mercoledì, aprile 29, 2009

BARTEBLY A ZENA


Ci ho i testimoni, sono qui alla tastiera con su i mezzo guanti. Quelli che, già lavati, aspettavano di essere messi via per l'estate. Oltre ai mezzi guanti ho una maglietta, due maglioni e uno scialle.
"Molto bohemienne", mi dice caustico il KGgB, arrivando da fuori e approdando felice alla ghiacciaia, chè già si sentono i tuoni e ricomincia la pioggia. A me piace il brutto tempo, mi piace perfino ora che non smette più, ma quello che odio sono gli ambienti umidi e freddi: come, ad esempio, i condomini in cui il riscaldamento è stato spento prima che il freddo e l'umido tornassero in gran forza.
C
osì sto qui, e il mio bastoncino di liquirizia tiene il posto del sigaro vieppiù bohemienne, e parlo appunto del tempo: che, come dice Lidia Ravera, ci coglie in pieno "la stanchezza di commentare questo livello infimo di notizie" compresa ovviamente la veronica e mica la veronica. Se avete voglia, ascoltatevi quest'intervista della Lidia a Micromega: non è poi geniale neppure l'intervista, ma giusto così, per sentir finalmente parlare qualcuno che ragiona.

lunedì, aprile 27, 2009

VEDRAI VEDRAI



Chi mi conosce sa che ho reazioni viscerali di fronte a tutto ciò che puzza di fascismo. Sa che non sopporto gli ignoranti, l'arroganza, la furberia. Ma chi mi conosce è come me e, più o meno, la pensa uguale. E che ci abbiano scippato il 25 aprile non ci piace proprio, ci disgusta e ci avvilisce, con lo stesso senso di schifo e insofferenza che la brevissima intervista di Bocca riesce ad esprimere in pieno. Chi, meno viscerale di me, prova a ragionarci su fin da subito dice anche belle cose, come Marco Revelli in questo articolo qui . Insomma, condivido Bocca, condivido Revelli, e non sono certamente per lasciare che le nostre robe se le prendano loro, dopo tutto quello che già si sono presi.

Però intanto ci ragiono su anch'io, per ora con un pensiero piccino, che prende atto del tempo che è passato, delle cose che sono cambiate. Quando ero piccola io, per esempio, se si parlava della Guerra, si sapeva subito qual era, era appena lì dietro l'angolo quando io sono nata, tutto il mondo adulto che avevamo intorno l'aveva vista, vissuta, subita. A noi sembrava già cosa vecchia e sorpassata, con il suo strascico di lamenti e manìe, ma sospetto che quella nostra insofferenza fosse più che gradita a chi, dopotutto, aveva una gran voglia di dimenticare. Però quando due adulti si ritrovavano dopo un po' di tempo, la Guerra nei discorsi c'era sempre. E nessuno, neanche fra i più tiepidi, dimenticava chi aveva voluto quella Guerra, quella carneficina che ancora non aveva nulla di "intelligente" come i missili, quello strazio a cui non avevano partecipato i mercenari, ma tutti i figli (e poi i padri, e a volte anche i nonni e i nipoti) di tutta l'Europa. Non si poteva dimenticare il lutto, la perdita, la fame: e neanche chi ne aveva la colpa, quell'arroganza che, oggi come ieri, dispone della gente come degli scacchi viventi di marostica. Tu qui, tu là, l'importante che io faccia bella figura.


Ma oggi nessuno si ricorda più la guerra, la Resistenza: sono rimasti in pochi, e i loro racconti sono ormai più Storia che politica, loro malgrado. Non che questo sia il primo tentativo di mettere a tacere la
maggioranza della Resistenza, quella che - pur senza essere sempre comunista, o di sinistra - era davvero intenzionata a dar vita ad un'Italia più giusta: ci si è provato in molti modi, e ogni volta un pezzetto siamo riusciti a tenerlo, un'esca per un fuoco più grande che nel '70 ha saputo recuperare anche ciò che la Democrazia Cristiana era già riuscita a mettere in un angolino del libro di Storia, e spesso neanche lì. L'abbiamo recuperato, l'abbiamo gridato nella piazze, gli abbiamo dato nuova vita e diversi sviluppi, anche se molti ex-partigiani - e Bocca fra loro - mal ci sopportavano, e si può anche capire.

Poi, di nuovo, ci si è persi per strada, ogni giorno un pochino di più, fino ad arrivare a questo punto.
Anche gli anni '70, però, arrivarono di soppiatto, arrivarono con i figli dei fiori che non pensavano al domani ma neppure all'ieri e men che meno alla lotta contro il padrone. Ci furono segnali dapprima buffi, poi sempre di più e poi sempre più forti, di cose che cominciavano ad essere fatte in un modo diverso. Quello, prima ancora di tutto il resto, segnò la fine di un periodo storico. Io credo che anche adesso siamo da quelle parti lì. siamo che si cerca di fare le cose importanti in modi nuovi. siamo che siamo stufi marci di litigare con lor e fra noi, stufi di avvilirci e vergognarci. E' vero, non importa, per ora, quanti siamo , quello che importa, oltre al fare, è tenere occhi e cervello aperto.
A me questo politicamente pessimo e sofferto 25 aprile ha dato, più di altre cose, il senso che bisogna cambiare: troppo facile arroccarsi e basta, troppo inutile contrapporsi quando possiamo farlo solo sul loro terreno. Arretriamo, se è il caso, che credano di poter anadre avanti, più avanti, fino a Stalingrado, fra la neve e la fame.

Ci sono mille cose che già si muovono e un modo diverso di farle è possibile: abbiamo il web che ci dice e ci racconta, basta scegliere una, tre, cinque cose che possiamo fare.
C'è una corrente che passa davanti alle nostre finestre virtuali, cerchiamo un punto carino dove galleggiare e buttiamoci. Io ho segnalato tramite la Calamity questa bella iniziativa dei CAF, i piccoli capitali comuni a cui può attingere chi ha bisogno di un piccolo prestito, la Nessie segnala il suo e altrui lavoro per i bambini...chi aggiunge cosa? Venghino, signori, questa è l'asta del futuro: chi offre di meglio?

domenica, aprile 26, 2009

UN DONO VIRTUALE


dall'amicaritrovata, una grande burlona :-) che mi lusinga con il fotomontaggio.

venerdì, aprile 24, 2009

ORA E SEMPRE

Contro i mostri generati dal sonno della ragione, Calamity Farm e Calamity Farmless marciano compatte, accogliendo con entusiasmo nelle loro fila il maitre-à-penser, Gelinda e la sua amica Bèèlinda, il Coniglio Pasquale e simpatizzanti bianchi o rossi.
Come sempre, dalla parti della Calamity si tende a prendere le cose un po' alla lettera, e il messaggio è quindi esplicito e concreto: guardate un po' cosa portano in corteo....

Per il maitre-à-penser, ovviamente, il posto del simbolo della giornata è vicino al Lume.

giovedì, aprile 23, 2009

DI SOGNI E PRINCIPESSE


Su questa cosa dell'accontentarsi e del non farlo. Urgh. Io non lo so cosa è giusto, da tanto ci penso e ancora non lo so.
Forse, anzi, dovrei dire che non lo so più: perchè, in verità, ho sempre teorizzato e messo in pratica il Non Accontentarsi.
Che non vuol dire non essere mai contenti: ma perchè tenersi una baby-sitter maffa, una casa buia, una maestra scema, i prof incapaci e via di seguito? Si cambia, si cambia finchè non si trova un insieme che va bene, che ci corrisponde. Via, via, chè l'accontentarsi è pigrizia, è carenza di fantasia e coraggio, è rassegnazione. Questo lo penso ancora: Lo penso ancora sulle baby-sitter, sui prof, sulla casa.


Non lo penso, e forse non l'ho mai pensato, sugli amori.
Le storie d'amore,
nessuna esclusa, sono della stessa materia dei sogni: nei sogni si conosce con esattezza il significato di parole che non esistono, si raggiungono città nascoste sotto falsi nomi, si gira nudi senza suscitare neppure stupore, gli ascensori fanno un sacco di paura e i bastoni chiodati, magari, meno.
La logica si sovverte e cambia continuamente, anche nel corso dello stesso sogno, la coerenza è un optional e la trama riserva sorprese continue.

Detto così, sembra che se uno si innamora diventa, ipso facto, psichiatrico. E forse è un po' così, in effetti. Non li hanno mica ancora studiati bene, i meccanismi attraverso cui la specie umana si perpetua, contro ogni buon senso.

La logica di coppia, in ogni caso, non è la stessa logica della vita. Quando fra le due c'è molto iato - la classica vignetta del manager superman tiranneggiato dalla moglie - si diventa oggetto di facezie,
ma si può ugualmente stare benissimo. E nella logica di coppia ci stanno un sacco di cose che, viste da fuori, appaiono strambe, buffe, sbagliate, perfino quasi aberranti e perverse. Altrimenti, che ne sarebbe del gossip? Ma, gossip a parte, chi è dentro la coppia solitamente non vede le cose nello stesso modo: dentro al sogno il nostro cappello in cui nidificano tre piccoli dinosauri è bellissimo e tutti ce lo invidiano.
Poi ci si sveglia e, ammesso che ci si ricordi nitidamente il sogno, si ride: maddài, pensa che nel sogno mi pareva bello!


Così, quando si esce da un rapporto di coppia è inevitabile chiedersi: ma dov'ero? dov'ero io, in tutto questo periodo? A differenza del sogno sognato, non c'è una
separazione fra sonno e veglia a fare da distinzione: ci sembra di essere "normali" sia prima che dopo, sia in coppia che single. E lo siamo, salvo che ragioniamo in modi diversi, seguendo logiche coerenti al loro interno ma fra loro differenti: se la logica di coppia fosse uguale a quella della singletudine, i figli non si farebbero. E qui chi vuole ci metta tutte le sue riflessioni su quanto, appunto, la ricerca di una "felicità" individuale immediata e spesso superficiale produce coppie di genitori assolutamente inadeguati, proprio perchè non riconoscono la logica di coppia, di specie.
Ma, come distinguere il giusto adattarsi a una logica di coppia dall'accontentarsi? E' un bel mistero, già. Perchè in tanti anni mi sono detta, guardando coppie sfasciarsi o rimanere insieme, che non c'è proprio nulla di prevedibile, ma neppure di "giusto": la coppia ci cambia, che ci piaccia o no, che ce ne accorgiamo o no. Succede più alle donne che agli uomini, e non sarò io a smentire la necessità di mantenere l'autostima e il rispetto di sè anche nel rapporto di coppia. Di mantenere, ancor più, la leggerezza e la coerenza con se stessi -
che non significa non cedere di un millimetro su niente.

Ma, ecco, il non accontentarsi cosa ha a che fare con le principesse, con le canzoni, con i mazzi di fiori? Ognuno di noi vuole sentirsi prezioso, certo, e in mille modi: ma il sentirsi preziosi deve venire da dentro, dalle
cose antifasciste come dal proprio lavoro, dagli amici come dalle letture, dal quanto si riesce a dare agli altri e quanto si riesce a stare bene con se stessi. Ecco, allora forse non ci si può, non ci deve accontentare quando una storia sembr
a minare stabilmente queste cose, quando lo stress del mantenerla, oscura il resto della vita e lo rende meno bello. Ma non sono sicura neppure di questo: perchè a volte quello che può sembrare un accontentarsi può anche rivelarsi, superato quello specifico scoglio, un amore lungo e duraturo.
E allora, ecco, forse ciò di cui non bisogna accontentarsi, in assoluto, è poi solo il non-amore: e non è detto che sa sempre quello altrui, chè chi vivacchia con una persona che non ama più è triste assai. E se a volte i confronti possono essere rivelatori, più spesso sono falsati e inutili, come il dolore che dicono si provi all' arto amputato: ci vuole poco a far sentire preziosa una persona quando tutto è nuovo, è bello, è senza fatica, quando non si chiedono e non si offrono impegni.
Quello che conta è poi invece la somma delle cose, in un anno così
come in una vita, è l'equilibrio che si crea anche se assomiglia alle montagne russe, è la capacità e la possibilità di ritrovarsi quando ci si perde. E' la lealtà a sè stessi e all'altro, anche nei momenti peggiori ( che non va confusa con la tremenda sincerità a tutti i costi), è il mantenere la propria dignità.
Le Piccole Donne, una per l'altra, si sanno forse a
ccontentare: ma nessuna viene meno alla propria dignità, e ciò crea già di per sè un distinguo, uno steccato, un cancellino che si apre al professor Baher e non ad altri. Si parla forse delle "attenzioni" del professore Baher verso Jo? Può darsi, ma non me ne ricordo: quello che conta davvero, nella loro storia, è la solidità delle loro coerenza con se stessi.
Poi, certo, un uomo che sceglie il vino e ti porta i fiori e ammira come ti vesti e come parli e come lavori e come scopi...be', schifo non ci fa a nessuno. Ma a cercarlo per la vita intera si rischia di cercarlo per l'intera vita. Suvvia, diciamolo: anche per noi, quanto dura il periodo in cui ci viene facile, spontaneo e bello far sentire prezioso l'uomo con cui stiamo? ecco, appunto.

martedì, aprile 21, 2009

I BAMBINI DEL BIAFRA


Il gufo stasera è stanco. molto. stanco di sembrare felice dei topi morti che riesce a catturare, chè potrebbe andare peggio, magari potresti non prendere neanche un topo. eggià. eppure, c'è chi senza merito e perfino senza gioia riesce a prendere conigli.
C'è chi nasce aquila e chi invece nasce gufo: il mondo non ha colpe se io, modestamente, lo nacqui. ma lasciatemi essere stanca stasera, lasciatemi sognare che potrei ancora passare un'intera serata senza un pensiero al mondo, che posso far progetti credendoci, che, nel vedermi, l'allegria di chi viene da fuori non si spegne contro la mia tristezza. L'anno scorso, al mio compleanno, mi credevo ancora sana ed ero qui : i confronti sono sciocchi, lo so, chè anche quest'anno ci saranno prati, amici, musica. E io riderò e seguirò le canzoni e mi godrò il sole o perfino il nuvolo: ma stasera, lasciate che rimpianga l'anno scorso. quando ancora c'erano le possibilità, e la scelta.

domenica, aprile 19, 2009

RINASCONO LE SOMS, MA SI CHIAMANO CAF.

La cugina Gelinda ha portato solidarietà e latte fresco alla Calamity Farmless, ma non bastano per risolvere il problema.
Il Che Fare occupa lunghe ore delle lunghe giornate da disoccupati, e non se ne viene a capo.
Ma, un momento: chi zompa in lontananza? E' il
Rospo Leprecano , che arriva dalle lontane scogliere per segnalare nientepopopodimeno che un Tesoro! Grande scetticismo lo accoglie: ma vaaaa', pensi che crediamo ancora alle favole? 'Momenti lo picchiano.
Fortuna che una gallina dimostra un po' di buon di senso e calma gli animi: il Leprecano viene ascoltato e il suo racconto è così convincente che un gruppetto di ardimentosi parte alla ricerca del Tesoro, superando perfino l'arida e perigliosa Distesa Rumenta, che tanta paura mette nel cuore.


Lungo il cammino, non si trascura di dibattere come verrà impiegato il Tesoro. Sembrerebbe logico dividerlo, un po' per uno, ma una paperella propone invece di impiegarlo per costituire il fondo iniziale di un Caf, un gruppo di autofinanziamento. L'idea è bellissima e suscita entusiasmi , anche se non manca chi invece preferirebbe assoldare un sicario per uccidere i padroni, come nel grandioso film Louise Michel
Le discussioni, però, vengono sospese quando il gruppo giunge in vista del Tesoro, I Preziosi Lapislazzuli. Si avvicinano trattendendo il fiato, allora non era favola, il Tesoro c'è davvero! Ma chi l'avrà portato?
Il Leprecano fa un gesto con la zampa, indicando una figura che sta svanendo nella bruma.


Corpo di bacco, il Coniglio Pasquale? Già, proprio lui, che ora si allontana saltellando gioioso, come da clichè.

giovedì, aprile 16, 2009

MUMBLE MUMBLE...

E' notte, ma alla Calamity c'è chi ancora discute. Le galline sono state oggi alla Calamity Farmless e ne hanno riportato una triste impressione: ci si chiede cosa fare per i compagni più sventurati. Una battaglia è stata vinta, ma tira un'aria nera nera e non si osa quasi neppure più parlare per tema di una sospensione. Ed ecco nella notte risuona una campana, o forse un campanaccio: è la cugina Gelinda, venuta in visita. Che, afferrata al volo la situazione, offre ospitalità nel caso si mettesse molto male. "Ma, mi raccomando, se decidete di venire comunicatemi l'orario preciso, per favore, e vi farò trovare una cioccolata calda." I rospetti chiedono se là dove vive Gelinda c'è lavoro: "Come no! Potete fare i pulitori di montagne, per esempio!" Ahi, Gelinda, era un pesce d'aprile...

mercoledì, aprile 15, 2009

CALAMITY GP


Grande folla - ci sono anche i turisti, guardate bene - per assistere all'ultimo emozionante momento della corsa automobilistica Gran Premio Fai Da Te, organizzata come ogni anno dalla Calamity. In testa sembra essere la gallina sul suo curioso mezzo rialzato, ma non è ancor detta l'ultima parola, gli altri concorrenti la tallonano. Ma, attenzione, sembra di scorgere un'irregolarità nella corsa...
E' proprio così! Il team Rospetti, profittando della natura del mezzo ma non fidandosi delle sue prestazioni - eh, sì, glielo avevamo detto in tanti che il camion della pizza non era la scelta migliore - ha evidentemente barato per tutta la durata della gara. Osservate bene qui sotto:



il trucco è evidente: quando un guidatore era stanco, oplà, un balzo veloce e un altro prendeva il suo posto. Ma il fotofinish li ha colti sul fatto, i maramaldi!

domenica, aprile 12, 2009

CORSI E SOCCORSI STORICI


Come i lettori più acuti non avranno mancato di notare, da queste parti si è fatta pausa. Fra i motivi, il diktat medico che vuol trasformare il gufo in allodola: e io - cosa non si fa per stare meglio - ci sto provando. Questo post, udite udite, è scritto in quello che tecnicamente è ancora mattino: non sono al mio meglio, a quest'ora, ma forse mi ci dovrò abituare e voi quattro che mi leggete, pure.
Ma il silenzio di questo periodo è stata anche una reazione al terremoto in Abruzzo: anche se ovviamente non importa a nessuno e non cambia nulla, a me pare brutto parlare di robe normali e quotidiane di fronte alle tragedie.
La vita continua, certo, ma insomma mi coglie un po' di pudore nel parlare di fatti miei; e sulla tragedia, che si può dire? Trasformata, mi dicono quei che la tivvù la vedono, in gigantesco spottone per il governo e destinata all'oblio come tutte le altre che l'hanno preceduta, è incommentabile senza cadere nella retorica e nell'ovvio - o almeno in quello che è ovvio per i miei lettori, come ad esempio l'assurdità criminale del "Piano casa" che il governo voleva varare e che si spera possa essere rallentato dall'evidenza della sua pericolosità.

Avrei taciuto, quindi, se non avessi trovato stamattina
questo commento (chi sei, Stilobate? il tuo blog non è visibile, ma la curiosità è tanta: ci siamo conosciuti lassù, o c'eravamo in momenti diversi?) e non mi fossi resa conto che anch'io ci sto pensando da giorni, alla Brigata Salvatore Toscano e a quella solidarietà andata avanti mesi e mesi.
Il
terremoto in Friuli , nella notte del 6 maggio 1976, fece il triplo delle vittime di quello odierno, radendo al suolo interi paesi. Ciò che non era crollato a maggio e nelle successive scosse di assestamento, tante e forti, andò giù l'11 settembre dello stesso anno, in ulteriori scosse che danneggiarono ciò che era già stato ricostruito e provocarono altri feriti.
Io andai a lavorare nella Brigata, attendata su un campicello appena fuori dai confini di Bordano, uno dei paesi completamente distrutti, verso la fine dell'estate: ma, come dice l'ignoto commentatore, dopo tanto tempo ci si smemora.
Forse ci andai anche due volte, non so più, e quel che ricordo sono le impressioni: la parete azzurra al secondo piano di una casa, con la cassettiera appoggiata, appena un po' storta. Tutto il resto non c'è più, solo quella parete azzurra che pare assurdamente in alto in mezzo a un paesaggio appiattito. O la coppia di emigranti, tornata per ricostruire la casa di paese: parlano con noi in un italiano pieno di francese e di dialetto, la loro vita vera ormai è "lavìa", un vocabolo che ripetono continuamente e che rende in pieno il senso della lontananza, di un mondo diverso. Ci offrono un caffè belga prima di farci salire sul tetto a sistemare i coppi. Fra noi c'è il ragazzo napoletano che diventerà poi il mio amicodelcuore: lui non riesce a bere il caffè lungo e chiaro e lo passa di nascosto a Lucifero, che viene dalle parti di Varese e che va giù duro di grappa: lui ingolla il caffè e sale, più o meno brillo come sempre, sul tetto. Il terremoto ogni tanto si sente di nuovo, ma non fa tanta paura: sono scosse di assestamento, si dice.
Sul senso di tragedia - la prima cosa che vediamo è la sterminata distesa di calcinacci che è Gemona, sullo sfondo l'ospedale pericolante e crollato in gran parte - prevale quello della fatica: la contadina che lava le lenzuola alla fontana torcendole con un antico movimento del polso, i viaggi su e giù dalla costa di chi ha la famiglia nelle case dei villeggianti, le damigiane recuperate nelle cantine e subito versate nei tombini chè il vino è diventato di colpo aceto con " una madre grande così sul fondo". Tutte le persone con cui parliamo ci raccontano del "gran caldo" che ha preceduto le scosse, degli animali agitati, e poco altro.
Il terremoto è tragedia rapidissima, che c'è da raccontare? Il silenzio stesso dei luoghi e della gente, quello rimane nella memoria come un non-più-luogo, un nowhere in cui la polvere smorza ogni suono, in cui i nostri colpi inesperti di martello o di piccone risuonano con forza. Sentiamo la paura: non il terrore che c'è stato e che c'è ancora negli occhi quando solo accennano a "quella notte", ma anche la paura che i paesi muoiano. Si teme che l'ospitalità di Lignano si riveli una trappola, una specie di deportazione che nessuno vuole: i paesi, invece, devono essere ricostruiti e sono i sindaci a prendere in mano la cosa. Non so perchè e come la Brigata andò a ricostruire Bordano, nè so se in paese c'erano altri volontari oltre a noi, che saremo forse una trentina.Veniamo da tutta Italia: fra noi c'è chi è già anoressico, chi si è preso un'ameba in Laos, chi bestemmia in alamanno e in goto, chi sa come si rubano le macchine, chi - un gruppo di bresciani - si alza prestissimo, "compagni, in già mo' le het!", sono già le sette.
Mi chiedo per la prima volta oggi se qualcuno si ricorda di noi, ragazzi comunisti a cui la solidarietà sembrava ovvia quando ancora la solidarietà non era nè spettacolo nè "immagine". Non lo era a tal punto che forse nessuno ha fotografie di quel periodo, del nostro camping improvvisato e dei lavori a cui cercavamo di dare un contributo. Del tutti ignari, come lo si è solo a vent'anni, del rischio ancora presente e perfino delle dimensioni reali, umane, della tragedia che avevamo intorno, come a vent'anni succede. E neppure la crepa che si allarga nell'asfalto facendo sbandare la macchina su cui sto tornando a casa riesce a darmi il senso della cosa: lo faranno solo questi ed altri ricordi, rimasti appiccicati alla mia mente pur nella loro minuzia. Così precisi nei particolari e così vaghi nel contesto da sembrare non narrabili, oggi che i fatti vivono soprattutto in virtù dell'enfasi mediatica: ed è strano accorgersi, nel confronto con l'oggi, che un pezzo del proprio passato si è fatto Storia e che noi ci siamo passati in mezzo con tanta noncuranza da conservarne quasi solo memorie un po' sciocche. L'anguria accuratamente scavata di nascosto dal cuoco della Brigata o la scalcinata macchina in dotazione che partiva con la chiavetta da scatola di sardine sono solo due fra questi ricordi da nulla, e taccio sugli altri chè potrebbero essere uguali in qualsiasi campeggio di ragazzi: però rimane il fatto che noi, allora, eravamo là. E, come ho scritto nel post a cui Stilobate ha lasciato il commento, è bello sapere che nel frattempo il paese allora distrutto è tornato ad essere un bel posto.
Oggi ci sono altre vittime, altri volontari: non so se allo Stilobate o ad altri della mia stessa età fa lo stesso effetto, ma a volte prende un grande sconforto nel vedere che, di generazione in generazione, le cose si presentano uguali se non peggiori. Ma nello stesso tempo è bello sapere che, come Bordano, anche noi che non facciamo della solidarietà un'occasione d'oro o uno sporco mestiere ci siamo, di generazione in generazione, ricostruiti. E riusciamo anche oggi ad esistere e resistere.

venerdì, aprile 03, 2009

UNA CENTRALE IN OGNI GIARDINO


Jeremy, non dovevi dirlo! Noi tutti contavamo sul fatto che i sostenitori italiani dell'atomo non se ne accorgessero - e forse non se ne accorgeranno ugualmente visto che non sono lettori de La Nuova Ecologia. Che riporta in questo numero la documentata opinione di Jeremy Rifkin, secondo cui la annunciata costruzione di centrali nucleari in Italia non avverrà mai.
Cioè che, com'era facile sospettare anche a prescindere dalle convinzioni in materia di energia, quello che il Gran Capo dei Buffoni vuole muovere sono solo i succosi appalti. E quello che sta dietro gli appalti ognuno se lo può immaginare.
"Scommetto che in Italia non ci sarà nessuna centrale nucleare" ha detto Rifkin agli studenti della Sapienza, in occasione dei dieci anni compiuti da Banca Etica. Secondo Rifkin infatti la quantità di energia che le centrali nucleari riescono a produrre è un'inezia: "Oggi in tutto il mondo sono presenti 430 centrali che realizzano solo il 5% dell'energia - spiega l'economista - quindi per poter arrivare ad avere un impatto sul clima (ridurre le emissioni di anidride carbonica) dovrebbero produrre il 20% dell'energia totale, ma questo significherebbe costruire tre centrali ogni trenta giorni per 10 anni, visto che ne sarebbero necessarie 2.000".
Inoltre, ha ricordato che "nel 2025 le scorte di uranio si esauriranno" e che "già non c'è abbastanza acqua per raffreddare i reattori, basti pensare che solo la Francia utilizza il 40% delle risorse idriche a questo scopo". Leggete anche
il resto dell'intervista - che merita e non è lungo.
E se credete che Rifkin sia di parte e magari poco serio dal punto di vista scientifico, potete sempre fare il confronto con la
mozione del PdL passata in Senato, in cui di fatto si nega l'esistenza del riscaldamento globale e di un'emergenza climatica.
Roba che in confronto l'accusare l'Onu di menzogna (l'Onu, eh, mica il vicino di casa...) e il farsi sgridare dalla Regina, diobono, sembrano segno di serietà.

mercoledì, aprile 01, 2009

RIFLESSIONI


Questo è un post che non è la prima volta che vorrei scriverlo. Un post che è già stato pensato in molte altre occasioni, da almeno vent'anni in qua, e per persone diverse - molte delle quali sono svanite dalla mia vita o addirittura dalla memoria, lasciandomi un frammento di "esperienza di vita", chè così viene chiamata.
Questo è un post che a volte ho pensato per me stessa, e a volte mi tocca di ripensarlo perchè tende ad essere soffocato da più bellicosi istinti.
Che sia chiaro, perciò, che non voglio mettere i piedi in nessun piatto - dalle parti della Comune-ty i piatti vengono già abbastanza calpestati senza bisogno dei miei interventi :-) - perchè è un riflessione generale, sul mondo l'universo e tutto quanto.

E' una riflessione sull'equilibrio e sull'equità.

Parecchissimi anni fa, io non ero molto amata nei giochi di squadra: pallavolo o fazzoletto che fosse, ho rischiato più volte le botte. Per fortuna ero agile e in più non mi lagnavo, nel caso, di sfracellarmi pur di fare punto, così le botte non me le hanno mai date. Ma le facce le vedevo, sissì, quando nel bel mezzo della lite furiosa fra le due squadre, io intervenivo calma:" No, il punto è loro, hanno ragione."
Era più forte di me: c'è qualche rigorosissimo antenato
cataro - i catari erano il partito marxista-leninista del cattolicesimo medioevale, una variante più severa del troppo allegro ascetismo  - che mi ha rovinato un po' la vita, e che non poteva astenersi dal riconoscere la ragione là dove mi sembrava che fosse. Neppure tacendo.
Oddio, sarebbe troppo bello se io riuscissi a vedere sempre la ragione dov'è, e perfino se riuscissi sempre a dar ragione a chi mi sembra averla. Nonnò, la storielletta amarcord è solo per dire che non ho esprit de corps: il che non significa che io non prenda le mie cantonate, non mi innamori di idee balzane e non le difenda appassionatamente, non litighi o non prenda posizione. Anzi.
Però credo che questa mia scarsità nel "sentirsi squadra" sia all'origine del cercare quasi sempre la motivazioni dei comportamenti altrui. Che non è una cosa sana da fare, in genere, come insegna il wiz ebraico in cui lo psicanalista si lascia sputacchiare tutti i giorni in ascensore da un suo collega, poichè il problema non è dello sputazzato ma dello sputazzante.
Infatti, una consistente parte dei miei pensieri inutili - tutti ne abbiamo un bel po' - gira intorno a questo grande busillis del capire troppo o capire troppo poco, essendo io perennemente in dubbio se quello che sto facendo può essere configurato come l'uno o l'altro errore. Naturalmente, mai risolvendo il dubbio una volta per tutte: altrimenti poi mi toccherebbe pensare inutilmente chessò, i gossip o le ricette o i commenti sul tempo.

E tutto questo è quindi solo la premessa alle mie riflessioni, giusto per dire in due parole che non voglio insegnar la vita a nessuno, dal momento che  sono convinta di non saperla.

Ma sono anche convinta che il diritto di dar fuori da scemi l'abbiamo tutti. Privatamente o pubblicamente, insultando ferocemente o minacciando il suicidio, parlando o agendo. Eccetera, secondo caratteri e storie. E che, quando succede che qualcuno dia fuori da scemo, l'esprit de corps sia una delle cose che fanno danno.
Poichè, in genere, si vengono a creare due opposti schieramenti e uno dei due è facile che sia formato da una sola persona. O da una sola categoria, o da una sola etnia. Succede, io credo, in tutte le comunità reali o virtuali: in caso di conflitto, c'è qualcuno che incarna il Torto. Magari ce l'ha, magari no.
E se sulle categorie e ancor più sulle etnie è più facile mantenere obiettività e lucidità di giudizio, se non altro in base all'assunto che ogni generalizzazione è perniciosa, e arrivare quindi ad un'opinione riconducibile anche razionalmente ai propri valori, nei conflitti tra singoli è difficile non lasciarsi trascinare.
Succede ai fansoni di uno dei due litiganti, e succede ai fansoni dell'altro, e per ognuna delle due squadre è l'Altro a incarnare il Torto, lui/lei solo/a.

Lasciatemi dire: non è mai così. E' logico, utile e fors'anche giusto che lo pensino, ciascuno dell'altro, i due litiganti. E' comprensibile, utile e fors'anche giusto che ciascuno dei due ricostruisca la storia comune nella propria memoria come se un riflettore illuminasse d'improvviso le zone d'ombra, che diventano i presupposti del Torto. E di qui a seguire: sono tante le cose furbe e sciocche che si fanno quando si è in mezzo a una lite per un posteggio, a un contrasto sul lavoro, alla fine di una storia, alla battaglia per lo spazio sul banco o per il più fico del ballo liscio geriatrico (non ridete, mi han detto che ci sono risse furibonde!).
E quelle cose giuste o sciocche le facciamo tutti, e quasi sempre le raccontiamo agli altri per averne non solo affetto e sostegno, ma anche appoggio etico e razionale. In quel momento siamo convinti di meritarcelo, che se mai è esistita una vittima quella/o sono io, ohimè meschina/o.
Ma, ecco finalmente il punto, io sono convinta che quasi mai si faccia bene a fornire sostegno razionale alle motivazioni che una persona può tirar fuori in una situazione di contrasto. Non abbiamo bisogno, per fornirle affetto e appoggio, di pensarla dalla parte della Ragione. Avrà le sue ragioni, che non necessariamente sono Il Torto dell'altro.

I rapporti interpersonali sono sottili equilibri tra equilibri differenti, come i castelli di carte, che sembrano solidi solo finchè stanno in piedi. E non sempre l'equilibrio che sta in piedi, del resto, è un equo equilibrio: fra colleghi, nelle amicizie e più di tutto nelle storie di coppia, l'equilibrio è spesso dato dall'accettazione di una disequità di base che, vista da fuori, potrebbe ampiamente meritarsi il nome di "iniquità". Ma che diventa davvero "iniqua" per uno dei protagonisti solo quando viene a mancarne l'accettazione.
Fino a quel momento, è percepita solo come "non equa" (e più spesso non viene neppure percepita) e può anche fornire moltissimi spunti ad interessanti contrasti: ma è solo quando il contrasto arriva a livelli "seri" che arriviamo a considerare non tanto la gravità della cosa in sè - qualunque essa sia - quanto l'ingiustizia nei nostri confronti. Dimenticandoci che fino a ieri quella stessa cosa ci sembrava fastidiosa, forse meschina o pesante, ma non così ingiusta come ci appare oggi. Anche perchè, in genere, una disequità viene compensata da un'altra in direzione uguale od opposta, esattamente come le carte che si fronteggiano e al tempo stesso si appoggiano l'una all'altra.
Ma nel momento in cui siamo diretti protagonisti di un contrasto, nel momento dell'urlo o del pianto o dello spintone, non siamo molto lucidi: sarebbe inumano riuscire a conservare, in quei momenti, la coscienza che abbiamo vissuto in un castello di carte.
Il contrasto potrà risolversi, eliminando la disequità o portandola a livelli di accettazione più equi o bilanciati, oppure potrà rivelarsi insanabile, e allora avremo anche più tempo per ragionare con calma e freddezza. E, di solito, per tornare almeno un poco sulle nostre posizioni, per capire che davvero Il Torto non è mai tutto da una parte sola, e se siamo bravi e fortunati anche per capire dove e quale è stata la nostra parte. Senza eccedere nel sentirci eroi o vittime, senza smentire del tutto ciò che abbiamo pensato con rabbia e tristezza, senza coltivare una rabbia e una tristezza ormai inutili.

In tutto ciò, le persone che ci vogliono bene ci faranno sentire il loro affetto e il loro appoggio soprattutto se, io credo, riusciranno a sottrarsi alla tentazione di credere davvero a tutto ciò che diciamo sull'Altro. Chè, in fondo, passate la rabbia e il furore, ci farà piacere essere considerati quelli che per anni non si sono neppure accorti di quanto fosse falso o gobbo o ignorante o superficiale o perverso o cecato o leso quell'amico/a, fidanzato/a, collega, amante ? Io credo di no, credo che il ruolo della vittima ci faccia sentire meglio per un po', ma poi sia una gabbia atroce. Così come credo che, in alternativa, dover smentire se stessi sia pesante.
Allora io penso che la cosa migliore che possa fare un amico sia quella di non credere del tutto a ciò che diciamo e pensiamo quando il cervello è pieno di rumore e di vento, mantenendo anche per noi  una piccola riserva mentale che forse ci aiuta anche a spegnere un po' la rabbia invece di alimentare il fuoco. 
Credo che, da amici (o da colleghi/fidanzati/amanti) , si possa e si debba mantenersi lontani da quella forma di spirito di squadra che porta ad assolutizzare cose, parole, condanne e accadimenti, magari convincendosi di essere tutti sulla stessa malefica barca: perchè stare lontani dal dramma e vicini alle persone, cercando almeno nella propria mente l'equità, mi pare il miglior modo di far sì che chi è in mezzo ad un contrasto possa recuperare più in fretta il proprio equilibrio.