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Giornatona, ieri, chè in fondo mica ci speravamo nella bocciatura del Lodo. E la notizia, saputa questa volta davvero in tempo reale poichè in molti si era lì ad aspettarla in vivolive, è stata accolta da entusiasmi, nonchè da un certo panico quando si è saputo che palazzo grazioli e palazzo chigi erano presidiati da poliziotti e blindati che non facevano passare nessuno, neanche i pedoni.
Ma se mi state leggendo, per ora l'allarme si è tradotto in uno sfogo - ormai sempre più dissennato, sempre meno sotto il controllo dei freni inibitori - dell'uomomalato contro i giudici di sinistra e il presidente della repubblica pure, che ce l'hanno tutti con me.
Ma ormai queste cose si sanno tutte e piace scriverle qui solo a futura memoria, del momento in cui... in cui accadde/accadrà cosa? si dice Fini con l'appoggio di D'Alema: 'a nuttata non vuole proprio passare, allora.
Però possiamo aspettare ancora qualche puntata di questa telenovela che ormai è diventata la politica italiana, sicuri che ci darà emozioni e batticuori con inconsueti effetti speciali. Reparti speciali, invece, speriamo no, anche se emozioni e batticuori sarebbero ancor più.
Nel frattempo, un'altra bella notizia è arrivata dai tribunali, e precisamente da quello di Agrigento, come scrive il Manifesto: "Assolti con formula piena, perché il fatto non costituisce reato. Non è reato, cioè, salvare vite umane in mare. Per fortuna. Si conclude così dopo cinque anni la vicenda della Cap Anamur, la nave appartenente all’omonima associazione tedesca che nel 2004 trasse in salvo in acque internazionali 37 migranti che si trovavano su un gommone in avaria."
Fra una battuta e l'altra sul lodo mancato, andatevi magari a leggere il pezzo sulla vicenda, che racconta un'altra storia tutta italiana.
La mia mamma aveva tre sorelle. E se io fossi stato un sociologo, uno psicologo, un antropologo, un pedagogo, un manager, sempre loro quattro avrei preso per studiarmi ben bene le infinite possibilità delle dinamiche di gruppo, del conflitto in perenne conflitto con la propria ricomposizione (vi sembra contorto? lo è) .
Ma, insomma, fra le tre sorelle ce n'era una con cui mia madre andava più d'accordo: e cosa fa quest'una sorella, se non diventare leghista e berlusconiana in tarda età? Stiamo parlando degli albori o quasi di quella che adesso è la destra marcescente che ci governa, ma la mia mamma non sopportava nè l'una nè l'altra cosa neanche agli albori. E così, le rare occasioni in cui le sorelle si vedevano e passavano un po' di tempo insieme - mia zia viveva, manco a dirlo, in Lombardia - erano avvelenate dal contrasto politico: che, a pensarci, era stimabile eppur ben buffo, in due arzille settantepassaenni. Non ho mai pensato che facessero bene. Capivo mia madre, con cui avevo in comune l'orientamento politico e ancor più il fastidio quasi fisico per "quelberlusconilà", ma mi chiedevo che senso potesse avere un simile contrasto: farsi portavoce e bandiera di un'idea a dispetto degli affetti...mah, forse può succedere, forse in alcuni momenti è giusto e necessario se può cambiare qualcosa, ma in generale mi pare soprattutto una conseguenza del nostro fallace senso di immortalità. Come se ci fosse sempre tempo per rimediare, tempo per ritrovarsi, tempo perchè l'altro si ricreda dandoci ragione: posizioni che possono avere un senso quando ad essere in discussione è la vita insieme, una scelta importante, una quotidianità condivisa. Ma quando si tratta di "io la penso così e tu cosà", quando si tratta di posizioni astratte ancorchè ideali, quando il tempo - oggettivo o soggettivo - è poco, a che pro scornarsi senza spostarsi di un centimetro dalle proprie posizioni?
La sinistra attuale sembra affetta dalla Sindrome della Scopa di Topolino, che si duplica senza
interruzione continuando a svolgere esattamente lo stesso compito, ormai diventato nocivo e pernicioso: in piazza, a Roma, abbiamo ricevuto volantini di almeno cinque o sei... gruppi? partiti? schieramenti? chissà... ed erano, apparentemente, tutti di sinistra. Senza contare il campionato nel PD e l'ambigua collocazione di alcuni partiti e schieramenti (Nuova Giustizia e Libertà - giuro! - dove si metterà, per esempio? ) . Essì che glielo stiamo dicendo tutti, alla sinistra: basta divisioni, bisogna essere uniti, bisogna lottare insieme. Le Brave Genti della sinistra - e ce n'è ancora per così - sono esasperate, stanche, stufe. Stufe perfino del beppegrillo incazzoso contro tutti (così dice, almeno), che finalmente, nota a margine, ha vinto il premio per il "miglior blog andato a puttane". Stufe di liti, di contrasti, di immobilismo.
Epperò, ecco, quando poi si tratta di valutare e decidere sulla singola cosa, ogni singola Brava Persona di Sinistra ha qualche motivo di profondo scontento, di amarezza, di critica: e non usa questi profondi motivi per intavolare proficue discussioni che portino a un compromesso fruttuoso, ma le innalza a barricata. "Con quelli lì, mai! Con quegli altri, mai più! Con questi, neanche" e così via. Le motivazioni, in genere, sono di per sè quasi sempre giuste se non sacrosante: le cose da fare sarebbero talmente tante che è facilissimo trovare errori ed omissioni anche e soprattutto in chi sta dalla nostra parte. E non glieli perdoniamo, no, pr
oprio
perchè sono dalla nostra parte. Pian piano, così, va a finire che ci allontaniamo: se n'è accorto perfino Jacopo Fo, guardate un po' qui. Ma, quello che è peggio, va a finire che ci rinchiudiamo.
Nel dibattito carino, anche nei modi, seguito al post sconfortato della Nessie, la valeaparigi usa una bella definizione per una sinistra ideale, dice che la vorrebbe "accogliente". Io capisco assai il post della Nessie e ne apprezzo i distinguo del post successivo: e penso che sarebbe bello se i sentimenti che li hanno motivati riuscissero a coniugarsi con la definizione di valeaparigi.
Ma di ciò alla prossima puntata.
Ce l'ho avuta, la tentazione di chiedergli se urlavano "Viva il Puffissimo!" o "Abbasso il puffissimo!", a quei due che si sono incrociati in Piazza del Popolo e si sono stati simpatici e se la ridevano insieme, finchè uno dei due ha chiesto:"Ma sei con Franceschini o con Bersani?" e l'altro ha risposto "Con Marino". "Ah." Il gelo e l'imbarazzo sono calati su di loro: cosa si fa se uno forse non è più un compagno ma è lo stesso un tuo compagno, eppure sta dall'altra parte senza che si sappia bene dove sono le parti, edi che cosa? Manco "alla prossima", si sono detti, tristi e perplessi.
Non era una manifestazione allegra, no, nè gioiosa, nè incazzata tosta: c'era lì "la società civile", con quello che di bello e di brutto si intende con questa espressione. "Civile" perchè contrapposta al becerismo dilagante, alla menzogna elevata a sistema, alla facciadipalta come metodo di governo, alla tracotanza e all'indecenza: ma "società civile" anche nel suo senso più borghese, più a modino.
Come ha detto il KGgB "Mai visto uno in giacca e cravatta dare i volantini in una manifestazione": sottinteso, in una manifestazione "nostra". Ma il punto esatto è che nostra quella manifestazione non era: per fortuna, chè se fossimo solo "noi" a preoccuparci per la libertà di stampa sarebbe davvero un guaio, ma anche per grande tristezza, che nel "noi" non possiamo più comprendere molti su cui fino a ieri non avremmo avuto dubbi.
Viva il Puffissimo o Abbasso il Puffissimo: purtroppo la questione non è così semplice, non ora almeno. La creazione del consenso passa anche dai miti accettati e che paiono alternativi quando in realtà sono a malapena "altri", passa dalla stessa logica di divisione e di personalizzazione, passa dal ritenere coraggio ciò che in tutto il mondo è normalità, passa da un pullman dove la gente ha fretta di arrivare all'autogrill e canta (ma solo a panza ormai piena) "Una rotonda sul mare" invece di Bandiera Rossa. 
Niente di grave, solo piccole tristezze, un po' di sconcerto e un bel po' di rimpianto. Niente che, forse, non si possa ancora rimediare, compresi gli occhi fuori dalla testa della tizia avvolta nella bandiera Pd che gridava "Ehi, ma ce sta Santoro!!!! Santoro!!!" Padre Pio, er Papa, er Puffissimo!!! Ma ci si consola come si può, anche della visione poco gratificante di quel paio di macchinone con scorta che avremmo voluto non vedere, e in un gruppo ristretto si è poi preferito sentire l'ignota (per noi) e brava banda di percussioni che ci è di molto piaciuta insieme al cartello danzante "Dammi tre parole/Silvio quando muore?"
I tempi sono questi e c'è da prenderne atto, così come non si deve trascurare chi invece - come noi, e si sbaglia sempre a pensare di essere unici e perciò soli - a Roma c'era senza miti, senza piaggerie, senza stupidità indotta. Ma anche senza facili entusiasmi, senza troppe illusioni: lo scontro politico che si gioca nei tribunali a suon di miliardi è un'aberrazione disgustosa, un'assoluta perversione di quella democrazia (già finta, già carente, già vuota) di cui si riempiono la bocca tutti, ma qui stiamo. Sentirsi pedine di un gioco che in gran parte ci sfugge non piace a nessuno e forse, almeno un po', giustifica perfino la stupidità o, almeno, il bisogno di credere ancora in qualcosa, foss'anche un personaggio della tivvù. O Marino.
Capire, o quanto meno
tentare di farlo, non ci fa sentire meglio. Anzi.
Ma è importante sforzarsi di farlo, è importante non lasciarsi travolgere dal disgusto e dallo sconcerto, dal rimpianto e dall'incazzo. Così come è stato importante essere a Roma, che i princìpi sono comunque più importanti di Santoro e di tutti i Puffissimi e ci tocca difenderli anche se la compagnia non ci fa impazzire: ma, ecco, anche i partigiani non è che fossero tutti quanti pappa e ciccia fra loro, no? La tentazione di chiudersi sull'Aventino è forte, già: ma si sa com'è andata a finire, e forse sarebbe meglio, invece, studiarsi qualcosa di nuovo.
Per la privacy, non vi posso dire chi è. Ma sogna spesso animali e, nei suoi sogni, gli animali sono sempre presenze benevole, rassicuranti, spesso divertenti e amabili. Anche nei suoi disegni lo erano: cani, uccellini, orsi, giraffe e perfino elefanti sfoggiavano sorrisi di una simpatia rara.
Si parlava quindi con lei di questi animali così belli da incontrare nel sonno o nella fantasia e pensavo, pur chiacchierando senza pretesa di filosofare, quanto può essere prezioso un inconscio così ricco di figure di riferimento buffe e simpatiche. E poi è successo che ho visto questa foto qua sopra fra quelle premiate di non so più cosa, e poi al ristorante un amico ha ordinato cervo e io ho protestato:"Ehi, è il mio totem!".
E mettendo tutto insieme alla fine ho pensato quanto è importante avere un pezzettino di quella che oggi viene definita Natura da identificare con il proprio io più profondo. Con la propria essenza, se non aborrite il termine, o almeno con un se stesso senza se e senza ma. Che da qualche parte esiste, ma che di solito trascuriamo, per obbligo o distrazione.
La mia essenza, per esempio, da tanto vorrebbe abitare vicino a prati e boschi: chi, meglio di un cervo, può raffigurarla? E' vero, negli anni mi sono andata identificando anche con il gufo, e non lo rinnego certo: ma dentro di me c'è ancora un bel po' di quel Daino che mi fu dato come totem quando ero Scout - ebbene sì, ma non è il caso di infierire, neh? - e che avevo quasi dimenticato.
Quindi ho elaborato la teoria del Patronus, che la Rawlings non si sa se è furba o geniale ma ci prende: solo che noi, più grandi del maghetto e dei suoi lettori, il Patronus possiamo benissimo lasciarlo dov'è, dentro di noi, e riconoscerlo lo stesso. E nei momenti di difficoltà, di sconforto o anche solo di bisogno di verità, provare a dialogare con il nostro Patronus, chiedendogli cosa farebbe al posto nostro, chiedendosi se davvero è il caso di nasconderlo sempre così tanto. O anche solo ascoltandolo respirare, sapendo che laggiù in fondo ci siamo ancora.
Sì, credo che Obama mi piaccia perchè davvero "ricorda Kennedy": ma secondo me fa venire in mente molto di più Bob, che era più in gamba e già immerso nel nostro mondo, che John.
Come Bob Kennedy, Obama riesce a mischiare i toni messianici con le riflessioni di buon senso, la grandeur americana con il rispetto per i deboli, il realismo con la capacità di immaginare. E, soprattutto sa, come tutti i grandi leader, infondere speranza pur promettendo sacrifici.
In ciò che Obama fa o dice si può senza dubbio vedere un grande costruttore d'immagine che lavora per lui, ma a distanza di quarant'anni si può semplicemente ritrovare quella voglia di cambiare che Bob Kennedy riusciva a trasmettere a tutti, anche a noi sfigati al di qua dell'oceano, e riprovare un frisson di quello stesso entusiasmo di allora, di quello che spinge a fare e a sorridere pur sapendo che stiamo combattendo una battaglia. Anzi, proprio perchè sappiamo che c'è una battaglia in corso e noi ci siamo dentro e scegliamo modi diversi ma armonici di partecipare.
"La scelta è nostra. Potremo essere ricordati come una generazione che ha scelto di trascinare nel XXI secolo le diatribe del XX, che ha scelto di rinviare le decisioni difficili, che ha rifiutato di guardare avanti e non è stata all’altezza, perché abbiamo messo l’accento su quello che non volevamo invece che su quello che volevamo. Oppure possiamo essere una generazione che sceglie di vedere l’approdo oltre la tempesta, una generazione che unisce le forze per gli interessi comuni degli esseri umani e che finalmente dà un senso alla promessa insita nel nome che è stato dato a questa istituzione: le Nazioni Unite."
Così ha detto Obama all'ONU ieri, riuscendo a trovare la mediazione non più "giusta" forse ma più realisticamente avanzata sulle spinose questioni che rimangono aperte, dall'Afganistan alla Palestina.
Non riusciamo più a fidarci del tutto, è vero, e va anche bene così: ma se siete capaci di leggere tutto il discorso di Obama senza provare neppure un filo di speranza per le sorti del mondo e dell'umanità, siete autorizzati a pensare che il mio sia solo romanticismo senile.
...che si oppone al nucleare.
O, almeno (epperò speriamo non si fermi qui) al fatto che il governo possa imporre le proprie decisioni in materia senza neppure consulatre gli enti locali. "Cinque Regioni: Calabria, Toscana, Liguria, Piemonte, Emilia Romagna hanno impugnato la legge e nelle prossime ore altre lo faranno" ci informa il Manifesto, aggiungendo che "Il governo ha fatto un errore di faciloneria. Si è fidato troppo della disattenzione delle ferie."
Infatti, "la legge 99 del 23 luglio 2009, su «Sviluppo, internazionalizzazione delle imprese ed energia», pubblicata il 31 luglio, poteva essere impugnata dalle Regioni entro due mesi. Trascorso il periodo, il governo avrebbe deciso in totale autonomia dove collocare le sue otto/dieci centrali nucleari, i famosi siti, oggetto di preoccupazioni dei cittadini." Ci hanno pensato le organizzazioni ambientaliste - Legambiente, Greenpeace, WWF- a ricordare alle Regioni, con una letterina garbata, che i termini per presentare ricorso alla Corte Costituzionale stavano per scadere.
Essoncosechefannopiacere. Come fa piacere che all'Onu il vertice sul clima, che precede quello che si terrà a Copenhagen in dicembre nel quale si dovrebbe arrivare a nuovi accordi, si sia aperto con interventi finalmente decisi . "Il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon - ci dice republikit -ha ricordato che, anche se la conferenza di Copenaghen per accordarsi sul nuovo trattato è a dicembre, "i giorni effettivi per i negoziati sono soltanto quindici".
A parere di Ban un fallimento di Copenhagen sarebbe "moralmente ingiustificabile, economicamente miope, politicamente avventato: non possiamo seguire questa strada" perché, ha detto, "la storia potrebbe non offrirci un'occasione migliore di questa". Ban Ki-moon ha sottolineato che "abbiamo meno di dieci anni per evitare gli scenari peggiori" causati dal surriscaldamento del pianeta."
Ovviamente anche Barak Obama, che ha fatto delle battaglie ecologiche un suo punto
di forza, non è stato da meno e, chissà, magari questa volta il summit potrebbe essere un po' più utile del solito.
Intanto, nel nostro piccolo, possiamo firmare la petizione di Greenpeace.
E già che ci siamo, dalla home cliccare sul video del riso OGM, fin divertente ma giustamente allarmante.
Spiace parlare sempre di robe serie e pese.
Nel nostro piccolo, ci si diverte anche - per esempio guardando "I colori della magia" di Terry Pratchett che non è bello come il libro ma è comunque carino, oppure respirando il primo vento d'autunno sul mare, o ancora fotografando questa gente di pelo appena uscita dalla lavatrice: senza esaltazioni, insomma, ma con quel gusto delle piccole cose che val la pena di coltivare.
Poi si apre il giornale, la pagina web o, per chi soffre di questa depravazione, la tivù, ed ecco che il mondo pare scatenarsi nel consueto diluvio di pessime notizie.
Tanto che vien voglia di dargli torto: e guardando il resoconto del tipo che scandisce "Pa-ce- su-bi-to!" al microfono della chiesa durante i funerali dei parà, oltre ad ammirarne il gesto vien da pensare al libretto di cui ho già parlato, quel "Contro il niente" di Miguel Benasayag.
Che dedica parecchie delle sue non molte righe a sostenere l'idea dell'Azione Ristretta. Che, attenzione, non è il gesto di chi pensa di risolvere le cose da solo o, peggio, si chiude nel proprio mondo sentendosi magari anche superiore agli altri: no, l'Azione Ristretta è quella che, pur ponendosi in un contesto limitato - e riconoscendo che in questo preciso momento un contesto più ampio non c'è, non per tutte le azioni e i significati che vorremmo vi fossero compresi - è capace di essere di esempio, da memento e di stimolo ad altre azioni.
L'Azione Ristretta, dice MB, non cerca di arrivare per forza ad un "universale astratto", nè si rinchiude nell'individualismo: va invece verso il generale, verso tante molteplicità pur diverse che in quell'azione si riconoscono. E che, aggiungo forse semplificando, da quell'azione possono trovare forza e spunti per compierne altre senza rinunciare al molteplice, alla differenza: azioni non uguali e magari neppure tendenti allo stesso fine, ma con la stessa forza quietamente sovversiva.
Allora, io non so chi sia quel signore che sale sull'altare a scandire uno slogan da manifestazione. Non so neppure se, dopo averlo allontanato, lo hanno in qualche modo punito per ciò che ha fatto, così come non so se la sua azione in quel momento è servita o è sembrata controproducente. Senza dubbio, però, lui e chi, tra la folla, ha lanciato proteste contro la guerra che non serve affatto ad esportare la democrazia (leggete sul Manifesto quanto si prepara a diventare "democratica" Kabul) ha avuto il coraggio di compiere una piccola azione. Eclatante, in questo caso, ma comunque ristretta e pacifica, sovversiva proprio perchè piccola e quieta, condivisibile perchè semplice e diretta. "Azione ristretta non significa effetti ristretti", chiosa Benasayag nel concludere un paio di pagine interessanti su questo tema che, ovviamente, mi piacerebbe avere tempo e modo per riportare meglio di quanto si possa fare su un blog, ma.
Una mattina, questa, mi sono svegliata e il primo titolo di republikit è bastato a farmi spavento: Brunetta: "Sinistra parassitaria, vada a morire ammazzata"
Non per la sua faccia nella foto accanto, che già fa piuttosto orrore
Non per l' eleganza dell'esternazione
Non per l'idiozia di collocare a sinistra le rendite parassitarie
Non per la menzogna secondo cui il governo attuale ha appunto l'obiettivo di colpire questo tipo di rendite
Non per l'assurdità secondo cui la sinistra avrebbe dovuto "esserci" mentre il governo gestiva la crisi di cui non ha mai ammesso l'esistenza.
Non per la presunzione e l'inconsistenza di voler vedere una sinistra "perbene" e una "per male" (????)
Ma per quell'accenno, delirante e tuttavia diretto, a un colpo di stato.
Ora, si sa che il golpe è la paranoia -fondata - della nostra generazione.
Ma è un fatto che quando un golpe c'è stato, è sempre stato giustificato con la necessità di opporsi a un colpo di stato della sinistra. E finchè il pazzo è uno, per quanto primo fra tutti, uno rimane. Quando diventano due a delirare... mah, è ancora il caso di considerarlo cabaret?
Un minimo conforto, che non basta ad allontanare le paranoie, ma quanto meno fa sperare, sono i commenti allo stesso articolo sul Corriere.it. Non li ho letti tutti 237, quanti sono finora, ma fino a dove sono arrivata non ce n'è neppure uno favorevole al secondonano.
Basterà?
Sabato 19 settembre è in programma a Roma una manifestazione nazionale per la libertà di stampa indetta dal sindacato dei giornalisti Fnsi.
Il gruppo “Giornalisti contro il razzismo” ha elaborato un suo documento di adesione, che contiene alcune valutazioni critiche sull’azione del sindacato e un’analisi delle responsabilità dei giornalisti nel “racconto” spesso distorto del malessere italiano.
Il documento si intitola “La libertà di stampa e le responsabilità dei giornalisti” e può essere letto qui
Sul sito sono disponibili altri materiali riguardanti il tema della discriminazione delle minoranze con la complicità dei media. Sono materiali di documentazione, che ci pare che possano essere utili a chi lavora nell’informazione e a tutti i cittadini.
Di seguito il comunicato stampa diffuso per illustrare i contenuti del documento Giornalisti contro il razzismo:
“Il 19 in piazza, ma la categoria si liberi del suo conformismo”Il gruppo dei Giornalisti contro il razzismo - promotore fra l’altro della campagna “Mettiamo al bando la parola clandestino (e non solo quella)” - aderisce alla manifestazione per la libertà di stampa del 19 settembre, ma in un suo documento - “La libertà di stampa e le responsabilità dei giornalisti” , disponibile sul sito www.giornalismi.info/gcr - non risparmia critiche al sindacato Fnsi e soprattutto sprona i giornalisti a vivere la giornata di mobilitazione come il primo atto di “una reazione culturale e professionale” che permetta “di scrollarsi di dosso l’inerzia e il conformismo degli ultimi anni”.
Giornalisti contro il razzismo ricorda le responsabilità avute dai media nella formazione in Italia di un “senso comune” che ha legittimato misure discriminatorie e razziste: per senso di impotenza, servilismo, quieto vivere, il mondo dell’informazione ha assecondato campagne sulla “sicurezza” che hanno preso di mira migranti e minoranze, distogliendo l’attenzione dall’autentica natura del “malessere” della società italiana, dalle responsabilità per la crisi economica e sociale in corso.
Il Gruppo chiede alla Fnsi di non limitarsi alle parole e di organizzare uno sciopero generale per l’indipendenza dei media, e invita i giornalisti ad agire: “Ognuno ha la possibilità di contrastare la deriva in corso. Ognuno lo faccia nei modi che gli sono concessi, ma non stia a guardare”.
14 settembre 2009
Lorenzo Guadagnucci, Carlo Gubitosa, Beatrice Montini, Zenone Sovilla (Giornalisti contro il razzismo)
Non so voi, ma a me capita che mentre sto parlando, o perfino ragionando de par mì, mi accorgo di essere arrivata a due concetti che mi sembrano entrambi giusti ma che fra loro sono inconciliabili: frustrante assai, no? Soprattutto quando si cerca di individuare una "via praticabile", sia essa nel privato o nel sociale, collettiva o personale.
Capita infatti, e neanche così di rado, di rendersi conto che i concetti che abbiamo in testa non funzionano più per leggere la realtà e che non sappiamo dove andare a pescarne altri, quali linee seguire per uscire da dicotomie che, è evidente, oggi ci possono portare a molti (altri) errori o, come minimo, all'incapacità di uscire dallo status quo.
Poi non è che uno non ci dorme la notte, a meno che la contraddizione non investa in pieno, pies, la sua vita sentimentale: ma forse, insomma, varrebbe anche la pena di non dormirci comunque o, almeno, di essere consci che un qualcosa, un qualcosa d'altro, è da trovare.
Così da poter riconoscere, in questo librettino che io sto trovando esaltante, appunto quello che vale la pena di cercare.
Il libretto è "Contro il niente", sottotitolo "abc dell'impegno". L'autore, Miguel Benasayag è filosofo, psicanalista e compagnero, tanto compagnero da essere arrestato tre volte e torturato nell'Argentina del golpe. Si occupa anche, lo dico per la Nessie che magari però lo sa già, di infanzia e adolescenza.
Il librettino, una specie di bignami che va però ben ragionato durante la lettura, si apre con la parola "Agire" e già ci spiazza: l'iperattivismo, l'essere "attivi" o l'essere considerati persone "passive" sono tutte facce della stessa medaglia, di una concezione dell'agire che fa propri valori e concetti del neoliberismo ( e/ del capitalismo, ancora prima) e da lì parte per attribuire ruoli e scale di priorità.
"Agire significa manifestare qualcosa del proprio essere, della propria natura", invece, e ciò comporta molteplicità, condivisione, rischi: Benasayag non va a cadere nella banalità del predicare la solita realizzazione di sè stessi, e riesce invece a farci riflettere su cosa può significare davvero il manifestare la propria essenza, e cosa comporta sul piano sociale.
Sarebbe bello riuscire a fare una divulgazia nello stile del brother, ma la delego a chi ha più tempo di me, nel caso: basti dire che Benasayag riesce nello spazio di qualche paginetta ad arrivare a linee di pensiero piuttosto sorprendenti, tanto per esempio da partire dal presupposto del manifestare la propria essenza per arrivare a citare, come conseguente, una frase che dice "La vita non è qualcosa di personale." Apparentemente inconciliabile, eppure.
Per quello che mi pare da ciò che ho letto finora, Benasayag può essere uno dei pochi in grado di fornirci una direzione per trovare le nostre personali chiavi di volta di un pensiero più aperto, più nuovo, più armonioso.
Tra le altre cose, per esempio, riesce a darci due dritte sul fraintendimento cui andiamo incontro quando ci accostiamo alla filosofia orientale e ci convinciamo, in positivo o in negativo, che essa proponga un allontanamento dalla realtà: mentre, sottolinea Benasayag, si tratta di un allontanamento dall'"accidente", da ciò che ci zimbella qua e là impedendoci una visione più completa ed armonica.
Ancora, il filosofo argentino ci dice bellissime cose sull'Amore e il Legame, che vanno distinti e che, distinti, permettono di provare minore sofferenza nei rapporti: forse questa è la voce che può sembrare immediatamente più interessante - ancorchè non onnicomprensiva, ovviamente - per i turbinii sentimentali di questo periodo della comune-ty e non solo.
Ma il riassunto del compendio sfiorerebbe davvero troppo la banalità: e dato sì che il libro costa meno di 10 euro, val la pena di comprarselo e ragionarci un po' su. Poi, se qualcuno lo fa davvero, a me piacerebbe anche (ri)parlarne, qui o altrove.
No, lo so, non è ancora momento di dibattiti, chè il rientro è faticoso e puranco triste, fra incendi e squallori e casini di ognuno. Ma ho trovato questo videointervento, che disegna esattamente lo scenario di cui a volte ho parlato anche in questo blog, quello di un mondo che è in evoluzione "dal basso", come si dice ora. Lo fa con toni profetici e un po' fanatici - un po' mmerigani, insomma - che ci urtano, ma a prescindere lo scenario che delinea a me ricorda parecchio il "movimento" hippy. Che, appunto, anche lui non era un movimento: forse la parola gisuta sarebbe "magma", una cosa che si muove e aggrega senza che vi sia dietro una volontà specifica ma anche senza che sia facile fermarla.
Là dove gli hippies predicavano e praticavano la non-violenza o l'amore universale, oggi ci sono la sostenibilità e l'armonia: a ben vedere, quindi, un upgrade degli stessi concetti. Anche se oggi gli hippies sono stati banalizzati fino ad apparire un fenomeno folclorico di cui ormai si sa poco, furono invece i protagonisti di un momento importantissimo: furono loro, infatti, a rompere nettamente con i bgrgi e conformisti anni del dopoguerra. Dopo sarebbe arrivata la protesta più politicizzata e il '68 vero e proprio, ma senza gli hippies non ci sarebbe stato nulla: fu la loro semplice ma rivoluzionaria filosofia ad aprire molte menti, ad abbattere molti steccati, e dopo fu più facile prendere strade diverse.
A volte l'ottimismo è una necessità, però quello che che si dice nel video è verissimo: la gente che sta già cambiando le cose è tantissima. Forse anche per noi sarebbe il caso di smetterla di pensare solo alla destra e alla sinistra e di cominciare a "fare".
Lo so, lo so, che almeno a qualcuno dei miei lettori la Svizzera ci piace poco o niente. Ma io ne sono appena tornata, dopo una settimana sul lago di Thun, e il benvenuto me l'han dato le fiamme e i Canadair, che non smettono neanche ora.
Come si può immaginare anche dalle foto di alberi postate in questo blog, gli incendi del nostro già ben scarso verde mi intristiscono e mi rendono furente, come se non bastasse il delirio quotidiano di sua maestà Uomomalato I.
Che allora uno non pensa solo alla piscina calda au bord du lac, chè si sa le vacanze sono vacanze e presto finiscono: ma, checchè se ne dica, pensa anche ai prati senza eternit e cemento e roghi, alle strade senza cacche, agli autobus senza gradini troppo alti, alle case senza sbarre e senza antifurto, alle bici senza lucchetti, ai negozi senza saracinesche, ai conti senza imbrogli.
O al parco - bellissimo, curato, secolare - che non disdegna di mettere a bilancio i 5 franchi del sacchetto di pigne (senza orpelli, un sacchetto di plastica pieno di pigne e bona l'è) raccolte dal giardiniere e vendute come decorazioni o per il camino. O alla strada lungo il lago senza traffico, e quindi senza costosi e odiosi raccordi e raddoppi, anche di sabato e domenica. O ai ragazzi che si buttano nel fiume dai ponti della città, senza urla o schiamazzi, semplicemente divertendosi a tuffarsi nella corrente, per poi uscire più in giù e camminare sui marciapiedi (gelidi, che la giornata non è bella) in costume e piedi nudi. Così come a piedi nudi è un tipo strano ai grandi magazzini che va su e giù per le scale mobili: ma non dà fastidio a nessuno e nessuno gli dice niente. E nessuno si scandalizza, del resto, dei bambini che dormono su un sottile materassino steso sul selciato: la loro mamma ha allestito un piccolo stand di roba usata, nel mercatino più onesto e carino del mondo, e loro si adattano. Più vispi i bambini di fronte, che si sono inventati la pesca a sorpresa. Ancora più vivace, però, è la gentilissima signora che ci spiega tutto del Museo dell' Orologio (sissì, c'è davvero!) e racconta, con una grande cura nel tradurre correttamente il suo tedesco solo per noi, che quando lei era piccola nelle stazioni c'erano carillon che sembravano teatri di burattini e si animavano con dieci centesimi. Ma oggi, depreca, con questo vandalismo non è più possibile... Vien voglia di portarla in una qualsiasi stazione italiana e vedere se ha ancora voglia di deprecare.
Perchè, certo, i diversi equivalenti italiani di tutto ciò sarebbero stati più divertiti e divertenti, forse più creativi, sicuramente più disordinati, e imprevedibili e casinisti e furbi. Oddio, può essere una consolazione anche questa. O no?
Pare che Fini abbia commentato la sentenza della Corte Europea alla festa nazionale del Pd, tra gli applausi. Agnoletto ripete sul Manifesto che Fini era presente a Genova durante il G8 del 2001, in una centrale operativa: questo fatto non è mai stato smentito dall'attuale presidente della Camera, lo stesso che oggi viene invitato e osannato... da chi? mi chiedo. Possibile che i "compagni di base", molti dei quali al G8 c'erano, si siano così rincoglioniti? che la distorsione della realtà operi in modo così potente? O gli applausi sono di chi davvero vuol credere nella "pace dei padroni", svendendo i proprio morti nella speranza di portarsi via una fettina di qualcosa, gentilmente concessa?
Finora i compagni di base - almeno di questa città - mi erano apparsi "sani", impotenti come tutti ad orientare una politica del Pd di reale opposizione, ma con sentimenti ancora giusti e corretti. Ora comincio a dubitarne, e me ne dispiace. Perchè personalmente ne conosco e ne stimo molti, di questi compagni rimasti nel partito nonostante tutto, e arrivo anche a capire la loro riluttanza ad abbandonarlo. Penso che potrei perfino arrivare a capire - o a provarci, almeno - la condivisione di alcune posizioni della destra, che ultimamente si è fatta ben più furba e capace di mettere in crisi anche voci autorevoli della sinistra.
Ma gli applausi a Fini sono altra cosa. Gli applausi a Fini, qui a Genova, sono altra altra cosa. Se ne becco uno che l'ha applaudito e non ci sputo in faccia è solo perchè prevale la mia educazione borghese, sappiatelo: ma cercherò di superarla.
Il pezzo di Agnoletto, invece di mettere solo il linko, lo copincollo qui anche perchè riporta la notizia in maniera ben più corretta rispetto a come stata diffusa, e di precisione c'è evidentemente gran bisogno: se avete voglia di farvi del male, infatti, andate a vedere anche i commenti
http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2009/mese/08/articolo/1326/Giustizia non è fatta
La decisione della Corte Europea sulla morte di Carlo Giuliani è una sentenza pilatesca, un capolavoro di equilibrismo tra la necessità di difendere i principi che dovrebbero stare alla base della concezione del diritto nell'Unione europea, secondo i quali ognuno ha diritto ad un equo e celere processo; e dall'altra parte la ragione di Stato, o meglio, in questo caso gli interessi politici del governo italiano. Governo, non dimentichiamolo, che per la gestione del G8 genovese è stato già condannato sul piano politico dalle istituzioni di Strasburgo fin dalla relazione sui diritti umani votata dal parlamento europeo nel 2002. Governo che ha nominato capo dei servizi segreti Gianni De Gennaro, l’uomo che a Genova era responsabile dell'ordine pubblico e che oggi è sotto processo per istigazione alla falsa testimonianaza di un suo subalterno. Un governo che non poteva quindi assolutamente rischiare su un tema così sensibile, un nuovo pubblico processo su richiesta in particolare della corte europea. Si dovrebbe dare per scontato che a prevalere debba sempre essere la ricerca della verità: ma non siamo ingenui e sappiamo bene che non sempre è così. Lo scontro tra i giudici deve essere stato duro se, come pare, il verdetto finale ha prevalso per 4 voti contro 3. La sentenza vuole essere salomonica e invece non ha semplicemente il coraggio di affermare, fino in fondo, la verità; infatti la Corte ha stabilito che Placanica ha agito per legittima difesa, ma che avrebbe dovuto svolgersi un'inchiesta giudiziaria per valutare la gestione dell'ordine pubblico in quel contesto e le eventuali responsabilità. La verità è un'altra. La morte di Carlo come ormai chiarito anche dai processi genovesi, in particolare quello contro i 25 manifestanti in cui sono stati ricostruiti i fatti di quel maledetto 20 luglio, è stata la conseguenza di una gestione folle dell'ordine pubblico, delle due separate centrali di comando di polizia e carabinieri, del contrasto tra le due forze dell'ordine e dell'iniziativa «spontanea» di un capitano dei carabinieri che decise di attaccare il corteo del Carlini anche di fronte a diverse indicazioni provenienti dalla questura. Ma l'assassinio di Carlo è stata innanzitutto la conseguenza della gestione politica dell'ordine pubblico, dell'autorizzazione «di fatto» data a tutte le forze dell'ordine di usare la forza oltre qualunque ragione e in contrasto con ogni regolamento, ogni legge e con la stessa Costituzione. I responsabili di tutto questo, non possiamo dimenticarlo, sono stati il governo Berlusconi di allora, i vertici di polizia,carabinieri e servizi e, in prima fila alcuni parlamentari di An «in visita» alla centrale dei carabinieri, primo fra tutti l'attuale presidente della Camera Gianfranco Fini, ora quasi un'icona per l'opposizione parlamentare. La Corte Europea non ignora questi fatti e condanna l'Italia per non avere indagato la gestione e l'organizzazione dell'ordine pubblico, pur non richiedendo la celebrazione di un processo. Resta comunque un duro schiaffo per l'attuale governo, fotocopia di quello di allora. Di fronte a questo quadro le dichiarazioni di Maurizio Gasparri appaiono l'ennesimo tentativo di manipolare la realtà. Il governo italiano è condannato e con lui anche la parte della magistratura troppo sensibile al potere politico, e che per autocensura evitò di compiere autonomamente il suo dovere come, per ora è ancora così, avrebbe dovuto fare. La Corte invece giustifica Placanica riconoscendogli la legittima difesa: ho sempre sollevato, e non da solo, molti dubbi che a sparare sia effettivamente stato il carabiniere ventenne; più di un fatto fa ritenere possibile che a sparare sia stato, o sia anche stato, qualcuno di ben più in alto in grado e probabilmente con un'arma non di ordinanza. Un sospetto molto forte che se riconosciuto degno di indagine avrebbe potuto coinvolgere personaggi molto altolocati e con importanti relazioni. Un processo avrebbe potuto chiarire tutto questo e forse cancellare definitivamente lo scudo della legittima difesa dietro al quale si è nascosto, fin dai primi minuti dopo la morte di Carlo,il governo italiano. La Corte Europea rinuncia a sollevare questo velo, evitando così di chiedere la celebrazione di un processo, unico strumento per la ricerca della verità. I quarantamila euro riconosciuti alla famiglia Giuliani sono l'ultimo insulto ad una vita che continua a non essere lasciata riposare in pace nemmeno dopo la morte; la vita di un giovane prima ammazzato e poi, dopo la morte, ancora violato nel suo corpo con una pietra, come emerso dalla ricostruzione dei fatti. No, Genova non è una pagina del passato, nessuna riconciliazione è possibile, la memoria di Carlo e di quelle giornate continuerà a vivere nella nostra memoria e nei nostri ideali. Continueremo a chiedere verità e giustizia.
E così, nonostante gli inviti di amici carini molto molto, che hanno fatto a gara per offrirci soggiorni e gite ai mari e ai monti, questa tranche di ferie è passata qui nel barrio alto, a scoprire la nostra personale "decrescita felice" . Che quelli che da sempre gli piace la vita sobria forse gli viene da ridere a sentirmelo dire perchè io e l'uomobarbuto siamo invece sempre stati per l'accumulo. Pur con la stessa macchina da ormai dieci anni e per di più bottata, con gli stessi cellulari finchè non muoiono di morte naturale, con la stessa tv affetta da un'obesità che denuncia la sua annosa esistenza: ma, vittime delle nostra curiosità un po' infantile, con la casa piena di giochini e vecchie tecnologie (la pompetta del DDT, ad esempio, o il tampone da scrivania per l'inchiostro) e fischietti e macinini e poster e quattordici coppette da macedonia e i bicchieri che dondolano. E libri e libri e libri.
Molto di ciò che abbiamo in casa ha un storia dentro che non si può abbandonare, ma molto anche no. E, in ogni caso, anche le storie invecchiano, cambiano, si
dimenticano, ed è giusto così.
Perciò, mentre scoprivamo i divertimenti più sani ed economici in questa nostra estate cittadina - tra i quali ho dimenticato di citare il trashsushi della Fiumara, scoperto dal KGgB, dove mi sono divertita assai ad impilare davanti a me mille piattini ormai vuoti di minibontà giapane, afferrati al volo dal nastro che scorre vicino al tavolo - ci siamo anche dedicati allo sgombero materiale e morale della nostra esistenza. Qualcuno ha scritto che si passa metà della vita ad accumulare oggetti e l'altra metà a cercare di darli via e se noi facciamo eccezione è solo per la qualità un po' bizzarra degli oggetti stessi: per fortuna, ci è venuto in soccorso un amico che ha riaperto (dopo un'esperienza di anni fa) un Mercatino dell'Usato ben gestito, alla Foce. Così la decrescita è più facile: quello che non serve più ma che ad altri (presumibilmente trentenni) servirà, trova subito una collocazione e frutta anche qualcosa. Il trucco, naturalmente, è riuscire ad evitare di tornare a casa con più roba di quella che si è portata, ma basta un po' di impegno, in fondo.
Quello che non si può vendere neppure per poco, ma magari a qualcuno può servire si lascia, in un sacchetto trasparente, sopra i cassonetti: ebbene sì, è una pratica un po' da terzomondo, a volere essere critici. Ma al tempo stesso non mi dispiace: io l'uomobarbuto ci chiedevamo se è un'usanza tipicamente genovese o se è diffusa ovunque, fatto sta che anche qui nel barrio alto la roba ancora utile è lasciata in bella vista per chi la vuole.
E poi, ancora, si divide, si smista, si scambia, si regala: ancora troppo poco per i miei gusti, chè a mio parere si dovrebbe essere meno riluttanti e meno pigri nell'organizzare baratti di informazioni, recapiti, oggetti e magari anche lavori e lavoretti. Per esempio, io cerco da un bel po' qualcuno che sappia cucire un pochino perchè non ho più federe per i miei cuscini fuori misura e contemporaneamente (ma non necessariamente in cambio che le persone possono essere diverse) ho sempre libri che mi avanzano, tanto per citare l'eccedenza più facile e banale.
Non sarebbe bello organizzare una melalista/sito/bacheca fra tutti noi amici e amici degli amici per sapere cosa cerca e cosa offre chi, prima di chiedere ad altri o di comprare?

Questa estate ci ha qualcosa che non va nei giorni, che tutti hanno scoperto che in fondo non avevano poi tutto questo tempo come gli pareva di avere e non sono pochi quelli che hanno cambiato programma. Così è un'estate che sembra che non ce n'è nessuno e invece non è vero mai, c'è il turn-over: anche qui nel barrio alto, che un sacco di gente non va via e ti dici ah, ma allora la Crisi arriva davvero, neh?
Anche le vacanze dell'uomobarbuto e mie sono, finora, vacanze casalinghe, come quelle di Paperino con la palma finta epperò, strano ma vero, l'estate è ricca comunque di scoperte.
La biblioteca, in primis. Da cui, come Sally Brown, ero terrorizzata: e invece ho scoperto che ci sono amabili impiegate - di quelle che fanno la maglia e ti sorridono dietro gli occhiali, anche se non hanno nè la maglia nè gli occhiali - che ti fanno la tessera in quattro e quattro otto e ti consigliano anche su come sfruttarla al meglio.
Così, seconda scoperta, lì ho subito trovato un film d'eccezione: si chiama "Napoletani a Milano" e dovrebbe essere mandato nella scuole per rispondere ai deliri dei leghisti. Protagonista e sceneggiatore è Eduardo De Filippo che, pur non essendo del tutto a suo agio col cinema, riesce a sfatare i pregiudizi sui terroni ma anche quelli sui milanesi: nel film ognuno parla il suo dialetto (stretto, anche) e anche quest'ultimo diventa elemento di unione, non di divisione. Che allora - era il '53 - a parlare italiano erano solo i sciuri. Non vi dico altro, se non che il film è da vedere - gratis, si può tenere una settimana - per farsi venire la nostaglia. E anche per imparare come costruire una bella storia - didattica, forse retorica, ma bella.
Ma non sono stata chiusa qui a leggere e vedere film, nonnò: che dopo soli otto anni ho scoperto che a qualche metro da casa mia c'è una bellissima spiaggetta degli sfigati multietnici, ovvero l'unico rettangolo di spiaggia libera in mezzo agli stabilimenti appunto dei sciuri. Ci si va senza formalità, verso le sei, e si guardano i turisti squattrinati (chissà come ci arrivano, lì, che dalla strada non si vede...), il lettore del Manifesto con la maglietta in testa in quanto privo di cappello, il vù cumprà che poggia i suoi sacchi e gioca a carte con l'amico siciliano, la famiglia albanese coi bambini magri magri, la ragazza russa col solito fidanzato d'età. Vuoi mettere con i discorsi di pastasciutte e costumi sotto gli ombrelloni a pagamento? L'acqua è pulita, la spiaggia, ahimè, piena di enormi sassi: ma per meno di 15 euro totali abbiamo comprato delle bellissime scarpine di gomma, quarta scoperta.
La quinta scoperta è di nuovo stanziale, un libro tutto rosa di easygiardinaggio che si chiama "Smalto, rossetto e pollice verde".
Di quelli che mi piacerebbe che mi intervistassero con la classica domanda "il suo libro per l'estate?" solo per potergli dire questo qui in mezzo alle "riletture di Goethe" e alla "riscoperta di Gide". No, ecco, non consiglio di comprarlo, che costa ben 17,50 euri, solo per divertirvi a leggerlo come ho fatto io, che amo follemente i manuali: ma se pensate di allevare delle piante prendetelo sì, eviterete un sacco di errori. E in più imparerete a fare un bel bouquet, le caramelle fondenti, i centrotavola più semplici del mondo e insomma tutte quelle cose utili della vita.
E per questo post basta, ma altre scoperte verranno rivelate man mano.
Ah, no, chè c'è stata anche la scoperta tragica: i ranocchi della Calamity si sono rivelati una specie in via di estinzione, i miei sono gli ultimi esistenti al mondo. Dubito che si riproducano - anche perchè penso siano tutti maschi - e quindi... toccherà seguire altre avventure, già.
Un vantaggio dell'età è che si tende a essere più tolleranti. Uno svantaggio dell'età è che si tende a essere più tolleranti.
Così, intervengo solo ora nel dibattito virtuale scoppiato sul blog dell'amicae. che ha per oggetto la commercializzazione anche in Italia della RU486, e confesso subito che non ne capisco i toni.
Riassumendo per chi non ne sa, all'intervento di una lettrice estemporanea, tal Pierellina, è seguita un'alzata di scudi - in cui sono state dette molte cose buone e giuste - di buona parte della Comune-ty, in difesa della libertà di scelta della donna e della "non-colpevolizzazione" dell'aborto.
Ora, a me le sacrosante indignazioni piacciono un sacco: ne ho spesso anch'io, nonostante ciò che ho appena detto, e spesso le ho su argomenti e fatti che a tante altre persone sembrano del tutto normali.
Ancora più spesso, però, le mie reazioni sono, come dire? "possibiliste". Cerco di essere comprensiva, di vedere le ragioni altrui, di rimanere obiettiva. Non sembri presunzione, anche perchè il provarci non significa riuscirci.
Però, prima di tutto, non mi va di essere sempre in guerra col mondo in generale: credo di
essere una persona combattiva quando è il caso e magari anche quando non lo è, ma proprio per questo sprecare energie a prendermela con chi tutto sommato si può tranquillamente trattare in altro modo mi sembra sciocco. Come secondo punto o corollario, infatti, credo nella gentilezza e nella pacatezza di chi ha ragioni da vendere e quindi può limitarsi a spiegarle, senza alterarsi. Terzo punto, ritengo piuttosto doveroso - vecchia scuola comunista, neh? - cercare di convincere le persone in buona fede usando altrettanta buona fede: senza, quindi, farne bersaglio per inutili rabbie o prese in giro. Quarto, anche se del tutto personale, considero chi legge o interviene sul mio blog un ospite, a cui sono dovuti gli obblighi che l'ospitalità comporta: a un fassista verrà chiusa la porta in faccia sul blog così come non entra a casa mia, ma per tutti gli altri offrire una chance mi sembra il minimo.
Fatta questa lunga premessa, a me pare che pierellina abbia un po' di idee confuse, ma neppure tutti i torti: il suo primo commento, infatti, mi pare metta l'accento (non troppo comprensibilmente, va detto) sulla deresponsabilizzazione dei medici. Oddio, non è tanto giusto, ma neppure così sbagliato, mi pare: un IVG chirurgico richiede un atto preciso,
finalizzato e consapevole del medico. La prescrizione della pillola abortiva - chè questo è, brava Fede a precisare che non è la pillola del giorno dopo - anche se deve comunque avvenire in day hospital mette senza dubbio il medico in una posizione un pochino più "neutrale". Distinzioni del cavolo, a dire il vero, ma forse per un medico cattolico possono fare la differenza, chissà. E, se così fosse davvero, potremmo ottenerne un vantaggio pratico - magari medici che sono obiettori rispetto all'intervento non lo sono sulla pillola - e uno svantaggio ideologico, chè nel momento in cui l'RU486 diventasse una scorciatoia per la coscienza del medico, la lotta delle donne per il diritto all'autodeterminazione non farebbe nessun passo avanti comunque.
D'altro canto, io appunto non credo che la commercializzazione della pillola in Italia rappresenti un grande passo avanti: è giusto dire che così chi abortisce ha possibilità di scegliere in che modo farlo, ma a me pare che la decisione rappresenti una vittoria della società civile e laica più che delle donne. Che in ogni caso dovranno affidarsi a un medico che non sempre rispetterà la loro possibilità di scegliere basandosi piuttosto sulla disponibilità della sala operatoria o sulle proprie convinzioni. (Parentesi: non sto sostendendo che del medico si dovrebbe fare a meno, guai. Ma tutta la partita della medicalizzazione della vita femminile, che ha contribuito a togliere alle donne il "potere" su se stesse è ormai discorso dimenticato, mentre dovrebbe essere importantissimo).
Pierellina dice poi che l'aborto è una merda, che in ospedale ci sono tanti compromessi, che la Chiesa fa il suo dovere verso i fedeli e altro
ancora: ma dice anche che è favorevole all'RU486, al diritto all'aborto, al sesso disinibito ma rispettoso, all'educazione sessuale. Nel mentre, trova modo di far capire che pensa che se ad abortire sono "ragazzine viziate" la pillola sia un modo per essere più consapevoli di ciò che stanno facendo: qual era quel personaggio storico a cui cioccavano una sberla ad ogni nozione impartita, così che la potesse memorizzare associandola al dolore? Perchè, checchè ne pensi l'amicae., le contrazioni uterine provocate dall'RU486 non credo siano un piacere per nessuno: possono essere più o meno forti, si legge, come quelle delle mestruazioni.
Tendo a credere, avendo provato quelle post- parto, che possano essere più o più più forti: e dubito, come sopra, che alle donne sarà data una vera "possibilità di scelta" informata ed obiettiva. Quindi spiacente, pierellina, ma al contrario di te credo che più provi dolore più tendi a rimuovere: forse non i fatti ma quasi di sicuro i ragionamenti al riguardo.
D'altro canto, mi par di capire che siamo tutti d'accordo sulla necessità di ben informare su tutti gli aspetti, compresa la pillola del giorno dopo, piuttosto che di ricorrere a "responsabilizzazioni" tardive: chè, se anche fosse vero che il problema sono le ragazzine viziate, allora bisognerebbe prendersela con i genitori, no?
In realtà, a ricorrere all'aborto sono, oggi come ieri ed è sempre stato, donne che non possono tenere un figlio per i motivi più diversi, su cui nessuno ha il diritto di sindacare: e mentre si fa passare la pillola abortiva, si rende più difficile e pericoloso, se non impossibile, l'accesso alla sanità pubblica degli immigrati. Come se non bastasse la difficoltà, per chiunque, di ottenere un IGV: in Italia, il tasso di obiettori di coscienza tra i medici e non, è infatti altissimo. Il 60% dei ginecologi, 46% degli anestesisti, 39% del personale non medico: e sempre più succede che, dati questi numeri, chi non sarebbe obiettore di coscienza lo diventa per non essere confinato in una luminosa carriera fatta solo degli IVG che gli altri si rifiutano di praticare.

E poi si scopre, oh, to', che donne e ragazze di quel tipo che è onestamente difficile definire "viziate" (donne e ragazze che non hanno le "conoscenze" così preziose in Italia, ad esempio, che non hanno mai sentito parlare dei consultori pubblici, che sono spaventate e inermi) sia straniere che italiane abortiscono usando un farmaco antiulcera, molto rischioso per la salute, e non poche volte ne muoiono. Tanto che un gruppo femminista cileno cerca di evitare guai peggiori offrendo "Informacion segura" su internet - dove si può comprare il farmaco - a chi comunque decide (e non "sceglie", neh? chè la scelta è ben altro) di abortire così.
Succede spesso, nella vita, forse addirittura succede a tutti, di pensare che quelli a cui le cose non vanno bene siano non solo sfigati, ma anche un po' colpevoli. Succede spessissimo alla Comune-ty, succede a pierellina quando pensa alle "ragazzina viziate" dall'alto della sua famiglia che si dice regolare e si presume felice. Non mi sembra che ciò basti a considerarla un "nemico di classe", in effetti. A me sembra una persona emotiva, che dà per scontate un sacco di cose e in più non si spiega granchè bene: ma credo che in una discussione più pacata da entrambe le parti sarebbero emersi più punti di contatto di quanto non sia successo.
Come su ormai troppi altri temi,
invece, si tende a contrapporsi per schemi di "pensiero" che del pensiero ha a volte molto poco, invece di ragionare, di cercare il significato reale di affermazioni pur discutibili, la sostanza di elucubrazioni pur magari un po' fumose.
Io non credo in questa forma di contrapposizione: credo che dovremmo accogliere con favore e gentilezza chiunque abbia voglia di confrontarsi davvero, credo che se non abbiamo voglia di discutere personalmente possa sempre esserci qualche sito a cui indirizzarli, credo che sia sbagliato presumere prima di tutto la cattiva fede ed esercitare prima di tutto l'aggressività.
Credo che anche questi modi di fare, che facilmente escludono le persone meno intellettualmente privilegiate di quanto siamo noi, sia fra i motivi della debàcle della sinistra: forse non fra i motivi più importanti, ma neppure così minimo come tendiamo forse a pensare. Che, da sempre, l'attività principale di chi si pone l'obiettivo di cambiare la società è stata quella di discutere, elaborare, ragionare, spiegare: a chi forse non ha del tutto coscienza delle ingiustizie del mondo, ma non è comunque dall'altra parte per scelta. E penso anche che noi stessi siamo i primi che dovrebbero ragionare di più, e meglio, sulle cose; che dovrebbero informarsi, confrontarsi, fors'anche annoiarsi un pochino nel tentativo di comprendere la realtà e gli spazi di cambiamento che può offrire, o che le possiamo strappare. E anche di capire le persone, quelle che in fondo potrebbero aiutarci a cambiare qualcosa.
Evitando così di cadere, noi per primi, nelle trappole di giudizi dati per scontati, basati su valori considerati sempre e comunque indiscutibili, vissuti con la pancia invece che rigirati nella testa fino a tirarne fuori qualcosa di buono.Perchè, per esempio, si poteva cominciare a discutere le affermazioni di pierellina proprio da quel suo "l'aborto è una merda", affermazione su cui invece tutti i commenti sono stati implicitamente o esplicitamente d'accordo. Ai prolife che inavvertitamente fossero arrivati qui e fin qui dico subito che questa mia è una mera provocazione, ma la pongo lo stesso ad uso e consumo dei "liberi pensatori": perchè anche noi diamo per scontato che sia così vero?
Per fare un solo esempio, le donne violentate nelle varie guerre del mondo - oggi, non mille anni fa - non credo che darebbero così per buona questa affermazione... Ecco, io credo che molte volte sia troppo più facile polemizzare con chi non la pensa esattamente come noi che cercare di pensare più esattamente alle cose. E, da vecchio gufo brontolone, posso dire che non mi sembra bello? Ma, soprattutto, mi pare ben poco utile.