mercoledì, febbraio 28, 2007

LA MASSAIA RURALE


oggi faccio una cosa che non faccio mai, mi copio da me. o mi cito, o mi plagio, come volete. chè so che i comunardy rimasti i paraggi non ci hanno il tempo di saltabeccare per i links a leggersi la mia rubrica su mentelocale.it, quindi la posto come fosse original.
Perchè della massaia rurale da un po' volevo parlare, ch'è persona interessante: e, giusto per i miei lettori più inimi e più consoni, aggiungo come prefa che è una compagna tosta, e ci si chiacchiera proprio bene. e i suoi libri costano davvero poco. e che suo marito, invidia invidia, ha tenuto tutte le spillette dal '67 a oggi, così per ogni battaglia che ci troviamo a ri-fare c'ha il suo memento.
ma basta, chè la rubrica è già lunga, eccola qui sotto:

Questa volta parlo di un libro. Di un libro e di una scelta di vita. Di una scrittrice che si definisce "massaia rurale". O di una massaia rurale che scrive libri, se preferite. Ma no, non pensate subito a diari naif scritti sulle lenzuola di casa, anche se in verità il libro di cui sto per parlare è senza dubbio un diario e, a suo modo, anche naif.
Però la massaia rurale, che si chiama Sonia Savioli, fino a un po' di anni fa viveva a Milano, la metropoli per eccellenza, e faceva la fotografa per la Cgil. Ora vive a Radda in Chianti, coltiva l'orto, fa l'olio dei suoi olivi, e scrive.
L'ho incrociata per caso, sotto forma di libro naturalmente, chè già il concetto espresso nel titolo mi attirava: era un librettino azzurro intitolato "Slow life" . Un librettino smilzo che si legge tutto d'un fiato a dispetto del titolo, con molte belle riflessioni sul "vivere lento sereno e contento". Che è una bella cosa, una cosa che tutti vorremmo - in teoria: chè poi ci troviamo mille modi per non farlo, e altri ci sono imposti. Lì dentro trovai l'eco, la conferma e un senso non solo personale delle mie "pigrizie", del mio impuntarmi a volte perchè le cose siano fatte con calma e bene, dei miei tempi lunghi che spesso invece mi rimprovero.
Ma insomma, poi me ne dimenticai, come troppo spesso si fa. Sonia mi tornò in mente un po' di mesi dopo, mi sembrava - a giudicare da "Slow life" - la persona giusta per un progetto che avevo in cantiere. La rintracciai, ci fu una bella chiacchierata telefonica. Un po' di tempo dopo lei mi mandò uno dei suoi libri, "Campovento", insieme ad una lettera scritta a mano. Non solo per educazione, ma perchè Sonia non ha il computer, per scelta. E "Campovento" è un libro di Utopia, di quelli che non si scrivono più perchè la gente ha troppo paura di essere giudicata ingenua per scriverli, o è diventata troppo cinica e sfiduciata per leggerli. Dopo quello, e un'altra chiacchierata telefonica, mi comprai "Alla città nemica" . Purtroppo riempito di errori da parte di chi il computer ce l'ha e non lo sa usare bene (peccato, la casa editrice Malatempora dà davvero una cattiva prova di sè in questo caso), il libro porta come sottotitolo vezzoso e provocatorio "diario di una donna di campagna": però è anche rispondente al vero, perchè Sonia parla davvero della campagna.
Della "sua" campagna durante la terribile estate del 2003, quando anche la gente morì per il caldo, e figuratevi gli alberi e gli animali. Solo che noi cittadini agli alberi e agli animali ci pensiamo poco, e poco ci pensammo anche allora. Se pensavamo alla campagna era con desiderio o invidia, durante quel caldo terribile, ci pareva che là si stesse bene. Invece no: forse noi ci saremmo stati meglio che in città, sicuro, ma che la campagna stesse bene proprio no. E Sonia trasforma, nella sua pacata rabbia delle note quotidiane sulle fonti seccate e gli animali morti, la nostra ignoranza di cittadini in senso di colpa. Ci dice, senza mezzi termini, che se vogliamo continuare a non vedere e a non sapere siamo complici di questa rovina del mondo, delle rondini che non ci sono più nei nostri cieli, dell'afa alla raccolta delle olive che ancora pochi anni fa si faceva con la giacca a vento e le mani gelate.
Ci dice che oggi noi occidentali abbiamo scelto di essere tutti "padroni", vivendo nel lusso del superfluo grazie alla fatica e alla disperazione di altri sfruttati: quelli che non vediamo, ma che producono in condizioni di miseria ciò che noi consideriamo ormai "irrinunciabile".
Io non condivido tutte le tesi di Sonia - lei ed io ne parleremo al telefono, prima o poi, in un'altra chiacchierata - ma credo che questo libro sia un bel regalo che la massaia rurale fa a chi se la sente di leggerlo: senza alcun rispetto per le leggi del mercato, anche editoriale, Sonia scrive infatti per l'urgenza del dire. Mischia le riflessioni sullo stato del mondo a pezzi della sua vita, parte dalla propria esperienza per far capire a noi che viviamo in città come vanno veramente le cose, si lancia in appassionate denunce e momenti di autocritica, descrive con nostalgia e stupore la "piccola vita" della campagna, com'era e com'è, non risparmia il vituperio a nessuno: e così facendo riesce a colpire la nostra immaginazione impoverita come nessun libro più meditato e mediato potrebbe fare. Perchè l'urgenza del dire possa trasformarsi in urgenza del fare: senza terrorismi, senza bisogno di narrare le atrocità che pure sa esserci, senza indicarci una via precisa o le cinquanta cose da fare per salvare il mondo, Sonia riesce a metterci in crisi. E io, che in genere non sono favorevole ai messaggi allarmistici che, pur giustificati, rischiano di respingere ognuno nel proprio guscio, trovo che la scossa data in questo modo sia salutare.
Dopo averlo letto, forse ognuno di noi tornerà alla sua vita di surplus e obblighi autoimposti, ma solo pochi riusciranno ancora a vedere le cose con gli stessi occhi di prima. E gli altri, almeno qualcosa proveranno a cambiare.

1 commento:

Anonimo ha detto...

ma come scrivi bene, gnucc