martedì, agosto 28, 2007

NO ?

Chè uno tenta di resistere, ma l'amicae. è un provocatore nato e il suo ultimo post non può non chiamarmi in causa, essendo io a tutt'oggi l'unico genitore nella comune-ty. Ma i discorsi sull'educazione dei figli sono già complicati di per sè, oltre a presentare lo spiacevole risvolto che, parlando della propria esperienza, si finisce per sembrare vanagloriosi. a meno, naturalmente, che il proprio figlio non abbia appena dato fuoco a un barbone, nel qual caso ci si pone a modello ugualmente (avete mai sentito un genitore dire "abbiamo sbagliato tutto" in questi casi?) ma si risulta un po' poco credibili.
E allora, ecco, io non mi vorrei imbarcare in enormi e complesse questioni: ma, ecco, a me la "filosofia del no" non piace punto. Mi piace talmente poco che mi si rimprovera la mancanza della possibilità di trasgredire e anche questo, perchè no?, può essere un problema, e lo dico sul serio.
Ma, insomma, io credo che il "no" sia, in assoluto, un'altra forma di pigrizia, se si vuol definire pigrizia quella che porta molti genitori ad abdicare alla propria funzione educativa (e io non credo che la questione sia così semplice, chè lo stesso post della nessie ne dà chiave diversa e altre ancora sarebbero possibili). Perchè, ok, capita a tutti di doverne dire, di no. E in quei casi bisogna dirli, e affrontare il capriccio se i figli sono piccoli, lo sbattere della porta e le conseguenti ansie se sono grandi. E, in entrambi i casi, star lì a interrogarsi - e chi non è genitore non può capire con quale e quanto casino mentale e dispiacere - per capire se davvero quel no andava detto, o se la richiesta era più giusta e fondata di quanto sembrasse. Ma io credo che quello che manca ora non siano solo i no - anche se la tentazione di credere che il problema sia tutto lì è forte di fronte a un mucchio di comportamenti assurdi - ma tutto ciò che viene prima di qualsiasi no, e cioè lo scambio fra persone. Che un figlio è una persona, con caratteristiche tutte sue, fin da quando è neonato: noi possiamo dargli qualcosa, e secondo me dobbiamo dargli tanto, ma soprattutto possiamo e dobbiamo essere pronti a ricevere. Chè il suo mondo non è quello in cui siamo cresciuti noi e solo lui può aiutarci a continuare a starci dentro bene, ma solo noi possiamo fargli arrivare il messaggio che il mondo non è solo quello che lui vede, per esempio. E gli esempi potrebbero essere mille, piccoli e grandi, e forse non c'è un modo sintetico per definire questo scambio, chè "rispetto reciproco" fa venire in mente un sacco di robe paludate, mentre quello che ho in mente io è una bella risata insieme. Che si può fare solo quando, a grandi linee, si condivide la stessa visione del mondo, quando ci si trova sui valori fondanti (altra espressione orribile, ma vera): e allora io credo che il vero lavoro, quello faticoso, sia proprio quello di non lasciare i propri figli in balìa di chi non condivide i nostri valori. Che sia una nonna, la tivù, la scuola, la baby-sitter o la colf: e non sto dicendo, proprio no, che i genitori (trad. la mamma, of course) debba occupare tutto il proprio tempo e i propri pensieri a non lasciarsi sfuggire un attimo della vita del figlio. Chi fa così si vota a una vita e una famiglia infelice, si sa. Però ognmi scalta va pensata - e, se necessario, cambiata - con intelligenza e cognizione di causa: perchè è assurdo pensare, ad esempio, che la scuola sia solo un luogo dove si studia. O che la nonna che insegna a pregare ai figli di atei sia un'innocua vecchietta con le sue manie senili: senza peraltro drammatizzare, trovo che sarebbe più giusto se chi è convinto del proprio ateismo evitasse di lasciare i figli a una nonna che li porta in chiesa appena può e gli accende la tv quando c'è il papa, e magari anche li invita a pregare per l'anima dei genitori. Poi finisce che va nei papa-boys e i genitori scuotono la testa: "ragazzate...". Ecco, pur senza volermi imbarcare, sono finità già dentro un discorso difficile, perchè è ovvio che non si tratta di creare una campana di vetro con un ambiente che rifletta solo quello che piace a noi. Questo è ciò che fanno i genitori che di no ne dicono fin troppi, e generalmente inutili.
Ma, insomma, io penso che se ci si parla, e ci si racconta, e ci si scontra quando è il caso, e si ragiona e si cerca di far ragionare, ci si parla a tavola, ci si riconoscono le reciproche esigenze e anche ubbìe, e soprattutto se i genitori vivono in modo il più possibile coerente con i propri principi, ecco, allora i no diventano davvero pochi anche senza che un figlio debba stare tutto il tempo attaccato ai genitori o "in ambiente privilegiato". Chè la differenza arricchisce, ma ci sta dimenticando che i figli vanno anche protetti: non solo dai pedofili, ma anche e soprattutto dalla falsità, dalla vuotaggine, dalla furbizia. E che bisogna dargli gli strumenti perchè imparino, con i loro tempi, a rifiutare da sè i falsi miti e magari anche a guardare con un po' di disincanto anche i miti più veri e positivi.
Ho sempre sostenuto, comunque, che nonostante tutto ciò in qualcosa si sbaglia ugualmente, nonostante tutto ciò c'è anche la sfiga: ma contrapporre a quello che viene chiamato il "lassismo" (ed è invece l'adesione di molti genitori a un modello che essi stessi seguono per primi, criticando poi i figli quando ne evidenziano la pochezza) il bisogno di dire più no... ecco, a me mi sa di già sentito. Insegnare ai figli a scegliere, non smettere di provare a capire insieme a loro cosa è giusto e cosa è sbagliato, fornire esperienza in cambio di entusiasmo, buonumore invece di apatia, scambiarsi senso critico e autocritico, humor invece di lagne, riflessioni invece di appiattimento... questo è il difficile.

1 commento:

Anonimo ha detto...

E pensa che alla fine, dopo un quarto di secolo abbondante di automassacri per fare la madre per bene (son ben io la madre, per dio) il tuo post geniale sull'educazione verrà ricercato con la chiave "pedofili-adolescenti-giapponesi che succhiano gelatyi allo zibibbo-forza Genoa, alè".
Pensa come si sarebbe sentito Munari ai tempi di Gùgl (vale anche per il successivo)