con zoom sul particolare, 2005.
Le trovate tutte
qui, sono una più bella dell'altra.

giovedì, marzo 18, 2010

UNA, CENTO, MILLE STALINGRADO

E' un periodo che mi piacciono le cose semplici. Per tutta la vita mi sono divertita - quando più quando meno e quando molto meno, ma insomma - a sostenere discussioni capziose e sottili distinguo, ragionamenti minuziosi e contorcimenti logici, retroscena psicologici e approfondimenti storici. Ora non mi diverto più un granchè: se posso usare del mio tempo come voglio - e, come per tutti, la cosa non è frequente - preferisco... be', preferisco un sacco di altre cose.

Forse perciò la questione elettorale mi sembra che questa volta si riduca a un quesito
che più banale non si può: perchè farci più male, se possiamo farcene un po' meno?
Ovvero, stiamo vedendo tutti cosa fa la destra dove è al potere (che di quello si tratta e non di governo), quanto e quanto in fretta fa a distruggere ogni spazio di vita civile. Ormai non c'è settimana senza una notizia di aggressioni razziste e fasciste, per non parlare dello spreco di soldi nostri, delle gestioni dissennate, della corruzione. Eccetera.

Intendiamoci: quella che ci ostiniamo a chiamare "sinistra" in mancanza di altre definizioni non è esente da nulla, e non starò a citare esempi di casi e persone che ci fanno vergognare profondamente. Ma ne faccio una questione quantitativa e, come insegna Marx nonchè credo qualche fisico o giù di lì, c'è un punto in cui la quantità fa un salto e diventa qualità. In particolare, qualità della nostra vita.

Diceva Don Milani che un fascista più dieci qualunquisti fanno undici fascisti, e mai è stato più vero di ora: indipendentemente da idee e schieramenti, il malefico nano e la sua banda sono riusciti a far passare come "normali" i concetti di paura e diffidenza a priori, di furbizia e impunità, di aggressività inconsulta, di nulla disponibilità nei confronti del prossimo. Dal pensare queste cose "normali" al rendere la vita sociale un inferno il passo è breve: ed è esattamente quel passo che finora qui abbiamo evitato di compiere. Non per caso e intelligenza, ma soprattutto perchè le amministrazioni locali sono riuscite a evitare quelle strumentalizzazioni che altrove invece sono il pane quotidiano delle giunte di destra.


Ovvio che questo non spiega e non giustifica ogni cosa: i mille punti di perplessità sulla politica e le persone del centro sinistra che si presenta alle regionali ci sono e non se ne vanno solo perchè "gli altri sono peggio". E forse ci sono situazioni in cui ingoiare il rospo è ben difficile, come possono essee la Lombardia e il Piemonte, su cui ovviamente non è facile distinguere lo sbagliato dall'ancor più sbagliato: ma, al livello in cui il governo ha portato lo scontro politico, perfino in quelle situazioni vale la pena di trovare una strada che sia almeno una risposta alle manovre liberticide e vergognose di questo periodo.
Altrove, io credo che la domanda più utile (e non, putroppo, quella che ci piacerebbe "ideologicamente più corretta") da porsi richieda uno sforzo di immaginazione, del resto non difficile: nelle medesime condizioni, starei meglio governato dai quaranta ladroni, da uno stato di polizia, da tre escort con il loro magnaccia, o da chi - pur sbagliando spesso - ha ancora un briciolo di coscienza?

Sì, lo so, è sconfortante. E non sembra un buon motivo per votare. Suonano meglio le cose come "la necessità di difendere la democrazia" e "la salvaguardia dei diritti civili", e queste le dicono già altri meglio di me.
Ma quando siamo arrabbiati tendiamo a pensare in termini di premi e castighi:
ognuno di noi ha a cuore un tema, un aspetto della vita e, non c'è che dire, non sono poi molti i temi e gli aspetti su cui la sinistra nel suo complesso (e ancora più le coalizioni di centro sinistra che si presentano alle elezioni ) è inattaccabile.
Per quante buone ragioni ognuno di noi possa trovare sui singoli aspetti, perdere lo sguardo d'insieme è un rischio enorme, esattamente quello che in altri Paesi o momenti ha favorito la destra più estrema e demagogica, che buon gioco ha appunto nelle battaglie localistiche o corporative.

Oggi c'è davvero il rischio di castrarsi per punire la moglie, come da proverbio: a chi prova a ragionare sulla situazione globale risulta subito evidente come una vittoria, o anche solo una tenuta, elettorale dell'attuale maggioranza sarebbe disastrosa per tutti. Per qualunque tema e per qualunque aspetto: e in questo momento poco importa che sulla scuola piuttosto che sulla sanità la politica della "sinistra" andrebbe probabilmente a coincidere con quella della destra. Che lavorare, per esempio, per un'azienda privatizzata è già contrario ai nostri principi, ma lavorare per un'azienda privatizzata in cui discriminare l' immigrato fa fare carriera è contrario al nostro stomaco.

Così, non si tratta solo di tapparsi il naso andando a votare, come già altre volte si è detto e fatto: si tratta di difendere quello che ancora ci resta. Io spero che il titolo del Giornale, che nelle intenzioni voleva essere dispregiativo, ce lo meritiamo anche stavolta: "Genova si conferma la Stalingrado d'Italia". E dato sì che la speranza non costa nulla, spero che ce ne siano anche altre.

martedì, marzo 16, 2010

PROZAC NO GRAZIE


Va bene, scusatemi, forse non dovrei citare lodi smaccate a uno dei miei totem.
Ma leggo questa pagina in "Natura come cura", pessimo titolo per uno strano libro che racconta di boschi e di paludi, di felci e di tassi, di rondini e gru, e ve la copio:

"Ci sono poi alcune specie di gufi il cui numero è andato così diminuendo che molti oggi non ne hanno mai visto un esemplare in libertà. E' una perdita su cui quasi nessuno ha versato lacrime. Pochi uccelli possiedono una bellezza così profonda, una struttura così elegante e uno sguardo tanto penetrante. Ma la loro scomparsa non è solo una catastrofe estetica. In ecologia i gufi sono classificati come "superpredatori" e il loro benessere è un indicatore attendibile dello stato di salute di un ambiente. Il barbagianni, secondo me, è anche un indicatore dello stato culturale di un popolo. Il significato del loro volo attraverso i campi è chiaro, riconoscibile da tutti a livello inconscio: è equivalente alla consacrazione del terreno, o alla delimitazione di un confine tra luce e oscurità, testimone del fatto che in natura tutto è in ordine. Gli uccelli migratori che tornano nella bella stagione simboleggiano il rinnovamento, i gufi la continuità. Se spariscono ci manca un po' la terra sotto i piedi."

Qui da noi, dove la (in)cultura cattolica ha picchiato nel profondo, gufi e affini non sono amati - erano, con i gatti neri e i pipistrelli, gli animali delle streghe, come si sa - e se ho scelto questo pretesto per parlare del libro, è anche per fare parziale ammenda a questi animali così affascinanti.
Il libro è poi la storia - assai confusa, a dire il vero, nella sua cronologia, ma non è importante - di una lotta alla depressione: e dato sì che l'autore, Richard Mabey, di mestiere fa il divulgatore naturalista, la Natura diventa sua alleata nella battaglia.

Non si può fare a meno di pensare che gli spaghetti potrebbero essere gli alleati di un pastaio, o il risuolare di un calzolaio, chè ovviamente è il saper ritrovare una passione il punto nodale.
Rimane il fatto, però, che Mabey su tutto ciò riesce a scrivere un libro pieno di cose delicate come piume e consistenti come radici: entrambe difficili da scorgere e da raccontare, e tuttavia piene di incanto per chi ha voglia di guardarle.
Mabey non è mai lirico, e al suo libro non mancano la dimensione quotidiana o quella delle storture del mondo. Pur senza essere scritto grandiosamente, però, a me pare un libro capace di rasserenare: e di questi tempi non è poco.

LO SVIZZERO CHE RIDE


Emperocchè il silenzio genera silenzio - e forse questa regola del blog potrebbe usarsi per spiegare la roboante e fragorosa politica dell'opposizione italiana - quest'oggi non avrei voluto lasciare questa bacheca senza messaggio alcuno, chè l'assenza perdura da lungo tempo ormai.
In ispregio di più facili temi quali l'impudenza del potere che non lesina sortite sulla scena, o l'appropinquarsi di momenti fatidici dell'urna, avevo altresì scovato un semplice trastullo per le vuote ore d'ufficio, che avrei qui sotto illustrato con dovizia d'esempi, giacchè uno svizzero che celia è considerato strano assai, e di uno svizzero si tratta.
Che per celia, appunto, si burla di se stesso e di quei pregiudizi che se riguardano altri - purchè più lontani - son razzismo, e se invece gli svizzeri, son frutto sol di simpatia canaglia. La nostra, si intende, che italiani brava gente e gli svizzeri, invece, non sono io che son razzista son loro che son svizzeri.

Ursus Wherli, così si noma l'elvetico giullare, si prende duqnue in giro da sè ancor prìa che lo facciano gli altri - vecchia usanza ben nota ad alcuni popoli - e lo fa col metter ordine dove regnan disordine e follia per eccellenza. Nella stanza di Van Gogh, ad esempio, fra gli omini di Magritte e i puntini di Seraut.
Il risultato, assai carino, lo potete vedere qui su Focus.it che, aduso alle furbizie, non ci regala esempi fuor dal sito suo.
Ma ancor più l'opra potrete gustare nel libro, a quasi modico costo, con prefazione perfin di Stefano Bartezzaghi.

mercoledì, marzo 10, 2010

UN PARERE INFUOCATO


Ci sono momenti in cui vita privata e vita pubblica pare che uniscano le forze per indurmi all'afasia, in inspecie sul blog.
Per la prima, la buona notizia che non ci sono cattive nuove è stata subito inghiottita - anche se non vanificata, ovvio - da una narice che cola e dal mezzo mal di testa. Un virus amante dell'asimmetria, evidentemente, ma non per questo più simpatico.

Si ha così qualche difficoltà nello scrivere e ragionare, senza contare che ieri si è dovuto assistere l'Elettricista Storico, peraltro reduce da uno di quegli Improbabili Incidenti destinati a essere raccontati per forza. La sua borsa di plastica, piena di cavi e attrezzi altrettanto plasticosi, si è appoggiata sulla marmitta della Vespa in un punto imprecisato lungo la sopraelevata, e lì ha tranquillamente preso fuoco, ignorata dal conducente.
Se c'era un regista francese lo metteva nel film, sicuro, questo Elettricista grassoccio con caschetto sfigaz che sorvola la città fra lingue di fuoco.
Invece, c'erano bravi automobilisti che infine ("belin, cosa vuole questo qui?") sono riusciti ad avvertirlo.
La centralina dell'antifurbo, che la produzione spostata in Tunisia ci aveva fatto aspettare tre mesi tre, si è salvata, intatta sopra un ammasso di plastica fusa e puzzolente, e ciò ha confortato l'Elettricista Storico che aveva preso la delocalizzazione della ditta da cui si è sempre fornito come un affronto personale.

E così, mentre montava centraline e buttava via pezzi di cavo fusi, anche lui affrontava la spinosa questione della vita pubblica. "Ora - proclamava - c'è una sola cosa da fare, castigare questi signori proprio col voto! "
L'Elettricista Storico è da sempre dalla parte giusta, senza troppe preclusioni e con le perplessità di tutti noi. Quando gli ho detto che speriamo non si freghino anche il voto mi ha guardato, cazzo! a questo non aveva pensato, ma, già, effettivamente... Di Girolamo... E però ha ribadito, non c'è altro da fare che votare: e non è andato oltre, ma il resto si capiva. Chè questa volta non è solo per il risultato - su cui contavo già di spendere qualche riflessione nei prossimi giorni - ma anche per il principio, contro chi si permette di considerare il voto una burla da comprarsi con qualsiasi mezzuccio.
Io credo che l'Elettricista Storico e il suo solido buon senso abbiano ragione.

lunedì, marzo 08, 2010

COME POTEVAMO NOI CANTARE?


E' una tristissima giornata della donna, questa. Triste per le donne come per gli uomini, dopo il colpo di mano del governo e la debolissima reazione dell'opposizione, che non sa neppure raccogliere la pesante, e tanta, indignazione che si raccoglie sul web. Facebook invece delle sezioni, i gruppi che si formano subito, i commenti che parlano di "schifo" e di "nausea", ma anche e soprattutto del non poterne più. E neanche così il Pd, putroppo ancora l'unico che potrebbe raccogliere voci e sentimenti e trasformarle in persone ed azioni, è capace di muoversi con tempestività, con decisione. C'è il popolo viola in piazza, non le bandiere del Pd. E anche se sono certa che molto del popolo viola l'anima ce l'ha ancora rossa, non è tranquillizzante sapere che l'opposizione più visibile è affidata a Di Pietro.

Inutile proseguire, inutile sottolineare come questo clima, queste forme di autoritarismo sempre più smaccate, questo contagio che si allarga a macchia d'olio partendo dall'alto di quella trista malattia che è la supremazia del più forte, questa tracotanza che anche nei modi non si preoccupa di nascondere il disprezzo per l'Altro - qualunque Altro sia - non sia certo un clima in cui si può festeggiare la Giornata della Donna.
Si può, è evidente, partecipare a quelle penose volgarizzazioni commerciali che sono gli spettacoli di spogliarello maschile - ma di chi partecipa a queste cose è meglio non parlare, neh? - e si può magari anche essere contente della solita Cena-Finalmente-Tra-Donne (una all'anno, stica!).
Ma se venisse la tentazione di essere allegre davvero, di pensare che dopotutto...però... in fondo... ecco, si può sempre farsi venire in mente il video che trovate
qui.
Non abbiate timore a guardarlo, è comico. Per i francesi.

sabato, marzo 06, 2010

RAGAZZE A UNA DIMENSIONE


E' attraente, bel colorato, indirizzato senza possibilità di equivoco ad un target ben preciso, quello delle ragazzine.
"Il Mio Corpo" - sottotitolo, ben in evidenza, "Body Drama" - colpisce per più di una ragione.
Innanzitutto, il fatto che sia "libro", ma con il minimo indispensabile di scritto: il resto è immagine, a colori. Anche quando le immagini non sono certo piacevoli, come quelle delle verruche o delle callosità: ma questo è un effetto voluto, dal momento che il messaggio più forte del libro è "non vergognarti del tuo corpo".
Il messaggio è giusto, non c'è dubbio: per ribadirlo, il libro snoda una serie di "drammi", dagli odori sgradevoli (o percepiti come tali) a vere patologie come i tumori della pelle, passando ovviamente per il peso. E, con sufficiente chiarezza, indica la gravità vera o presunta del problema, i possibili rimedi, quando ci si può ridere sopra e quando è bene rivolgersi a un medico.
Con una buona dose, almeno per noi europei, di conformismo - oddio, gli altri pensaranno che... - e un pizzico di troppo di faciloneria - quando ho smesso di guardare la bilancia sono dimagrita due e chili e mezzo in un mese - "Il mio corpo" affronta comunque i dubbi angosciosi delle ragazzine su se stesse, anche i più scabrosi o imbarazzanti. Vien da pensare che sia comunque un buon libro: un tot di informazioni sono davvero interessanti e, se anche solo due informazioni su tutte risultassero utili a due ragazze su cento, sarebbe già un bel risultato.
Fermo restando, però, che solo di Corpo si parla. Il grande protagonista è infatti l'Aspetto: non solo quello visivo ma quello olfattivo, o perfino igienico: ma sempre Aspetto, mai messo in relazione alla simpatia, alla socievolezza, all'intelligenza eccetera.
Certo, forse la critica è arbitraria: un libro dedicato al Corpo del Corpo parla, ok. Ma non può non venire in mente "Noi e il nostro corpo" che, nato da discussioni fra donne e uscito in anni in cui i tabù e i problemi eran decisamente più gravosi di quelli attuali, si preoccupava di inquadrarli in un contesto di relazioni, culturale, magari ideologico ma almeno complessivo.
"Il Mio Corpo" accenna al fatto che le aspettative che premono sulle ragazze potrebbero essere troppe solo affrontando alcuni problemi, come la depressioneo l'autolesionismo: ma non si indica nessun repsonsabile ( a parte photoshop, si intende) e ancora una volta è alle ragazzine stesse che si affida la responsabilità di un cambiamento. Per carità, parole sagge quelle che invitano a non voler diventare come le modelle ritoccate dalla chirurgia e appunto da photoshop, ma non c'è il rischio che la ragazzina che legge si senta ancora più scema quando, nonostante tutto, non può astenersi dal confronto? La depilazione, tanto per fare un esempio innocuo, può essere un problema igienico, ma fingere che non sia soprattutto un'istanza culturale e sociale è attirbuirle un valore assoluto che, insomma, forse sarebbe bene rimanesse a cose più serie.
"Il mio Corpo" è comunque ovviamente un significativo spaccato di questo nostro tempo, ma rimango indecisa se considerarlo un meglio-di-niente o un santiddio-che-roba.

giovedì, marzo 04, 2010

RELAX


Il Cavalier Sisini torna all'attacco del Circolo dell'Anima: stasera si gioca al Quizzone, come nella Casa nella Rocca.
Perciò prendo, penne, fogli, cappello della vittoria, macchina per la foto alla squadra che vince, dizionario per i casi dubbi e via che si va.
A domani, lettori.

martedì, marzo 02, 2010

PRIMAVERA NON BUSSA

Tempo due giorni, la primavera è arrivata. Se ne sentiva già l'aria anche attraverso la pioggia, l'altra mattina, quando ho guardato i due salici sotto la mia finestra e ho visto i rami più alti già belli verdini. Ma oggi, sembra di colpo, sono verdi tutti i rami.
E perfino io, che amo le giornate brumose e la pioggia e le nubi viola che qui sembrano vicinissime, perfino io sono contenta che arrivi la primavera, dopo quest'inverno in cui non ha smesso di piovere mai.

Sono contenta perchè da giorni, pur sotto la pioggia che appunto non mancava, mi bastava affacciarmi alle finestre per vedere l'anziano giardiniere potare i rami del cipresso nel giardino vicino, arrampicato su una lunga scala, mentre un giovane giardiniere tagliava preoccupato le foglie dell'agave in un altro giardino e l'omino del playmobil che lavora qui nella Rocca andava avanti e indietro impegnato in attività misteriose ma assidue, con il suo passo cadenzato e la coda di cavallo ballonzolante sulla schiena.
Di gatte incinte, segno sicuro di primavera, ne ho già viste due: si aggirano frai aiole e cancelli, annusando con calma e tuttavia un po' nervose, come noi tutte nell'imminenza dei parti. Il bulldog sul prato, invece, si era imprigrito nell'inverno e ha fatto appena una corsetta quando l'hanno liberato dal guinzaglio, per poi sedersi sull'erba con i gomiti uniti, come un bambino nel banco che non ha sentito la campanella della ricreazione. Ma questo succedeva stamattina, con le lucertole già sul muro vecchio della villa di fronte, e il giardiniere - quello anziano - per seminare un pezzettino di orto, si era seduto lì al sole e pareva quasi che accarezzasse la terra mentre la sua mano sfiorava i solchi, lasciando cadere i semi.

Una coppia di pappagalli grandi - chè ci sono quelli piccoli e quelli grandi - ha messo su il suo verde più splendente e sfreccia fino al pino, posandosi sui rami con energia, come una giovane coppia di umani che arrivi alla sua prima casa a bordo dei due rispettivi motorini, prima uno e poi l'altro, frenando all'ultimo. E lì sotto c'è un cespuglio di rami secchi, tutto aggrovigliato, che io credevo un accumulo dei giardinieri e invece si è ricoperto di gemme pelose, chissà cosa ne verrà fuori. Non che questo importi - o forse sì - a certi piccoli uccellini che da lì escono volando rasoterra, marroncini e frullanti, mentre le gazze bianche e nere si posano invece sui rami più alti degli alberi con la pacatezza di suore superiore che scivolino sui pavimenti del convento.
Ma è inutile, tutte le descrizioni non riescono a mettere insieme la primavera, a raccontare i colori che improvvisamente brillano, a definire il pungere morbido dell'aria: ma io guardo, e questo piccolo pezzo di alberi e animali, pur così addomesticato e ristretto, riesce a ridarmi i ritmi che sono anche dell'uomo, quelli che macchine e asfalto e cemento e gente su gente riescono di solito a cancellare. Quel crescere e cambiare di cui rifiutiamo la fine, che tuttavia guardando un albero riesce a sembrare un po' più naturale.

lunedì, marzo 01, 2010

HOME SWEET HOME


E finalmente siamo arrivati al punto in cui "mettere a posto una cosa" vuol dire "mettere a posto una cosa". E' il punto d'arrivo dei traslochi, quello in cui la semplice collocazione di un oggetto non è più il sassolino che dà avvio alla valanga di mille altri spostamenti.
Ora ci sono molte cose che mi piacciono, in questa casa, su cui poso volentieri gli occhi mentre lavoro o quando mi rilasso - quando sono triste, no, guardo fuori: colline ed alberi sono imbattibili - ci sono colori che stanno bene fra loro, oggetti che vivono di vita propria, piante per cui faccio il tifo (be', il mio pollice verde lo richiede, eccome), spazi in cui so già cosa potrò mettere e altri - pochi - che si rivelano di colpo.

L'abbiamo inaugurata, questa casa, con tanti amici e tante risate: e lei si è prestata bene al gioco, non come quella che l'ha preceduta, dove invece le persone sembrava che avessero segnato il loro posto con il gessetto. Non so perchè, ci sono case il cui lo spazio è fluido e accoglie, e ce ne sono altre, magari più grandi e apparentemente più adatte, che invece ingessano persone e movimenti.
Qui ci mettiamo un attimo, volendo, a organizzare una tavolata per 30: anche se la casa è più piccola delle precedente, ne è venuta fuori una casa che "ce n'ha voglia" e ciò mi piace parecchio. C'è stata una sinergia fra noi e lei che ha superato perfino una partenza ostica, con pareti smaccaramellose, caldo tropicale e porte antipatiche. Forse è
che ho appena visto "Invictus" e ne sono influenzata, ma in verità - si parva licet eccetera - la fatica che ho fatto a conciliare con me gli aspetti più ostili di una casa che sentivo bella sono stati curiosamente simili al senso del film, a quell'unire le forze per tirare fuori le potenzialità.
Le case sono state importanti nella mia vita: alcune le ho amate come si ama un buon libro, altre come si apprezza una coperta ammorbidita dagli anni, altre ancora le ho sofferte, mentre qualcuna mi fa ridere al ricordo e una sola si è sempre fatta rimpiangere.
Alle case altrui abbiamo dedicato risorse che altri più saggiamente investono nell'accumulare mattoncini per la propria, ma in cambio ne abbiamo avuto varietà, bellezza, sorprese, scoperte. e comodità e piacere, perfino. Chè non sempre ciò che si spende deve ritornare in forme tangibili, no?
E guardando indietro, le case riflettono una specie di geografia dell'anima, una storia minima fatta di spazi e di oggetti - "guarda, in questo trasloco c'era già la caraffa viola!" -
un essersi fatti quando la proprietà era ancora un furto e non una tutela forse necessaria, e il dispendio implicito in questa formazione. Ma sarebbe ingiusto, così sono arrivata a pensare, credere che il merito sia solo nostro, solo degli umani: le case hanno la loro parte, la loro personalità. E se tutto procede come da premesse, questa casa aveva anche lei voglia di amici, di tutti quegli amici veri che, in trenta o in tre, hanno voglia di fare qualche pezzettino di strada con noi.