giovedì, marzo 31, 2011

SVENDESI

Ho fatto a meno di vedere lo show del nanomalefico. Vedere (pochissimi) video sul web invece che in TV ti permette di scegliere: di solito scelgo niente del tutto, ma oggi mi sono guardata Franceschini (voto 8, se anche evita di accodarsi a chi agita lo spettro dello violenza sessuale è meglio, neh? ma se tutto fa, gli passiamo anche questa) e Bersani (voto 6, sbaglia tutte le conclusioni, gli ha mai detto nessuno che sono incomprensibili?). 

Però lo schifo di quel buffone che va a parlare di ville e casinò mentre la gente muore sui barconi, no, non lo posso reggere. E credo che ci faccia vergogna, a noi tutti, che lui pensi di poter condire via - come si dice dalle mie parti, il significato è intuitivo  - la gente di Lampedusa in questo modo, facendo baluginare ancora una volta dollarones, lussi, promesse di notorietà.
Quella stessa gente che, per quello che se ne sa quassù, fino a oggi era stata ammirevole, evitando di riversare su altri poveracci una rabbia che pure sarebbe stata giusta perchè, come disse una donna del sud all'epoca della rabbia indirizzata contro i rom "noi qua stiamo già una chiavica, se ci vengono pure loro..." . 
Eppure no, la gente di Lampedusa ha anche fatto un monumento ai migranti, una grande porta aperta sul mare, e li ha aiutati sfidando leggi inique: e forse anche per questo, il governo di malfattori che abbiamo li ha puniti lasciando che sull'isola la situazione diventasse esplosiva, per gli abitanti e i rifugiati. Ma non meritano comunque di essere insultati con promesse di soldi facili, di arricchimento servile. 

Se il nano può farlo e lo fa, è perchè questa sciagurata nazione è risultata troppo spesso pronta a vendersi, a lasciarsi attrarre dal gatto e la volpe che promettono monete sotto l'albero, senza porsi problemi morali, come la vergognosissima farsa della finta terremotata in Tv ha dimostrato. 
E questo è quello che va facendo, con metodo e determinazione, questo governo che ormai non finge neanche più la democrazia, se non nei suoi discorsi piagnoni e rivendicativi: sta svendendo tutto, coscientemente. Il disegno di fare dell'Italia esattamente la chiavica dell'Europa è sempre più chiaro: le centrali nucleari che gli altri dismettono, i trasporti ferroviari distrutti e vilipesi  quando gli altri li potenziano, la cultura azzerata, il turismo riportato a quando eravamo così poveri, così ignoranti, così pittoreschi, che gli altri venivano a vederci. 
I giochi sono quasi fatti, non ci vuole ancora molto per trasformare il Bel Paese nel paradiso di finanziare e multinazionali, i "nuovi agrari" del nuovo millennio, che come allora sostengono il fascismo. Un fascismo in linea coi tempi che, come succede nelle strade dei centri storici svenduti, tiene il nome dei vecchi e onesti negozi e ci mette dentro l'orpellume firmato.
Ma perchè c'era solo il popolo viola fuori Monetcitorio? Perchè nessuno ha lanciato una mobilitazione immediata? Perchè il Pd pensa che possa bastare, ridicolmente, la voce e la protesta di due suoi esponenti, invece di quelle delle migliaia che sarebbero disposti a farla sentire? Dove sono le Fabbriche di Sel, le genti di Rifonda, dove sono i democratici sinceri? Cosa possiamo fare?

Scusate lo sfogo: in una giornata in cui il mio animo potrebbe e dovrebbe essere sollevato per i fatti miei, i fatti di tutti mi disgustano e non riesco a non raccontarvi la mia rabbia, che comprende quella di ieri. Con i manifesti della Moratti ovunque in giro, a Milano, il suo sorriso falso come le loro promesse in un dispendio di soldi che balza agli occhi, con i mendicanti che non stanno fermi ma elemosinano mentre camminano e perfino loro sono aggressivi, con il venditore di incensi con cui due fanno prima gli amiconi e poi, tirando fuori un tesserino:"Facci vedere i documenti, bastardo". 
Con la voce monotona che nelle stazioni annuncia ritardi di venti, quaranta minuti in treni che partono trenta chilometri più in là, e treni "soppressi" , che tu debba andare a lavorare oppure a Zurigo, e lo sai solo all'ultimo momento.  Con le facce tese e le scarpe scalcagnate di immigrati tristi, in giro da soli nelle zone più brutte di brutti paesi. Con la paura che anche qui, nell' "oasi felice" come la definiscono tutti tranne gli stessi genovesi, stiano arrivando, siano già arrivati, a imporre questo schifo di modo di vivere, dove la paura è l'alleato fedele dei padroni.
 

mercoledì, marzo 30, 2011

GITA SOCIALE (partecipanti due)




Gita a Milano. E già che si era lì si è tirato lungo fino a questo posto con la pretura fatta con la scatola delle costruzioni, dove ci aspettava da un po' la mostra di Giacometti.


E, ve lo dico subito, non è che sia proprio facile trovare robe in giro che ti lasciano lì come un allocco, a guardare intanto che stai zitto e non ti accorgi del tuo silenzio. Questa è così, e ti becca appena entrato. Solo dopo, dopo che ti sei riscosso dalla figura di donna che ti accoglie con i suoi spigoli e le sue zampe di ragno, ti accorgi che è bello tutto: le opere 
esposte, ovvio, ma gli schizzi e i quadretti, le frasi, l'autroritratto di Van Gogh copiato sul libro stesso che lo riproduce, le note sulle pagine di giornale. E l'allestimento ascetico, geometrico, bianco e grigio di luce e di specchi e di grandi foto, di ombre di scure figure allampanate, di visi che si vedono solo di profilo, di materia cruda - che sia metallo, colore o matita - che vien fuori in fili e bozzi, in protuberanze e sovrapposizioni, a formare guance e nasi, labbra e menti e capelli. 
Ammetto facilmente che mi sto lasciando trascinare dall'entusiasmo ma, credo, a ragione ragionissima: però non insisto più in una impossibile descrizione e mi limito a segnalare la mostra a tutti quelli che ci possono andare.  E a usare per i miei scopi perversi due frasi giacomettiane: la prima va benissimo per il mio blog, questa seconda dovrebbe stare dietro la scrivania, contro tutti  i perfezionismi - e anche le presunzioni.




Ma un viaggio, sia pur minimo, porta sempre un sacco di pensieri, osservazioni, impressioni, domande. Per esempio, perchè in metropolitana non ci sono odori (a dire il vero, c'è l'odore di assenza di odori, ma si va sul sofistico) ? una spiegazione ci sarà, ma non la so.
Più seriamente, avete notato che più le amministrazioni sono contro l'immigrazione e la povertà, più immigrati e poveri sembrano pericolosi e importuni? 
E, ancora : ai vertici di Trenitalia ci sono dei pazzi dichiarati? Dopo aver sentito, alla stazione di Milano, che "il treno eurostar per Zurigo oggi non presterà servizio" ne sono convinta: inutile precisare che l'annuncio era dato mezz'ora prima della prevista partenza, e non era certo l'unico di quel tipo.
Ma questi sono i trailer dei prossimi post, che la sveglia all'alba non fa bene alle elucubrazioni notturne.
E, a proposito: ho visto l'alba, ho visto l'alba... nonnò, non mi fregate. Ho avuto la conferma che fra alba e tramonto è il secondo che merita di essere visto, non c'è proprio gara: sappiatelo, amici gufi.

lunedì, marzo 28, 2011

METATURISMO IN LIGURIA

Per questa volta niente foto, 'contentatevi del parlato. Del resto, nessuna foto potrebbe rendere degnamente questo episodio della serie di Ceccon e Balbontin. 
Il posto è l'hotel ristorante bar Marinella, un curioso edificio a forma di nave sulla Passeggiata di Nervi che, lo si apprende una volta entrati scrutando bene le foto d'epoca appese nell'angolo più buio della sala, ha sostituito in epoca persumibilmente fascista un delizioso chalet liberty con tanto di mulino. Ma anche la nave avrebbe il suo fascino, con gli oblò e le ringhiere a proteggere i tavolini affacciati sul mare. Be', quasi affacciati sul mare, perchè alcuni sono ugualmente esposti alle fresche brezze marine, ma protetti da un vetro. Opaco. 
Il mio compagno di avventura in questo frangente nota, entrando, che questo strano posto ha sempre avuto un aspetto un po'... sgarruppato, no? Confermo, chè anch'io me lo ricordo, da piccola: grande, un po' inquietante, forse giallino invece che bianco, ma sempre un po' scrostato, qualche porta chiusa, qualche angolo con le sedie impilate.. Comunque. 
Una volta seduti, ci immergiamo nelle chiacchiere senza che nessuno venga a disturbarci. Nè subito, nè dopo. Proprio mai. Anche se una ragazza in abito vagamente camerieresco percorre su e giù il locale con una scopa, incurante della povere che rischia di depositarsi nelle tazzine, passandoci accanto più volte in tutta calma. Finchè la chiamiamo: appoggiata lentamente la scopa al muro, ci chiede cosa vogliamo. Un tè e un gelato, che gusti ci sono? Che gusti? Oh, ehm, che gusti... Crema - esitazione - Crema, cioccolato... - altra esitazione - ah, fragola. Aspetta, in fiduciosa attesa, ma  noi incalziamo, non c'è nient'altro? Mmmm, altri gusti... ah, limone! si illumina.  Torna a spegnersi alla richiesta "limone e cioccolato" e già riprende in mano la scopa, quando aggiungiamo "ah, anche una brioche vuota".  "Le brioche sono all'interno, può prenderle." 
Non replichiamo, e proviamo a chiederla di nuovo - più per prigrizia che per volontà di essere pignoli - quando un altro cameriere porta gelato e tè. Ma la risposta è identica: "Per le brioche può servirsi, sono dentro." Non immaginatevi che "dentro" ci fosse un assortimento tale da giustificare il self-service: c'erano quattro brioche, tutte vuote. Eppure un misterioso tabù, evidentemente, vige su cornetti & affini, che alla Marinella non possono essere toccati dai camerieri. In compenso, il tè è stato servito in un mug blu di misura media riempito di acqua e già provvisto di fettina di limone, con bustina sul piattino. Non abbiamo chiesto la torta di riso.
Ma, guardate qui, non sembra un posto perfino lussuoso, sul web? E c'è anche chi ne è davvero soddisfatto, a dar credito a questa opinione
Chissà, criticare la genovesità sarà anch'esso esercizio di mugugno?







venerdì, marzo 25, 2011

FINCHE' LA BARCA STA

Sì che magari noi non facciamo testo. E, senza dubbio, un gruppo di gente che partecipa a qualcosa chiamato "Primavera Primafalsa" non si pone come attendibile. Però.
Però dovevate vederle, le quattro squadre, a costruire ognuna la sua barca. Che non vi posso spiegare il gioco, cari lettori vicini e lontani, perchè come tutti i giochi è noioso da leggere quanto è divertente da giocare, ma insomma per la prima volta il KGgB ed io avevamo inserito questo elemento creativo-manuale del costruire la Nuova Nave dei Mille. Naturalmente, dopo aver risposto a mille demenziali quesiti  "Vero o falso". Ed è da non credere come tutti si siano impegnati seriamente e al tempo stesso si sia creata all'istante un'atmosfera rilassata: fischiettando e inventando, decorando e ragionando, provando e riprovando,  realizzare la nave più bella è stato un compito inaspettatamente ben accolto. Per noi due organizzatori, che li guardavamo "da fuori" è stata una rivelazione: che se il bisogno del gioco è stato ultimamente riconosciuto - e sta anche per essere anche lui sfruttato nei modi più biechi - il bisogno di fare le torte di fango non è ancora stato adeguatamente studiato. Ma esiste, eccome, e sa sfruttare la Pausa Birra nel migliore dei modi.



mercoledì, marzo 23, 2011

INEVITABILITA'

A volte mi succede. Abbastanza spesso, devo dire. Senz'altro più spesso di quanto gioverebbe ala mia vita produttiva, anche se il buon Brezsny sostiene che dovrei fottermene proprio, della vita produttiva. Ma, che me fotta o no, ci sono appunto volte che non posso oppormi: un'idea, di solito diversa da ogni altra idea io abbia mai avuto, comincia a ronzarmi intorno e non si toglie più. Non tanto come un moscone, ma come quei moscerini che, silenziosi, si fanno vedere con la coda dell'occhio, si posano un attimo sulla pagina che stai leggendo, ti ballano appena davanti allo sguardo e per un po' neanche ci fai caso. E poi li vedi sul vetro, sul ripiano del tavolo,sulla manica del maglione, li devi scacciare con la mano, ce li hai sempre lì intorno... ecco, arriva poi il momento che qualcosa devi fare. Arriva il momento che quella cosa lì la devo fare. Qualunque sia. 
L'ultima si chiama "Città d'acqua" - anche i nomi si impongono da sè, non c'è modo di opporsi, anche se in corso d'opera possono poi cambiare - e sono le mie Foto di Finestre montate su legni e legnetti che il mare porta a riva. 
Per ora ne sto realizzando una, ancora in progress, e non ve la racconto più di così perchè il racconto di una roba visiva non è mai esaltante, neh? 
Posterò la foto appena la prima Città d'acqua sarà completata, ma intanto sappiate che sto andando in giro a fotografare portoni e finestre ancor più di pria: ma ieri il mio giretto ha contemplato la via più che "bene" della città, in cui ultimamente ero andata solo per prendere parte a qualche sit-in. Era un bel po' che non guardavo le vetrine, e solo ieri ho scoperto i prezzi che, come dice la mia amica-che-ci-sto-proprio-bene, sono lo stipendio di un precario. Anche due stipendi di un precario, per un vestito: e immagino oltre, anche se non ho indagato. 
Sì, ecco, lo so che è un po' provinciale stupirsi, ma far finta di non vedere un divario tra i ricchi e la gente normale che aumenta continuamente e senza alcuna vergogna non è bello, no.
Per fortuna, poco più in su, l'orologiaio dal 1902 mi propone una vetrina che è ancora uno spettacolo, con il marmo verde, il legno lucido e l'iscrizione scolpita. E perfino, nel suo gusto antico, una metafora azzeccata, non vi pare?

lunedì, marzo 21, 2011

VERA PRIMAVERA

Avevo sempre pensato fossero due magnolie, quegli alberi che vedevo laggiù, dal balcone. Invece oggi, passandoci sotto, li ho visti ricoperti di questi bei fiorellini verticali. Nel giardino della Rocca si vedono anche svolazzare i pettirossi, invano puntati dal gatto Ugo, mentre i bambini ripetono quel gesto così antico di raccogliere nel prato le margherite per portarle alla mamma. La primavera una ne fa e cento ne pensa.

UN LOWCOST DI VITE UMANE


Dice: ma guarda che, in fondo, mica è successo niente alla centrale. Anzi, tanto niente è successo che adesso nessuno ci pensa neppure più, al rischio nucleare, e tutti pensano alla guerra. Dice: ma hai visto che in fondo forse stanno facendo bene a far la guerra, se Gheddafi - bastardo lui e la sua progenie, non proprio come Saddam che torturava i gatti fin da piccolo ma insomma pazzo e paranoico che forse prima non si poteva dire ma ora sì, che l'abbiamo semper saputo ma si faceva finta di niente, neh?  - sì, insomma, Gheddafi forse si ritira.. a meno che sia un bluff, oh ma che bluff, tanto qui non ci arriva e mica siamo in guerra, l'ha detto anche Napolitano, cos'è, non ti fidi neanche più di Napolitano, adesso?
 
Nonnò, mi fido, mi fido. Uh, se mi fido. Però mi piacerebbe che qualcuno, magari un'Opposizione, mi parlasse, invece che di un'astratta "guerra per il petrolio" - che è formula chiara, sì, ma evidentemente non abbastanza - o di un'ancora più astratto "rischio nucleare", di quello che significano, sulla nostra vita, queste formule. Mi piacerebbe che qualcuno mi dicesse: guarda, di fatto tu hai a disposizione 100 chili, litri, megatoni, secchi, manciate di energia, adesso, che viene presa un po' da tutto il mondo. Quello che ci fai con i tuoi 100 robi nessuno ci mette il becco: puoi farti tutti i vikènd in aereo, se ti va, sennò in automobile, o magari anche passerteli sulla tua moto d'acqua che è così utile, e in più fare tutto quello che consideri "normale", che per noi è davvero "normale". Tu te ne strafotti se per far andare il tuo bel lowcost oggi abbiamo ammazzato tre bambini e quattro donne incinte, senza contare i loro fratelli? Te ne strafotti se una quarantina di persone - cosa vuoi che sia, una quarantina? - tra dieci anni gli andrà in vacca la tiroide, o se qualcuno si incazza ancor più di adesso e pensa che sia giusto e santo vendicare i morti mettendo un'autobomba che farà, bof, una ventina di morti forse neanche? No, lo so che non te ne strafotti: è solo che ti sembra inevitabile, che pensi che se non lo farai tu lo farà qualcun altro. E mica ci hai tutti i torti, forse.
Forse.

Ma lasciatemi sognare un po'. Lasciatemi pensare che una volta qualcuno, non necessariamente in Italia, dica a tutti: guarda, rinunciamo tutti a 20 dei nostri robi. Facciamo un gesto dimostrativo, portiamo,  invece che l'oro alla patria, la ferraglia all'ammasso. Portiamoci la seconda macchina o magari anche la prima, portiamoci quelle robe malefiche che sono le asciugabiancheria (in Italia!), i lampadari a dieci lampadine, l'asciugasmalto e il puliscigioielli e il pettinagatto e l'illuminasassidagiardino, la luce del corridoio che rimane sempre accesa e la vecchia 500 che è bellina, sì, ma ormai consuma come un Suv. E naturalmente portiamoci i Suv, e il motorino di quel cretinetti che va avanti e indietro sgasando, e le quattro piscine riscaldate dove stiamo a mollo per rilassarci, perchè nessuno di noi è senza peccato ma le nostre pietre finiscono  sempre addosso agli altri.
Ecco, chissà, magari quel gesto funziona. Magari funziona di più che mettere il tricolore alla finestre, magari un'Opposizione che si Oppone potrebbe perfino avere la forza di farlo funzionare, di farne un gesto davvero dimostrativo. Significativo, addirittura: "io non ci sto". Non ci sto a farmi un bagno in piscina se questo vuol dire, come vuol dire già da un po', che della gente muore perchè io lo possa fare. Perchè questo è. Non da oggi, ma oggi ancor più e, man mano che le risorse andranno a scarseggiare in misura sempre maggiore, i morti aumenteranno.
Fuor da retorica, io credo che il problema dovremmo porcelo, un po' più seriamente di quanto anche i più sensibili e più intelligenti fra noi stiano facendo.
Anche se, duole notarlo ancora una volta, un'Opposizione che organizzi un pur semplice gesto non si vede traccia neanche in questa occasione.

venerdì, marzo 18, 2011

SI FA QUEL CHE SI PUO'


Anche questo può essere un modo di celebrare, riconoscendo uno dei pochi dati davvero nazionali: la capacità di arrangiarsi. Ovvero, l'abilità nell'ingegnarsi. Ovvero, la necessità di infurbirsi. Ovvero, l'impossibilità di non arrabattarsi. Ovvero, l'imprescindibilità dell'adattarsi. 
Un'arte verso cui noi, pieni di orgoglio nazionale, abbiamo questo sorriso sornione, un po' di compatimento e un po' di ammirazione. 
Naturalmente, non occorre essere molto attenti per trovare esempi di
questa virtù nazionale, ce n'è dappertutto.

una grondaia, probabilmente, sul retro di una chiesa.


Sotto casa, per l'appunto, eccone due. 
Nel primo, la paletta rossa è indubbiamente il tocco del genio, del secondo bisogna narrare la piccola storia. L'aiola che si vede è pubblica, sul lungomare, accanto a un chiosco di bibite. Il gestore del chiosco ha adottato l'aiola, curandola e appendendo ai rami, fino all'anno scorso, poesie e pensieri plastificati. Ognuno poteva partecipare, ma a certo punto questo work in progress di arredo urbano fu abbandonato, non si sa perchè. Il chiosco è chiuso, ma ai piedi di un bell'albero ci sono variopinte piantine di primule e violette, segno forse che l'attività estetica riprenderà di qui a poco. Però, però, l'ingratitudine umana è grande: come si si può leggere sul cartello (anch'esso plastificato) "Questa zona è videoregistrata con videocamera. Abbiamo scoperto chi  ha rubato le piante. Si devono vergognare."
L'arte di arrangiarsi accumuna derubanti e derubati con triplo salto carpiato. Una ola.










mercoledì, marzo 16, 2011

MARE

Non lo si guarda allo stesso modo, no. Almeno per un po', almeno fino alle prossime giornate di sole. Adesso, sotto una pioggia che sa di novembre nonostante le gemme su ogni ramo, e le ondate che hanno reso la Spiaggetta simile a una scarpata, non si può che avere un movimento istintivo quando un'onda appena più forte ruggisce verso di noi, e ci si ritrae. Senza parlare, nè commentare, senza saltare via o spaventarsi davvero: ma, insomma, si fa un passo indietro. Chè forse è proprio quello che mare e terra stanno cercando di dirci, a voler essere animisti. E anche a non volerlo essere, sul passo indietro che tutti dovremmo fare c'è da riflettere seriamente, finalmente, intelligentemente. 
Il "tornare indietro " viene agitato come uno spauracchio, quasi che rinunciare a tre cellulari, due auto e quattro tv volesse dire automaticamente ripiombare nella miseria, nella mortalità infantile (giuro, c'era in un commento a un articolo!), nell'abbruttimento delle casupole buie e disadorne: che malafede, signori. Basterebbe non sprecare per rendere inutile qualche centrale nucleare, basterebbe limitarsi per rendere inutile costrurne di nuove, basterebbe essere un po' meno avidi per rendere il mondo un po' più sicuro. Sembrano menate retoriche, lo so, e non sarebbe certo semplice come dirlo. Ma cominciare a pensarci, almeno, sembra doveroso, quando perfino cielo e terra e mare si ribellano al nostro sciocco egoismo.

lunedì, marzo 14, 2011

LA GRANDE FIFA

Vien da pensarlo malgrado l'ateismo. O forse, ancor di più proprio se si è atei, chè vien voglia di credere quella bella teoria - ormai dimenticata - sul pianeta Gaia e la sua capacità di difendersi e rigenerarsi "malgrado" gli esseri umani che, hai visto mai? magari sono in grado di interpretare un messaggio così puntuale.
Con la dovuta riluttanza a speculare su una tragedia tanto immane e non ancora conclusa, ma con il più ancor doveroso tentativo di evitarne altre, se possibile, non si può non riflettere sull'allarme nucleare di questi giorni, arrivato proprio nel mezzo della ripresa dei lavori della lobby nuclearista e, per noi, del dibattito sul referendum.
E con difficoltà, perchè i giornali della destra tuonano contro gli "ecologisti sciacalli", ma bisogna essere dei veri mascalzoni come il sindaco di Roma per lanciarsi in quel populismo becero che fa finta di non aver approvato il ritorno al nucleare dell'Italia per dichiarare:"Ah, ma tanto le centrali qui in Lazio mai, eravamo già d'accordo così." Le altre regioni, naturalmente, ringraziano. Magari mettiamole in Abruzzo, in Sicilia, in Irpinia, in Friuli...   Be', non merita una parola di più, ovviamente. 

Mentre merita che si ragioni su qualche aspetto fondamentale di questa vicenda: la prima, sottolineata anche dal pezzo sul Manifesto, è la più emotiva, quella che viene subito da pensare. Cinquantacinque centrali in un Pease altamente sismico, con una densità di popolazione altissima su un territorio circondato dal mare e grande (cioè piccolo) quanto l'Italia: è una vera sfida al destino, per la quale sarebbe bello inventare una nuova disciplina medica, la psicoetologia delle nazioni. Impossibile non pensare a una sorta di rivalsa, o di gigantesca rimozione, sull'aver subito le uniche due bombe atomiche di tutta la Storia. E per ora sembra che sia il destino, e non la rimozione - su cui sono state raccontate interessanti cose, come l'ostracismo dato agli eredi dei bombardamenti atomici -  a vincere.

Le considerazioni più razionali, invece, hanno al centro due punti: il primo è l'impossibilità di prevedere, e quindi garantire dal punto di vista della sicurezza, ogni possibile guaio possa accadere a una centrale. Uno degli incidenti accaduti in passato, mi pare Three Mile Island, si diceva sia stato provocato da un tecnico che, per verificare una fuga di gas, si avvicinò con una candela accesa. La realtà era meno semplice, senza dubbio, ma il cosiddetto errore umano fu determinante anche nel disastro di Chernobyl.  Che, come sa bene chi ha cancellato importanti documenti dal suo pc pur dopo ripetuti avvisi di "ma sei sicuro che vuoi eliminare il file?", non è mai del tutto controllabile.

Il secondo aspetto,  a ben vedere forse il più inquietante di tutti, è l'inattendibilità delle notizie in caso di incidente: tacque l'Unione Sovietica, tacquero gli Stati Uniti, e così fece la Gran Bretagna.  E ora il Giappone, pur con gli occhi del mondo puntati sul rischio, pare tener fede alla tradizione e non si sa cosa stia dicendo e cosa no. Lo denunciano esperti e scienziati, non i movimenti ecologisti. 
Ma anche se così non fosse, anche se ora il governo giapponese stesse dicendo tutta la verità, perchè sposare la causa di una fonte di energia che unisce un così alto rischio a una così ristretta conoscenza dei suoi meccanismi, della sue possibili ricadute, perfino dei suoi funzionamenti? 
Forse, per chi ne capisce, è bello sapersi fra gli eletti: ma dove c'è un gruppo ristretto di eletti c'è sempre anche un altro gruppo di più eletti ancora, che sa bene come manovrare la conoscenza per far aumentare i propri guadagni e il proprio potere. Poi arriva magari un Linux che glieli mette (un po') in crisi, e come fa? Allargando la conoscenza, facendo sì che ognuno più o meno sappia cosa sta succedendo e possa dir la sua.  
Le torri eoliche saranno bruttarelle, le lobbies economiche delle energie rinnovabili ormai ci saranno eccome: ma se mi cade sulla casa una torre eolica non ho bisogno dell'esperto per sapere (o più probabilmente non sapere) che avrò guai fino alla terza generazione, che mangerò insalata contaminata per mille anni, che mi conviene non respirare per qualche lustro. 
 
La campagna a favore del nucleare in Italia prosegue con mezzi leciti e illeciti, nonostante argomentazioni a dir poco folli, come quella dell'indipendenza energetica (pieni di uranio, qui da noi, neh?) e, purtroppo, è una campagna quasi bipartisan.  C'è anche gente di sinistra, a favore del nuclare: non si trova in bella compagnia, ma c'è.

Infine, l'ultima considerazione: quando agitano lo spauracchio del "tornare indietro", quando parlano di necessità delle centrali per far fronte al nostro fabbisogno energetico, un po' forse hanno ragione. Per costruire e far funzionare una centrale, in verità, occorre consumare tanta energia e risorse fossili da far venire il dubbio che sia economicamente sensato, ma come ho letto su un blog che non so più, "Un giorno penseranno che eravamo scemi, a spostare una tonnellata per trasportare settanta chili".

Eggià, appunto: il "nostro fabbisogno energetico" non è il nostro, è quello imposto e voluto da chi ci lucra sopra. E' quello che ci fa ammalare prima di essere in grado di salvarci, è quello che ci fa stare seduti tutta la giornata prima di diffondere le palestre a macchia d'olio, è quello che ci toglie le vitamine per darci gli integratori,  e via di seguito. Ci siamo abituati, a questo modo di vivere, che deprechiamo pur subendone il fascino: ma in tanti già stanno, stiamo, provando a cambiarne almeno alcuni aspetti. E non varrebbe la pena di sottoscrivere una possibilità di cambiamento più alta (e non necessariamente rinunciataria, anzi) per scongiurare definitivamente il rischio che comportano le centrali nucleari? 

Come fa notare Greenpeace, che ha lanciato un appello per accorpare le consultazioni elettorali, già ci sono i soldi che si sprecano per il referendum a giugno invece che insieme alle elezioni: "Con 400 milioni di euro si potrebbero istallare impianti eolici per dare energia a circa 200.000 famiglie italiane. Chiedi al Ministro Maroni di votare a maggio, favorendo la partecipazione democratica e risparmiando soldi pubblici."
Tanto per cominciare, neh?

POESIE NEI PANINI

Bagnati sit-in e sciocchi virus congiurano per tenermi lontana dai miei anonimissimi lettori, ripiombati nel più assoluto silenzio commentizio: io non me la prendo, mi basta un commento che una volta vi sfugga dalla tastiera per poi continuare a immaginarmi la vostra faccia là fuori e perfino per dedicarvi - senza dichiararlo, ma ognuno si riconoscerà quando è il suo turno - dei post "ad personam", ora che la locuzione è così di moda.  Ai lettori maestri, categoria numerosa, dedico per esempio queste foto del sit-in genovese in difesa della scuola pubblica: i sit-in non sono la nostra specialità, bisogna dirlo, specialmente se piove. Però, via, c'eravamo tutti: e noi non abbiamo saputo resistere alla tentazione di agitare ancora una volta il paracadute dell'Arci, pronipote di quello con cui giocava la Nessie un bel po' di tempo fa. 


sabato, marzo 12, 2011

URGH

Come sempre, di fronte alle grandi tragedie, per un blogger la scelta di tacere è discutibile, quella di parlar d'altro ancora di più. Chapeau ai giapponesi tutti, comunque, per il sangue freddo e la gestione di un avvenimento che nei filmati ci sembra un effetto speciale, tanto è oltre la portata di ciò che pensiamo possa accadere veramente. In Friuli, all'epoca, avevo sentito una scossa di terremoto che ha aperto l'asfalto: la macchina su cui ero è sbandata di colpo, ci siamo fermati e nella strada, davanti a noi, si era aperta una crepa, più o meno come quella che compare a volte nei muri di una casa. Nella mente, stamattina, ho fatto il confronto con le scosse che hanno aperto voragini, in Giappone.  E niente  si può dire utilmente, al riguardo. 
Così, forse per un bisogno di cose dolci e carine, vi posto questo video di una dolcissima cantante cilena, Charo Cofrè: credo che faccia parte di una serie di canzoni/video realizzate per i bambini, e sarebbe bello se la mia lettrice che sa lo spagnolo ci raccontasse qualcosa di più, o ci traducesse bene il testo di questa favoletta ironica.

giovedì, marzo 10, 2011

CONFORTI LETTERARI

Ecco, lì finisce che si suicida. 
Sto spoilerando, lo so, ma sarò lieta di fare ammenda se qualcuno mi dimostra che, arrivato a pag. 907, gli ho rovinato con questa mia rivelazione le restanti 275 pagine necessarie per arrivare alla fine de "La vita oggi". Che è l'ultima opera pubblicata dalla sempre meritevole Sellerio del fluviale Anthony Trollope, scrittore vittoriano (e anche l'inventore delle cassette postali rosse, tra l'altro) di cui ho già parlato più di una volta. 
Devo ammettere che lo leggo, come tutto il resto, da confusa autodidatta, e non so di lui granchè: quindi può darsi che sia cosa nota la sua passione per i dilemmi a sfondo etico  e per lo scavo psicologico di personaggi che si pongono in qualche modo oltre la morale. E se ne ""Le ultime cronache del Barset"" era il curato Crawley a essere protagonista di una non limpida vicenda senza tuttavia avere l'animo disonesto, ne "La vita oggi"  personaggi e vicende sono agitati dalla comparsa sulla scena di un truffatore senza scrupoli, dall'improbabile nome di Melmotte. 
Formalmente, le oltre mille pagine del romanzo sono dedicate all'improba fatica di una vedova con ambizioni letterarie, che cerca con ogni mezzo di mantenere con la sua attività il classico figlio dissoluto e la altrettanto classica brava figlia misconosciuta. "Con ogni mezzo", nella società vittoriana, non è ovviamente ciò che possiamo pensare ora: ma ipocrisia, adulazione, scambio di favori e debolezza morale sono il filo narrativo di questa satira presentata come una cronaca dei tempi.  Lord in miseria, bari, cacciatori di dote, scialacquatori, opportunisti, nobili sciocchi o semplicemente avidi fanno da contraltare ai pochi personaggi "positivi": un mugnaio che ragiona con i pugni, un possidente chiuso nella propria rigorosissima moralità, un promesso sposo indeciso a tutto, la ragazza succube della madre,  perfino una fanciulla del West assassina. Trollope mantiene tutti, buoni e cattivi, sul limite della comprensione e della simpatia del lettore: sì, fa un po' schifo, però... Fa eccezione, appunto, Melmotte: per lui non ci sono scusanti, è un truffatore venuto dall'estero, preceduto e seguito da voci inquietanti e tuttavia accolto ovunque in virtù del suo denaro, che spende e spande senza alcun apparente problema, fino a farsi eleggere in Parlamento.  

Vi ricorda qualcuno? Fin troppo facile leggere questo volumone in trasparenza, seguendo la megalomane follia di questo affarista inebriato dal suo stesso successo, gratificato dal proprio potere su persone così più altolocate di lui, esaltato dalla considerazione che riceve. Non fa distinzioni fra gli omaggi tributati al suo denaro e quelli alla sua persona, altrimenti dovrebbe accorgersi che i secondi non ci sono: ma Malmotte è tutt'uno con il suo denaro, e Trollope è bravissimo a delineare la progressiva disumanizzazione del grande truffatore. Quello che è interessante, più del ritratto e della scontata ma non del tutto vera constatazione che "non è cambiato nulla" sono i meccanismi psicologici che Trollope riesce a disegnare con precisione.
 Se noi, persone normali con un briciolo di senso etico, stentiamo a capire perchè si possa così rischiare la propria reputazione, la propria posizione, il proprio "onore" in spericolati giochini sporchi, siano essi economici o d'altro tipo, Trollope riesce a farci cogliere l'autoesaltazione di chi, sapendosi sull'orlo del precipizio, riesce tuttavia a rimanere in bilico. E spinge la sicumera, nutrita dell'adulazione altrui, a rischiare sempre di più in un' ebbrezza che si autoalimenta, sicuro che non ci siano nubi all'orizzonte che non si possano dissipare con soldi e corruzione, ma non rifuggendo dal provare a suscitare compassione e perplessità se queste possono servire. Melmotte non arriva a mettersi cerottoni sulla faccia, ma si fa un punto d'onore di ostentare superiorità e sicurezza anche quando sa di essere ormai rovinato. 
Poi, per fortuna, si suicida. E i destini di tutti tornano, a dispetto di o tempora o mores, più o meno a posto.
Ma, come si dice, è solo sugo di pomodoro e non realtà vera, ahimè.

mercoledì, marzo 09, 2011

CHIACCHIERE E RACCONTI

A teatro per Moni Ovadia, che ormai qui da noi chiacchiera come fosse nel salotto di casa sua, salvo che non lo si può richiamare ad un ordine mentale un po' più preciso, come invece si farebbe se lui non fosse su un palco. Insomma, uno svarione piuttosto che uno spettacolo vero e proprio, questo suo "Registro dei peccati" in cui si raccolgono citazioni bibliche, errori di traduzione (pare che la versione corretta di "Beati gli ultimi ecc." sia "In marcia gli ultimi della terra che presto saranno i primi": non proprio la stessa cosa, commenta Moni), storielle edite e inedite, riflessioni e provocazioni. Su tutte, almeno una mi sembra meritevole di essere notata, anche se ovviamente non mi ricordo il nome del Rabbi, che perciò chiamerò Rabbi Loew.
"Si dice che Rabbi Loew andasse nel bosco, in un particolare luogo, per accendere un fuoco e, cantando un salmo, pregare: in questo modo teneva lontani i pericoli dal villaggio. Quando morì, un altro prese il suo posto, ma con l'andare degli anni dimenticò il luogo preciso e si limitò ad andare nel bosco, cantando il salmo e pregando. Chi ne ereditò il compito continuò ad andare nel bosco, ma accompagnava la preghiera solo con un canto modulato, poichè non ne sapeva più il testo. Il suo successore si limitò ad andare nel bosco per pregare, e il successore del successore non andò più nel bosco. Tuttavia, si sapeva che un tempo c'era stato Rabbi Loew, che andava nel bosco, in un particolare luogo, per accendere un fuoco e, cantando un salmo, pregare: in questo modo teneva lontani i pericoli dal villaggio..."La storia rimane quando non c'è più altro ma, conclude Moni Ovadia, la storia è essa stessa la cosa che sembra non esserci più.
Un apparente paradosso - molto vicino a un racconto zen  - che non può mancare di affascinare chi si occupa di scrittura e  lettura (ma anche di bambini, e fiabe, e boschi...)

martedì, marzo 08, 2011

MEGLIO DELLA MIMOSA

" Migliaia di donne hanno detto o scritto quello che pensavano del loro uomo, dei loro uomini, degli uomini, e le loro idee sono state accolte dai protagonisti di tanta coraggiosa fatica al massimo come esempio di fantascienza, oppure di frustrazione, infelicità e follia. Tra loro, l'americana Valerie Solanas è quella che si è espressa con la certezza, la sicurezza, la violenza tipiche dei secolari giudizi maschili sulle donne, nel suo "Manifesto per l'eliminazione del maschio", scritto nel 1967. E' stata presa naturalmente per pazza. Da allora se la passa malissimo, da una casa di cura all'altra, vive in pensioni miserabili, è stata distrutta dalla sua sincerità, dall'illusione che anche per le donne esistesse il diritto civile di libertà di parola.  Ha detto per esempio:“Il maschio è un incidente biologico... E' una femmina mancata, un aborto ambulante, abortito già a livello genetico. Essere maschio è essere tarato, limitato nella sensibilità. La virilità è una malattia congenita, i maschi sono emotivamente storpi.“ Va avanti così per una quarantina di pagine, e la sua ferocia non ha scandalizzato, ha fatto ridere: una poveretta, una nevrotica, un'emarginata, una lesbica e una mitomane. Peccato che per secoli, da San Paolo a Cesare Musatti, da San Tomaso a Cesare Lombroso, da Otto Weininger a Proudhon, da Indro Montanelli a Amintore Fanfani, diciamo il novantacinque per cento degli uomini (ma forse tutti) abbiano detto e scritto e pensato e attuato sulle donne giudizi di gran lunga più sconsiderati: e non solo nessuno li ha giudicati malati di mente o checche, ma più o meno grandi maestri del pensiero e del costume, spesso anche fari di civilità e di progresso." 
Datati 1978, questi pensieri espressi dalla penna corrosiva  (ancora oggi, figuriamoci allora...) di Natalia Aspesi sono una goduria silenziosa, da leggersi ben ricantucciate sotto le coperte quando "Lui" si è addormentato o è scivolato via, in altri casi, per tornare dalla mamma, dalla nonna, dalla moglie. Per ridere sotto i baffi che siamo tornate a eliminare accuratamente insieme a tutti quei peli che loro, i maschi,  possono tenere ma noi no, chè ormai non se ne salva più uno e il mercato dell'estetica ha da rimproverarci solo il non essere tutte quante kingkonghe, perchè sai che guadagni? 
Anche se, è ovvio, c'è ben poco da ridere, salvo il pensiero - per ora postumo, ma non si sa mai - di come, per una breve stagione, li abbiamo straccionati: "E' tale  poi la sua ostinazione - dice ancora Natalia, che altrove parla senza remore anche di "imbecillità maschile" - la sua incapacità a capire, la sua permalosità quando l'essere maschio gli viene rinfacciato come un problema, e non apprezzato come il normale stato di chi è meglio, che è impossibile capirsi."
"Lui visto da lei " si intitola il libretto "scritto di getto e con mio gran divertimento" dice la Natalia nella brevissima prefazione intitolata "Trent'anni passati (quasi) invano". Ma su questo titolo dobbiamo darle un po' torto, chè almeno un cambiamento lo si nota subito: oggi, se appena una volesse dir la sua su un tema come la dignità delle donne (di gran moda) o la difesa della legge sull'aborto (nooo, out, out!) è d'obbligo faccia precedere le sue parole da "non sono femminista, ma...".  E' una frase trasversale, si usa moltissimo anche nella sinistra: non fosse mai che gli uomini ci si spaventano di nuovo, neh?
Ma poi ci sono i gruppetti sparuti, le irriducibili che a volte riescono a sintetizzare in una frase la realtà, come questa fotografata nello striscione esposto ieri a Roma da un gruppetto di appunto femministe: e mai è stata così atrocemente vera come oggi. 
Buon otto marzo, ragazze.

lunedì, marzo 07, 2011

DUE PASSI SUI SASSI

Chissà se c'è un limite alle cose che si possono notare, sempre diverse e sempre mai viste fino a quel momento, nello stesso pezzetto di strada... Se c'è, non l'ho ancora raggiunto e ogni piccola spedizione nei dintorni porta con sè il suo bottino: ogni scoperta avrà dietro di sè una storia, ma non sono abbastanza importuna o abbastanza eccentrica da andare in giro a chiederle. 
Così vi regalo le immagini e la storia ce la costruite voi, se volete: per esempio quella degli ex-voto intorno all'edicola formato mignon, dedicata alla Madonna. Tanti ex-voto, tante storie, oppure una storia sola? Ormai è raro vedere le edicole con ancora intorno gli ex-voto: forse questa resiste perchè è su un palazzo abitato, tra il portone e una finestra.
Anche se, poco più in là, c'è questa improvvisa e inspiegabile aria di Bronx che fa venire in mente le descrizioni della Londra protondustriale, in cui bastava girare l'angolo per passare dai quartieri ariosi ed eleganti ai più miserabili slums. 
Va bene, esagero, ma le fotografie dimostrano che mica tanto: e chissà perchè quella macchina è lasciata a sfasciarsi laggiù, sotto un bel palazzo dei primi del secolo, e come possono gli abitanti delle case lì intorno affacciarsi sul cumulo di spazzatura che, evidentemente, costituisce la somma dei beni terreni dell'ingegnoso occupante del sotto-ponte.
Forse a trattenerli dal dire e fare qualunque cosa efficace è il timore che quella forra incolta - che non si vede nella mia foto, ma è pari a uno stadio, quasi - una volta portata all'attenzione venga tradotta in cemento, chissà. 
Ma oggi, comunque, era domenica e per di più di sole: anche l'homeless avrà scostato le sue coperte e lasciata entrare un po' d'aria, credo, e noi senz'altro siamo andati alla spiaggetta libera. Che fuori dalla stagione balneare è un posto delizioso, mentre d'estate viene rimpicciolita drasticamente e riempita di tutti i sassi che tolgono dagli altri pezzi, recintati e resi a pagamento. Oggi offriva anche una lunga passeggiata salutare dopo il caldo del sole, con acqua fredda e lieve moto ondoso, sassi e ghiaia sottile alternati a sabbia: una meraviglia per le gambe e anche per l'animo. Una bambina bionda che giocava, anche lei con i calzoni rimboccati, mi ha guardato stupita: un adulto a piedi nudi a sguazzare sulla riva, senza neppure un bambino a fare da scusa? Già, senza un centro benessere intorno pronto a farlo pagare, il percorso Kneipp non vale, evidentemente.