martedì, gennaio 15, 2008
IERI E OGGI
Così si chiamava una trasmissione tv di circa trent'anni fa, e adotto il titolo perchè oggi sono in vena di rimembranze: infatti lanessie mi ha portato in un phone center - sei matta, a chiamare con il cellulare? - per fare un po' di telefonate in Francia. Un posto come tanti, non "bello" come questo nella foto, chè l'idea di fondo è dell'estetica chissenefrega, ma a suo modo fin accogliente.
E mentre son lì che aspetto lanessie, guardo nelle cabine chè a parte noi tutti sono stranieri. due donne non giovanissime che parlano spagnolo, un ragazzo nero che si agita e discute in un velocissimo e strano francese, un papà marroncino con una seria e bella bambina a treccine...
E non posso non pensare a quando da quel tipo di cabine si chiamavano la Zì Cesira, o il Bepi, o Assuntina bbella che oggi è il compleanno. Io ero piccola, ma per tutta la mia infanzia rimase un fatto abbastanza comune chiamare il bar del paese, dove c'era l'unico telefono attorno al quale da due ore tutta la famiglia aspettava la telefonata di chi era al nord, in continente, lavìa. O, insomma, era emigrato, qualunque fosse il modo di dirlo.
I phone center non c'erano, allora, ma c'era l'ufficio della Teti (poi forse Stipel, poi Sip, poi Telecom), in via venti: entrare lì dentro era un'esperienza, percepita come tale. Perchè il telefono era ancora una rarità, e lo rimase ben più a lungo di quanto oggi sembri possibile, ma soprattutto perchè andare alla Teti - o Stipel o Sip che fosse in quel momento - voleva dire avere qualcosa di davvero importante e urgente da comunicare. E, già all'ingresso nel salone, con il bancone scuro là in fondo e le cabine in cui si stava rigorosamente in piedi, si veniva colpiti dal puzzo di fumo rancido (nessun locale pubblico ne era esente, allora) e dalla severità del nero e del marrone: la pretesa era di lusso, ma l'aria era da "facciamolo scuro così non sporcano". Ma, tolte le differenze superficiali, i phone center e chi li frequenta non sono uno spettacolo nuovo e strano, per noi che in qualche modo ci siamo passati stando dall'altra parte: e se bisogna cercare a tutti i costi una differenza... be', allora, chi stava dentro le cabine urlava come un matto dentro l'apparecchio, per coprire la distanza. E non sono gli apparecchi ad essere più avanzati, oggi.
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1 commento:
Davvero belle considerazioni,
c'è un pò tutto quello che non bisogna dimenticare in un contesto di calda umanità.
c'è quello specchio che spesso non vogliamo vedere ma che riflette comunque le nostre condizioni di un tempo che ci passiamo come un testimone fra popolazioni (e che continua sempre a girare...)
c'è la velocità esponenziale della crescita tecnologica che ci ha visto fare la coda davanti ad un solo telefono cablato per centinaia (o migliaia?) di abitanti solo 40 anni fa e che oggi vede (quasi?) più telefoni cellulari circolanti che abitanti
ma c'è una cosa che mi sembra più importante di tutte, la necessità che si aveva un tempo per comunicare qualcosa che implicava un impegno nel comunicare.
Questo caricava la comunicazione di un valore concreto: impegnare 1 ora o più fra spostamenti e fila per fare gli auguri ad una persona cara e rassicurarla che "da noi tutto bene" diceva qualcosa di importante, oltre le informazioni che passano elettricamente attraverso la linea telefonica.
...beh, volevo solo dire leggere il tuo post mi ha fatto pensare che oggi c'è una grande quantità di informazioni facilmente accessibili (e questo in se è bene) ma il nostro modo di gestirle non è ancora evoluto in maniera da farle valere più di quello che trasportano.
Penso al gossip che circola via sms o mms, alla gente che risponde al telefono a pranzo o al cinema spesso senza nessuna urgenza...
e sicuramente mi sfugge qualcosa.
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