lunedì, maggio 07, 2007
NOSTALGIA CANAGLIA 1
Il post dell'amicae. mi spinge a uscire dal silenzio su questa operazione mediatica e di sapore fortemente nostalgico - troppo, per i miei gusti - che si sta compiendo sul '77. Qualunque cosa io dica potrà essere usata contro di me, lo so, e tuttavia credo che sia giusto sottolineare che, a dispetto delle commemorazioni di questo periodo, il '77 fu solo la fine di tutto. 'A sparacchiata finale, come quella dei fuochi artificiali, ma purtroppo il fuoco ci fu davvero. E fu un ottimo pretesto - o un'ottima ragione, a seconda dei punti di vista - per affossare il movimento, qualunque cosa si voglia intendere con questa parola. Infatti, di lì iniziò la perdita di quel patrimonio collettivo di lotte, di rivendicazioni, di aperture, di cambiamento, che aveva caratterizzato il decennio precedente: non è che i frivoli anni '80 siano nati per caso.
Chi aveva fatto politica negli anni precedenti, nel '77 si era già allontanato o si stava allontanando dalla militanza: errori, frammentazioni, delusioni, nonchè l'orologio biologico che per noi ticchettava un po' prima, come si sa; senza contare i morti che avevamo lasciato lungo la strada. E, soprattutto, l'offensiva della reazione: la definizione è di allora, ma il concetto rimane giusto e onnicomprensivo. Chè non si creda che i padroni stanno a guardare, quando gli sfilano diciotto cortei al giorno sotto le finestre.
Quando "scoppiò il '77" - e, sinceramente, nel mio ricordo rimane un fenomeno limitato, sia come estensione geografica che come coinvolgimento dei più, sia, ancora, come incidenza politica - noi che stavamo più o meno affrontando un lavoro, una casa, magari anche una famiglia, guardammo con ovvia simpatia e con più o meno attiva partecipazione i "ragazzi" che ripigliavano fiato, che facevano ancora casino.
Per un po' ci fu forse ancora un po' di speranza, poi ci fu molta incazzatura: anche a prescindere dalle "pistole sotto le giacche" di cui parla l'amicae. , il movimento del '77 prestò da subito il fianco a strumentalizzazioni, confusioni, devianze politiche. E già da un po' si era visto che erano esattamente quelli gli strumenti su cui reazione avrebbe puntato per affossare dieci anni di conquiste e di speranze. Non mi dilungo sul terrorismo nè sposo la tesi dei "provocatori" pagati dalla Cia :-): ma quei "compagni che sbagliano", come alcuni si ostinavano ancora a chiamare l'Autonomia o perfino le Br, consegnarono le chiavi della cantina in mano alla destra, e dentro la cantina c'eravamo noi, ormai confusi e un po' acciaccati, ma non vinti, non ancora. Non c'era e non c'è un giudizio di merito sul '77: forse non poteva che essere così, forse fu soprattutto un generoso tentativo, forse poteva andare un po' meglio comunque. Ma, di fatto, divenne la lapide del '68: e ciò non toglie che chi lo ha vissuto possa sentire di aver vissuto momenti irripetibili e spinte ideali bellissime e condivise.
Gli anni che seguirono furono gli anni di piombo, che trovo spiacevolmente spalmati da Wikipedia fino a comprendere tutti gli anni della contestazione, nonchè delle stragi fasciste. Invece no: gli anni di piombo cominciarono, molto concretamente, già nel '75 con la legge Reale che autorizzava la polizia a sparare "in caso di necessità". Che già la polizia sparava e aveva sparato, ma teoricamente non avrebbe dovuto: con la legge Reale, invece, poteva e doveva.
Ci battemmo ancora in molti contro quella legge, ma nel '78 fu approvata dalla maggioranza dei cittadini, nel referendum abrogativo che la sinistra "ufficiale" di fatto non sostenne. Sempre del '78 è l'istituzione dei corpi speciali di polizia contro il terrorismo e del 1980 sono le leggi speciali di Kossiga, che di fatto rendono l'Italia quanto di più simile a uno Stato di polizia. In caso di perquisa, tanto per capirci (e sapevamo che tutti, dal primo all'ultimo, eravamo stati schedati negli anni precedenti) poteva bastare avere in casa le canzoni di Lotta Continua per essere portati via. E forse incriminati e forse processati, e forse no. Ma intanto potevano tenerti là quanto volevano.
Allora, con il massimo rispetto e comprensione per chi scrive commenti nostalgici sulla bellezza di quell'anno (e molta ve ne fu, come nella prima manifestazione del G8 cui accenna l'amicae., per esempio), io nostalgia non ne provo. Nè per quell'anno nè per quelli precedenti. Non mi esalto, non l'ho mai fatto: ho ben presente quanto ci è costato, in termini di generazione e individuali, quel periodo. Non rimpiango niente e solo a volte mi godo, sempre con stupore, la curiosa sensazione aver fatto un pezzettino di Storia. Neppure penso che avremmo dovuto fare di meglio, anche se mi sarebbe piaciuto: è vero, è stata una parziale sconfitta, ma sostanzialmente speravamo di migliorare il mondo, e solo chi non ha visto il mondo dei primi anni Sessanta può pensare che non ci siamo riusciti.
Ma questo discorso vale solo se si comprende più di un decennio di ribellione, di lotta, di rabbia, di studio e di ragionamenti, di fatica, e anche di rischio: non vale se si prende l'ultimo pezzettino, già agonizzante, e lo si fa diventare rappresentativo di tutto il periodo. Fare così significa, come al solito, compiere un'operazione - forse più in buona fede di altre, ma ciò non toglie - antistorica e revisionista, che sostituisce il sentimentalismo melò a una più utile ricostruzione ragionata e fondata, in cui si parli del bello e del brutto senza dimenticare il contesto.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento