giovedì, aprile 23, 2009

DI SOGNI E PRINCIPESSE


Su questa cosa dell'accontentarsi e del non farlo. Urgh. Io non lo so cosa è giusto, da tanto ci penso e ancora non lo so.
Forse, anzi, dovrei dire che non lo so più: perchè, in verità, ho sempre teorizzato e messo in pratica il Non Accontentarsi.
Che non vuol dire non essere mai contenti: ma perchè tenersi una baby-sitter maffa, una casa buia, una maestra scema, i prof incapaci e via di seguito? Si cambia, si cambia finchè non si trova un insieme che va bene, che ci corrisponde. Via, via, chè l'accontentarsi è pigrizia, è carenza di fantasia e coraggio, è rassegnazione. Questo lo penso ancora: Lo penso ancora sulle baby-sitter, sui prof, sulla casa.


Non lo penso, e forse non l'ho mai pensato, sugli amori.
Le storie d'amore,
nessuna esclusa, sono della stessa materia dei sogni: nei sogni si conosce con esattezza il significato di parole che non esistono, si raggiungono città nascoste sotto falsi nomi, si gira nudi senza suscitare neppure stupore, gli ascensori fanno un sacco di paura e i bastoni chiodati, magari, meno.
La logica si sovverte e cambia continuamente, anche nel corso dello stesso sogno, la coerenza è un optional e la trama riserva sorprese continue.

Detto così, sembra che se uno si innamora diventa, ipso facto, psichiatrico. E forse è un po' così, in effetti. Non li hanno mica ancora studiati bene, i meccanismi attraverso cui la specie umana si perpetua, contro ogni buon senso.

La logica di coppia, in ogni caso, non è la stessa logica della vita. Quando fra le due c'è molto iato - la classica vignetta del manager superman tiranneggiato dalla moglie - si diventa oggetto di facezie,
ma si può ugualmente stare benissimo. E nella logica di coppia ci stanno un sacco di cose che, viste da fuori, appaiono strambe, buffe, sbagliate, perfino quasi aberranti e perverse. Altrimenti, che ne sarebbe del gossip? Ma, gossip a parte, chi è dentro la coppia solitamente non vede le cose nello stesso modo: dentro al sogno il nostro cappello in cui nidificano tre piccoli dinosauri è bellissimo e tutti ce lo invidiano.
Poi ci si sveglia e, ammesso che ci si ricordi nitidamente il sogno, si ride: maddài, pensa che nel sogno mi pareva bello!


Così, quando si esce da un rapporto di coppia è inevitabile chiedersi: ma dov'ero? dov'ero io, in tutto questo periodo? A differenza del sogno sognato, non c'è una
separazione fra sonno e veglia a fare da distinzione: ci sembra di essere "normali" sia prima che dopo, sia in coppia che single. E lo siamo, salvo che ragioniamo in modi diversi, seguendo logiche coerenti al loro interno ma fra loro differenti: se la logica di coppia fosse uguale a quella della singletudine, i figli non si farebbero. E qui chi vuole ci metta tutte le sue riflessioni su quanto, appunto, la ricerca di una "felicità" individuale immediata e spesso superficiale produce coppie di genitori assolutamente inadeguati, proprio perchè non riconoscono la logica di coppia, di specie.
Ma, come distinguere il giusto adattarsi a una logica di coppia dall'accontentarsi? E' un bel mistero, già. Perchè in tanti anni mi sono detta, guardando coppie sfasciarsi o rimanere insieme, che non c'è proprio nulla di prevedibile, ma neppure di "giusto": la coppia ci cambia, che ci piaccia o no, che ce ne accorgiamo o no. Succede più alle donne che agli uomini, e non sarò io a smentire la necessità di mantenere l'autostima e il rispetto di sè anche nel rapporto di coppia. Di mantenere, ancor più, la leggerezza e la coerenza con se stessi -
che non significa non cedere di un millimetro su niente.

Ma, ecco, il non accontentarsi cosa ha a che fare con le principesse, con le canzoni, con i mazzi di fiori? Ognuno di noi vuole sentirsi prezioso, certo, e in mille modi: ma il sentirsi preziosi deve venire da dentro, dalle
cose antifasciste come dal proprio lavoro, dagli amici come dalle letture, dal quanto si riesce a dare agli altri e quanto si riesce a stare bene con se stessi. Ecco, allora forse non ci si può, non ci deve accontentare quando una storia sembr
a minare stabilmente queste cose, quando lo stress del mantenerla, oscura il resto della vita e lo rende meno bello. Ma non sono sicura neppure di questo: perchè a volte quello che può sembrare un accontentarsi può anche rivelarsi, superato quello specifico scoglio, un amore lungo e duraturo.
E allora, ecco, forse ciò di cui non bisogna accontentarsi, in assoluto, è poi solo il non-amore: e non è detto che sa sempre quello altrui, chè chi vivacchia con una persona che non ama più è triste assai. E se a volte i confronti possono essere rivelatori, più spesso sono falsati e inutili, come il dolore che dicono si provi all' arto amputato: ci vuole poco a far sentire preziosa una persona quando tutto è nuovo, è bello, è senza fatica, quando non si chiedono e non si offrono impegni.
Quello che conta è poi invece la somma delle cose, in un anno così
come in una vita, è l'equilibrio che si crea anche se assomiglia alle montagne russe, è la capacità e la possibilità di ritrovarsi quando ci si perde. E' la lealtà a sè stessi e all'altro, anche nei momenti peggiori ( che non va confusa con la tremenda sincerità a tutti i costi), è il mantenere la propria dignità.
Le Piccole Donne, una per l'altra, si sanno forse a
ccontentare: ma nessuna viene meno alla propria dignità, e ciò crea già di per sè un distinguo, uno steccato, un cancellino che si apre al professor Baher e non ad altri. Si parla forse delle "attenzioni" del professore Baher verso Jo? Può darsi, ma non me ne ricordo: quello che conta davvero, nella loro storia, è la solidità delle loro coerenza con se stessi.
Poi, certo, un uomo che sceglie il vino e ti porta i fiori e ammira come ti vesti e come parli e come lavori e come scopi...be', schifo non ci fa a nessuno. Ma a cercarlo per la vita intera si rischia di cercarlo per l'intera vita. Suvvia, diciamolo: anche per noi, quanto dura il periodo in cui ci viene facile, spontaneo e bello far sentire prezioso l'uomo con cui stiamo? ecco, appunto.

martedì, aprile 21, 2009

I BAMBINI DEL BIAFRA


Il gufo stasera è stanco. molto. stanco di sembrare felice dei topi morti che riesce a catturare, chè potrebbe andare peggio, magari potresti non prendere neanche un topo. eggià. eppure, c'è chi senza merito e perfino senza gioia riesce a prendere conigli.
C'è chi nasce aquila e chi invece nasce gufo: il mondo non ha colpe se io, modestamente, lo nacqui. ma lasciatemi essere stanca stasera, lasciatemi sognare che potrei ancora passare un'intera serata senza un pensiero al mondo, che posso far progetti credendoci, che, nel vedermi, l'allegria di chi viene da fuori non si spegne contro la mia tristezza. L'anno scorso, al mio compleanno, mi credevo ancora sana ed ero qui : i confronti sono sciocchi, lo so, chè anche quest'anno ci saranno prati, amici, musica. E io riderò e seguirò le canzoni e mi godrò il sole o perfino il nuvolo: ma stasera, lasciate che rimpianga l'anno scorso. quando ancora c'erano le possibilità, e la scelta.

domenica, aprile 19, 2009

RINASCONO LE SOMS, MA SI CHIAMANO CAF.

La cugina Gelinda ha portato solidarietà e latte fresco alla Calamity Farmless, ma non bastano per risolvere il problema.
Il Che Fare occupa lunghe ore delle lunghe giornate da disoccupati, e non se ne viene a capo.
Ma, un momento: chi zompa in lontananza? E' il
Rospo Leprecano , che arriva dalle lontane scogliere per segnalare nientepopopodimeno che un Tesoro! Grande scetticismo lo accoglie: ma vaaaa', pensi che crediamo ancora alle favole? 'Momenti lo picchiano.
Fortuna che una gallina dimostra un po' di buon di senso e calma gli animi: il Leprecano viene ascoltato e il suo racconto è così convincente che un gruppetto di ardimentosi parte alla ricerca del Tesoro, superando perfino l'arida e perigliosa Distesa Rumenta, che tanta paura mette nel cuore.


Lungo il cammino, non si trascura di dibattere come verrà impiegato il Tesoro. Sembrerebbe logico dividerlo, un po' per uno, ma una paperella propone invece di impiegarlo per costituire il fondo iniziale di un Caf, un gruppo di autofinanziamento. L'idea è bellissima e suscita entusiasmi , anche se non manca chi invece preferirebbe assoldare un sicario per uccidere i padroni, come nel grandioso film Louise Michel
Le discussioni, però, vengono sospese quando il gruppo giunge in vista del Tesoro, I Preziosi Lapislazzuli. Si avvicinano trattendendo il fiato, allora non era favola, il Tesoro c'è davvero! Ma chi l'avrà portato?
Il Leprecano fa un gesto con la zampa, indicando una figura che sta svanendo nella bruma.


Corpo di bacco, il Coniglio Pasquale? Già, proprio lui, che ora si allontana saltellando gioioso, come da clichè.

giovedì, aprile 16, 2009

MUMBLE MUMBLE...

E' notte, ma alla Calamity c'è chi ancora discute. Le galline sono state oggi alla Calamity Farmless e ne hanno riportato una triste impressione: ci si chiede cosa fare per i compagni più sventurati. Una battaglia è stata vinta, ma tira un'aria nera nera e non si osa quasi neppure più parlare per tema di una sospensione. Ed ecco nella notte risuona una campana, o forse un campanaccio: è la cugina Gelinda, venuta in visita. Che, afferrata al volo la situazione, offre ospitalità nel caso si mettesse molto male. "Ma, mi raccomando, se decidete di venire comunicatemi l'orario preciso, per favore, e vi farò trovare una cioccolata calda." I rospetti chiedono se là dove vive Gelinda c'è lavoro: "Come no! Potete fare i pulitori di montagne, per esempio!" Ahi, Gelinda, era un pesce d'aprile...

mercoledì, aprile 15, 2009

CALAMITY GP


Grande folla - ci sono anche i turisti, guardate bene - per assistere all'ultimo emozionante momento della corsa automobilistica Gran Premio Fai Da Te, organizzata come ogni anno dalla Calamity. In testa sembra essere la gallina sul suo curioso mezzo rialzato, ma non è ancor detta l'ultima parola, gli altri concorrenti la tallonano. Ma, attenzione, sembra di scorgere un'irregolarità nella corsa...
E' proprio così! Il team Rospetti, profittando della natura del mezzo ma non fidandosi delle sue prestazioni - eh, sì, glielo avevamo detto in tanti che il camion della pizza non era la scelta migliore - ha evidentemente barato per tutta la durata della gara. Osservate bene qui sotto:



il trucco è evidente: quando un guidatore era stanco, oplà, un balzo veloce e un altro prendeva il suo posto. Ma il fotofinish li ha colti sul fatto, i maramaldi!

domenica, aprile 12, 2009

CORSI E SOCCORSI STORICI


Come i lettori più acuti non avranno mancato di notare, da queste parti si è fatta pausa. Fra i motivi, il diktat medico che vuol trasformare il gufo in allodola: e io - cosa non si fa per stare meglio - ci sto provando. Questo post, udite udite, è scritto in quello che tecnicamente è ancora mattino: non sono al mio meglio, a quest'ora, ma forse mi ci dovrò abituare e voi quattro che mi leggete, pure.
Ma il silenzio di questo periodo è stata anche una reazione al terremoto in Abruzzo: anche se ovviamente non importa a nessuno e non cambia nulla, a me pare brutto parlare di robe normali e quotidiane di fronte alle tragedie.
La vita continua, certo, ma insomma mi coglie un po' di pudore nel parlare di fatti miei; e sulla tragedia, che si può dire? Trasformata, mi dicono quei che la tivvù la vedono, in gigantesco spottone per il governo e destinata all'oblio come tutte le altre che l'hanno preceduta, è incommentabile senza cadere nella retorica e nell'ovvio - o almeno in quello che è ovvio per i miei lettori, come ad esempio l'assurdità criminale del "Piano casa" che il governo voleva varare e che si spera possa essere rallentato dall'evidenza della sua pericolosità.

Avrei taciuto, quindi, se non avessi trovato stamattina
questo commento (chi sei, Stilobate? il tuo blog non è visibile, ma la curiosità è tanta: ci siamo conosciuti lassù, o c'eravamo in momenti diversi?) e non mi fossi resa conto che anch'io ci sto pensando da giorni, alla Brigata Salvatore Toscano e a quella solidarietà andata avanti mesi e mesi.
Il
terremoto in Friuli , nella notte del 6 maggio 1976, fece il triplo delle vittime di quello odierno, radendo al suolo interi paesi. Ciò che non era crollato a maggio e nelle successive scosse di assestamento, tante e forti, andò giù l'11 settembre dello stesso anno, in ulteriori scosse che danneggiarono ciò che era già stato ricostruito e provocarono altri feriti.
Io andai a lavorare nella Brigata, attendata su un campicello appena fuori dai confini di Bordano, uno dei paesi completamente distrutti, verso la fine dell'estate: ma, come dice l'ignoto commentatore, dopo tanto tempo ci si smemora.
Forse ci andai anche due volte, non so più, e quel che ricordo sono le impressioni: la parete azzurra al secondo piano di una casa, con la cassettiera appoggiata, appena un po' storta. Tutto il resto non c'è più, solo quella parete azzurra che pare assurdamente in alto in mezzo a un paesaggio appiattito. O la coppia di emigranti, tornata per ricostruire la casa di paese: parlano con noi in un italiano pieno di francese e di dialetto, la loro vita vera ormai è "lavìa", un vocabolo che ripetono continuamente e che rende in pieno il senso della lontananza, di un mondo diverso. Ci offrono un caffè belga prima di farci salire sul tetto a sistemare i coppi. Fra noi c'è il ragazzo napoletano che diventerà poi il mio amicodelcuore: lui non riesce a bere il caffè lungo e chiaro e lo passa di nascosto a Lucifero, che viene dalle parti di Varese e che va giù duro di grappa: lui ingolla il caffè e sale, più o meno brillo come sempre, sul tetto. Il terremoto ogni tanto si sente di nuovo, ma non fa tanta paura: sono scosse di assestamento, si dice.
Sul senso di tragedia - la prima cosa che vediamo è la sterminata distesa di calcinacci che è Gemona, sullo sfondo l'ospedale pericolante e crollato in gran parte - prevale quello della fatica: la contadina che lava le lenzuola alla fontana torcendole con un antico movimento del polso, i viaggi su e giù dalla costa di chi ha la famiglia nelle case dei villeggianti, le damigiane recuperate nelle cantine e subito versate nei tombini chè il vino è diventato di colpo aceto con " una madre grande così sul fondo". Tutte le persone con cui parliamo ci raccontano del "gran caldo" che ha preceduto le scosse, degli animali agitati, e poco altro.
Il terremoto è tragedia rapidissima, che c'è da raccontare? Il silenzio stesso dei luoghi e della gente, quello rimane nella memoria come un non-più-luogo, un nowhere in cui la polvere smorza ogni suono, in cui i nostri colpi inesperti di martello o di piccone risuonano con forza. Sentiamo la paura: non il terrore che c'è stato e che c'è ancora negli occhi quando solo accennano a "quella notte", ma anche la paura che i paesi muoiano. Si teme che l'ospitalità di Lignano si riveli una trappola, una specie di deportazione che nessuno vuole: i paesi, invece, devono essere ricostruiti e sono i sindaci a prendere in mano la cosa. Non so perchè e come la Brigata andò a ricostruire Bordano, nè so se in paese c'erano altri volontari oltre a noi, che saremo forse una trentina.Veniamo da tutta Italia: fra noi c'è chi è già anoressico, chi si è preso un'ameba in Laos, chi bestemmia in alamanno e in goto, chi sa come si rubano le macchine, chi - un gruppo di bresciani - si alza prestissimo, "compagni, in già mo' le het!", sono già le sette.
Mi chiedo per la prima volta oggi se qualcuno si ricorda di noi, ragazzi comunisti a cui la solidarietà sembrava ovvia quando ancora la solidarietà non era nè spettacolo nè "immagine". Non lo era a tal punto che forse nessuno ha fotografie di quel periodo, del nostro camping improvvisato e dei lavori a cui cercavamo di dare un contributo. Del tutti ignari, come lo si è solo a vent'anni, del rischio ancora presente e perfino delle dimensioni reali, umane, della tragedia che avevamo intorno, come a vent'anni succede. E neppure la crepa che si allarga nell'asfalto facendo sbandare la macchina su cui sto tornando a casa riesce a darmi il senso della cosa: lo faranno solo questi ed altri ricordi, rimasti appiccicati alla mia mente pur nella loro minuzia. Così precisi nei particolari e così vaghi nel contesto da sembrare non narrabili, oggi che i fatti vivono soprattutto in virtù dell'enfasi mediatica: ed è strano accorgersi, nel confronto con l'oggi, che un pezzo del proprio passato si è fatto Storia e che noi ci siamo passati in mezzo con tanta noncuranza da conservarne quasi solo memorie un po' sciocche. L'anguria accuratamente scavata di nascosto dal cuoco della Brigata o la scalcinata macchina in dotazione che partiva con la chiavetta da scatola di sardine sono solo due fra questi ricordi da nulla, e taccio sugli altri chè potrebbero essere uguali in qualsiasi campeggio di ragazzi: però rimane il fatto che noi, allora, eravamo là. E, come ho scritto nel post a cui Stilobate ha lasciato il commento, è bello sapere che nel frattempo il paese allora distrutto è tornato ad essere un bel posto.
Oggi ci sono altre vittime, altri volontari: non so se allo Stilobate o ad altri della mia stessa età fa lo stesso effetto, ma a volte prende un grande sconforto nel vedere che, di generazione in generazione, le cose si presentano uguali se non peggiori. Ma nello stesso tempo è bello sapere che, come Bordano, anche noi che non facciamo della solidarietà un'occasione d'oro o uno sporco mestiere ci siamo, di generazione in generazione, ricostruiti. E riusciamo anche oggi ad esistere e resistere.

venerdì, aprile 03, 2009

UNA CENTRALE IN OGNI GIARDINO


Jeremy, non dovevi dirlo! Noi tutti contavamo sul fatto che i sostenitori italiani dell'atomo non se ne accorgessero - e forse non se ne accorgeranno ugualmente visto che non sono lettori de La Nuova Ecologia. Che riporta in questo numero la documentata opinione di Jeremy Rifkin, secondo cui la annunciata costruzione di centrali nucleari in Italia non avverrà mai.
Cioè che, com'era facile sospettare anche a prescindere dalle convinzioni in materia di energia, quello che il Gran Capo dei Buffoni vuole muovere sono solo i succosi appalti. E quello che sta dietro gli appalti ognuno se lo può immaginare.
"Scommetto che in Italia non ci sarà nessuna centrale nucleare" ha detto Rifkin agli studenti della Sapienza, in occasione dei dieci anni compiuti da Banca Etica. Secondo Rifkin infatti la quantità di energia che le centrali nucleari riescono a produrre è un'inezia: "Oggi in tutto il mondo sono presenti 430 centrali che realizzano solo il 5% dell'energia - spiega l'economista - quindi per poter arrivare ad avere un impatto sul clima (ridurre le emissioni di anidride carbonica) dovrebbero produrre il 20% dell'energia totale, ma questo significherebbe costruire tre centrali ogni trenta giorni per 10 anni, visto che ne sarebbero necessarie 2.000".
Inoltre, ha ricordato che "nel 2025 le scorte di uranio si esauriranno" e che "già non c'è abbastanza acqua per raffreddare i reattori, basti pensare che solo la Francia utilizza il 40% delle risorse idriche a questo scopo". Leggete anche
il resto dell'intervista - che merita e non è lungo.
E se credete che Rifkin sia di parte e magari poco serio dal punto di vista scientifico, potete sempre fare il confronto con la
mozione del PdL passata in Senato, in cui di fatto si nega l'esistenza del riscaldamento globale e di un'emergenza climatica.
Roba che in confronto l'accusare l'Onu di menzogna (l'Onu, eh, mica il vicino di casa...) e il farsi sgridare dalla Regina, diobono, sembrano segno di serietà.

mercoledì, aprile 01, 2009

RIFLESSIONI


Questo è un post che non è la prima volta che vorrei scriverlo. Un post che è già stato pensato in molte altre occasioni, da almeno vent'anni in qua, e per persone diverse - molte delle quali sono svanite dalla mia vita o addirittura dalla memoria, lasciandomi un frammento di "esperienza di vita", chè così viene chiamata.
Questo è un post che a volte ho pensato per me stessa, e a volte mi tocca di ripensarlo perchè tende ad essere soffocato da più bellicosi istinti.
Che sia chiaro, perciò, che non voglio mettere i piedi in nessun piatto - dalle parti della Comune-ty i piatti vengono già abbastanza calpestati senza bisogno dei miei interventi :-) - perchè è un riflessione generale, sul mondo l'universo e tutto quanto.

E' una riflessione sull'equilibrio e sull'equità.

Parecchissimi anni fa, io non ero molto amata nei giochi di squadra: pallavolo o fazzoletto che fosse, ho rischiato più volte le botte. Per fortuna ero agile e in più non mi lagnavo, nel caso, di sfracellarmi pur di fare punto, così le botte non me le hanno mai date. Ma le facce le vedevo, sissì, quando nel bel mezzo della lite furiosa fra le due squadre, io intervenivo calma:" No, il punto è loro, hanno ragione."
Era più forte di me: c'è qualche rigorosissimo antenato
cataro - i catari erano il partito marxista-leninista del cattolicesimo medioevale, una variante più severa del troppo allegro ascetismo  - che mi ha rovinato un po' la vita, e che non poteva astenersi dal riconoscere la ragione là dove mi sembrava che fosse. Neppure tacendo.
Oddio, sarebbe troppo bello se io riuscissi a vedere sempre la ragione dov'è, e perfino se riuscissi sempre a dar ragione a chi mi sembra averla. Nonnò, la storielletta amarcord è solo per dire che non ho esprit de corps: il che non significa che io non prenda le mie cantonate, non mi innamori di idee balzane e non le difenda appassionatamente, non litighi o non prenda posizione. Anzi.
Però credo che questa mia scarsità nel "sentirsi squadra" sia all'origine del cercare quasi sempre la motivazioni dei comportamenti altrui. Che non è una cosa sana da fare, in genere, come insegna il wiz ebraico in cui lo psicanalista si lascia sputacchiare tutti i giorni in ascensore da un suo collega, poichè il problema non è dello sputazzato ma dello sputazzante.
Infatti, una consistente parte dei miei pensieri inutili - tutti ne abbiamo un bel po' - gira intorno a questo grande busillis del capire troppo o capire troppo poco, essendo io perennemente in dubbio se quello che sto facendo può essere configurato come l'uno o l'altro errore. Naturalmente, mai risolvendo il dubbio una volta per tutte: altrimenti poi mi toccherebbe pensare inutilmente chessò, i gossip o le ricette o i commenti sul tempo.

E tutto questo è quindi solo la premessa alle mie riflessioni, giusto per dire in due parole che non voglio insegnar la vita a nessuno, dal momento che  sono convinta di non saperla.

Ma sono anche convinta che il diritto di dar fuori da scemi l'abbiamo tutti. Privatamente o pubblicamente, insultando ferocemente o minacciando il suicidio, parlando o agendo. Eccetera, secondo caratteri e storie. E che, quando succede che qualcuno dia fuori da scemo, l'esprit de corps sia una delle cose che fanno danno.
Poichè, in genere, si vengono a creare due opposti schieramenti e uno dei due è facile che sia formato da una sola persona. O da una sola categoria, o da una sola etnia. Succede, io credo, in tutte le comunità reali o virtuali: in caso di conflitto, c'è qualcuno che incarna il Torto. Magari ce l'ha, magari no.
E se sulle categorie e ancor più sulle etnie è più facile mantenere obiettività e lucidità di giudizio, se non altro in base all'assunto che ogni generalizzazione è perniciosa, e arrivare quindi ad un'opinione riconducibile anche razionalmente ai propri valori, nei conflitti tra singoli è difficile non lasciarsi trascinare.
Succede ai fansoni di uno dei due litiganti, e succede ai fansoni dell'altro, e per ognuna delle due squadre è l'Altro a incarnare il Torto, lui/lei solo/a.

Lasciatemi dire: non è mai così. E' logico, utile e fors'anche giusto che lo pensino, ciascuno dell'altro, i due litiganti. E' comprensibile, utile e fors'anche giusto che ciascuno dei due ricostruisca la storia comune nella propria memoria come se un riflettore illuminasse d'improvviso le zone d'ombra, che diventano i presupposti del Torto. E di qui a seguire: sono tante le cose furbe e sciocche che si fanno quando si è in mezzo a una lite per un posteggio, a un contrasto sul lavoro, alla fine di una storia, alla battaglia per lo spazio sul banco o per il più fico del ballo liscio geriatrico (non ridete, mi han detto che ci sono risse furibonde!).
E quelle cose giuste o sciocche le facciamo tutti, e quasi sempre le raccontiamo agli altri per averne non solo affetto e sostegno, ma anche appoggio etico e razionale. In quel momento siamo convinti di meritarcelo, che se mai è esistita una vittima quella/o sono io, ohimè meschina/o.
Ma, ecco finalmente il punto, io sono convinta che quasi mai si faccia bene a fornire sostegno razionale alle motivazioni che una persona può tirar fuori in una situazione di contrasto. Non abbiamo bisogno, per fornirle affetto e appoggio, di pensarla dalla parte della Ragione. Avrà le sue ragioni, che non necessariamente sono Il Torto dell'altro.

I rapporti interpersonali sono sottili equilibri tra equilibri differenti, come i castelli di carte, che sembrano solidi solo finchè stanno in piedi. E non sempre l'equilibrio che sta in piedi, del resto, è un equo equilibrio: fra colleghi, nelle amicizie e più di tutto nelle storie di coppia, l'equilibrio è spesso dato dall'accettazione di una disequità di base che, vista da fuori, potrebbe ampiamente meritarsi il nome di "iniquità". Ma che diventa davvero "iniqua" per uno dei protagonisti solo quando viene a mancarne l'accettazione.
Fino a quel momento, è percepita solo come "non equa" (e più spesso non viene neppure percepita) e può anche fornire moltissimi spunti ad interessanti contrasti: ma è solo quando il contrasto arriva a livelli "seri" che arriviamo a considerare non tanto la gravità della cosa in sè - qualunque essa sia - quanto l'ingiustizia nei nostri confronti. Dimenticandoci che fino a ieri quella stessa cosa ci sembrava fastidiosa, forse meschina o pesante, ma non così ingiusta come ci appare oggi. Anche perchè, in genere, una disequità viene compensata da un'altra in direzione uguale od opposta, esattamente come le carte che si fronteggiano e al tempo stesso si appoggiano l'una all'altra.
Ma nel momento in cui siamo diretti protagonisti di un contrasto, nel momento dell'urlo o del pianto o dello spintone, non siamo molto lucidi: sarebbe inumano riuscire a conservare, in quei momenti, la coscienza che abbiamo vissuto in un castello di carte.
Il contrasto potrà risolversi, eliminando la disequità o portandola a livelli di accettazione più equi o bilanciati, oppure potrà rivelarsi insanabile, e allora avremo anche più tempo per ragionare con calma e freddezza. E, di solito, per tornare almeno un poco sulle nostre posizioni, per capire che davvero Il Torto non è mai tutto da una parte sola, e se siamo bravi e fortunati anche per capire dove e quale è stata la nostra parte. Senza eccedere nel sentirci eroi o vittime, senza smentire del tutto ciò che abbiamo pensato con rabbia e tristezza, senza coltivare una rabbia e una tristezza ormai inutili.

In tutto ciò, le persone che ci vogliono bene ci faranno sentire il loro affetto e il loro appoggio soprattutto se, io credo, riusciranno a sottrarsi alla tentazione di credere davvero a tutto ciò che diciamo sull'Altro. Chè, in fondo, passate la rabbia e il furore, ci farà piacere essere considerati quelli che per anni non si sono neppure accorti di quanto fosse falso o gobbo o ignorante o superficiale o perverso o cecato o leso quell'amico/a, fidanzato/a, collega, amante ? Io credo di no, credo che il ruolo della vittima ci faccia sentire meglio per un po', ma poi sia una gabbia atroce. Così come credo che, in alternativa, dover smentire se stessi sia pesante.
Allora io penso che la cosa migliore che possa fare un amico sia quella di non credere del tutto a ciò che diciamo e pensiamo quando il cervello è pieno di rumore e di vento, mantenendo anche per noi  una piccola riserva mentale che forse ci aiuta anche a spegnere un po' la rabbia invece di alimentare il fuoco. 
Credo che, da amici (o da colleghi/fidanzati/amanti) , si possa e si debba mantenersi lontani da quella forma di spirito di squadra che porta ad assolutizzare cose, parole, condanne e accadimenti, magari convincendosi di essere tutti sulla stessa malefica barca: perchè stare lontani dal dramma e vicini alle persone, cercando almeno nella propria mente l'equità, mi pare il miglior modo di far sì che chi è in mezzo ad un contrasto possa recuperare più in fretta il proprio equilibrio.


lunedì, marzo 30, 2009

ATTENTI !

Gitissima per la Calamity Farm, che è andata al Parco Safari.
Occhi e becchi spalancati, a bordo degli appositi pullmini, gli abitanti della Calamity si guardano intorno, stupefatti nel vedere tanto esotismo.


Ciò non impedisce ai più allegroni di lanciarsi frizzi e lazzi da un pullmino all'altro e di intonare perfino qualche amena canzone: la preferita è, ovviamente, Nella Vecchia Fattoria (e si divertono un sacco quando il maiale fa il verso della gallina e viceversa, che spasso...), ma vanno bene anche Mi ricordo montagne verdi e il Ragazzo della via Gluck.
Distratti da tutto ciò, gli abitanti della Calamity non si sono accorti che qualcuno trama tra le fosche frasche: guardate bene lì sotto, è la Banda Fluo.


Ma inutile gridare per avvisare la Calamity: tutti presi dalla gita, non sentono nulla. Ahi, che suspence!

giovedì, marzo 26, 2009

UN'IDEONA

Il tempo passa, i graffiti si sovrappongono ai graffiti, il traffico imperversa e un pezzo della Calamity è sempre lì, sotto il viadotto: ah la crisi ah la crisi. Talmente crisi che guardate chi è arrivato... Già pronta per la notte, si informa gentilmente: "Scè per caso una stònsa?"


Un posto lo si trova, magari dietro ai componenti elettronici scaricati abusivamente.

Ma ecco che, durante la notte, chiacchiera che ti chiacchiera, l'ospite si trasforma tout court in maitre à penser, parbleu!

La Calamity sta mica indietro, come direbbero dalle mie parti, chè la proposta appare subito allettante: raggiunta la raffinata e solatia riviera, intercettano la macchina di lusso del rappresentante della multinazionale.
Il resto vien da sè, come si vede nella foto: legato come un salame il ricco simbolo del capitale, lo terranno in ostaggio finchè non avranno un lavoro e una casa.
Nel frattempo non mancano di cantare, a mo' di tortura psicologica, "
Ma cos'è questa crisi?" (sentitela anche voi, e capirete perchè).
Ossignùr,
speriamo che tutto finisca bene, neh?












martedì, marzo 24, 2009

COPYRAIZY



C'è anche prima eravamo a favore del copyleft, pur essendo dall'altra parte della barricata e piuttosto impossibilitati a fare qualcosa di concreto per esso. Ma se non lo fossimo stati, favorevoli, ecco qui un ottimo motivo per diventarlo. 
Certo, bisogna pur capirli, chè le indulgenze non tirano più un granchè...


la segnalazione della notizia non è mia, è di un'altra Strega

DELLO SCRIVERE, ANCORA

"Non facciamo bene niente finchè non smettiamo di pensare al modo di farlo." Me l'ha detto il mio Citarandom, qui di fianco ai post: è una frase di William Hazlitt (1788-1830), saggista e critico inglese, arrivata proprio mentre stavo pensando alla scrittura e allo slow-time.
Non mi aspettavo reazioni sì entusiaste al mio post sulla scrittura rotonda - grazie, a propòs - e ora temo di deludere il mio ristrettissimo pubblico tornando sull'argomento, ma me l'arrischio. E la frase di Hazlitt è giunta a puntino, perchè riesce a centrare il primo bersaglio, cioè la fluidità, lo scorrere: che non è, ovviamente, il banale automatismo. L'automatismo serve, ad esempio, per guidare: ma se è vero che chiunque guidi deve imparare a farlo in automatico, sennò non sa guidare, non è affatto detto che ciò coincida con il guidare "bene".

Sulla scrittura non sempre lo scorrere è quello che sembra: anzi, forse non lo è quasi mai. Che capita, a chiunque piaccia scrivere e ci provi con un po' di serietà, di essere trascinati dalla propria penna (tastiera, ok) e di riempire furiosamente una pagina o trenta: il risultato può essere buono o meno buono, anche se la soddisfazione in questi casi tende a essere alta. E' bello, infatti, lasciarsi andare alla scrittura, all'"ispirazione", al fluire appunto di parole e concetti. Poi verrà il momento di aggiustare, ma intanto si va, e si va perfino veloci.

Però c'è un altro modo, meno pubblicizzato del furore creativo, ma spesso più efficace almeno dal punto di vista dello "scrivere bene"( dire "letterario" sembra troppo pomposo, ma insomma quello è, in effetti).

Quell'altro modo lì è quando fai fatica a scegliere ogni singola parola, ma non riesci a fermarti lo stesso: lentamente, quasi penosamente, ogni vocabolo usato deve rientrare in un disegno, in una specie di geometria, come le note in un pezzo musicale.
E, come una musica, lo scritto nel suo insieme deve rotolare - già, si torna al rotondo - via dentro le orecchie, scorrere liscio e armonico dentro la mente. Come il rumore del treno quando si è contenti di essere in viaggio, come la pioggia sui vetri quando sei davanti a una cioccolata, come un movimento di yoga quando lo sai fare davvero.
Fluido, appunto, che non si veda per nulla lo sforzo, la ricerca della parola giusta, della frase che è quella e non può essere altra. Mentre sto pensando questo mi distraggo, e nella distrazione, pensa te, trovo per caso sul web un pezzo di Pietro Citati su Virginia Woolf, in cui c'è questa frase:
"La Signora Dalloway, a cui Virginia Woolf cominciò a pensare nell' ottobre 1922, si chiamava da principio Le ore. Il 9 febbraio 1924 scriveva: "Questa volta credo di aver scoperto un filone. Spero di estrarne tutto l' oro... E il mio filone d' oro è molto profondo, in gallerie molto tortuose. Devo avanzare penosamente per sfruttarlo, curvarmi, andare a tastoni." Ecco, insomma, non sono solo io a dirlo...

Ma la ricerca mai si deve vedere, neppure quella che viene fuori dalla decima revisione, neppure se uno vuole usare solo termini ottocenteschi o nerdissimi: ma in particolare non si ha da vedere la ricerca che sta dietro questo tipo di scrittura, a cui si può permettere solo di fluire già "perfetta".

Lo so, sembra una contraddizione in termini (ed è ovvio che perfetta non sarà e avrà ugualmente bisogno di buone revisioni), ma insomma la si può lasciar fluire così, già precisa e mirata e lenta e faticosa, perchè c'è tutto un lavoro della mente, dietro. E anche dell'anima, se mi passate questo termine preso a prestito.

Un lavoro che permette prima di tutto di "vedere " la scrittura così come la vogliamo, e solo dopo tradurla in parole. Banalizzando estremamente il tutto, sarebbe come inventarsi un personaggio che si chiama, che so, Romolaccio: non si potrà farlo parlare in milanese o in veneto, no? Al suo nome corrisponderà, dentro la nostra testa, il suo modo di parlare e a quello cercheremo di far aderire la scrittura dei suoi dialoghi o pensieri, ascoltandoci scrivere per capire se lo stiamo facendo come si deve.
Perchè la "scrittura che vogliamo" non è detto che ci venga spontanea, che ci arrivi addosso perchè noi siamo noi: a volte può essere la nostra lingua, a volte può mischiarsi a quella del libro - o qualchelè - che vogliamo scrivere. Ogni libro ha infatti la sua personalità, perfino quelli non ancora scritti: e a volte, anzi, lo scrivere può anche non essere per niente la nostra lingua, ma solo quella del libro che vuol essere scritto.
Eh, sì, a parlar di scrittura si finisce sempre molto vicino alla cabala o giù di lì e non è un caso se un sacco di scrittori si sono cimentati nell'accostamento fra libri e magia. E, naturalmente, sono anche finita fuori tema perchè anche i post a volte si scrivono da soli, e lo slow-time da tutto ciò è rimasto un po' fuori: ma mi sa che imiterò il brother e su quest'argomento farò ancora qualche divulgazia. Divulgazia in progress, diciamo così.

lunedì, marzo 23, 2009

IT'S A LONG WAY TO TIPPERARY



Invidiosissima del KGgB e della sua gita scolastica a Dublino, la Calamity Farm ha organizzato, quatta quatta, il suo viaggetto nella terra dei quadrifogli.

A bordo di un pullmann dismesso - come testimonia la scritta sulla fiancata - gli abitanti della Calamity non mancano di espletare le tradizionali attività da gita: chi si sbaciucchia nelle ultime file e chi si è già rollato un cannone più grande di lui.
Cosa facciano gli altri è meno definito, ma basti il dato dei capelli dritti dell'autista.

I voli scelti dalla Calamity sono molto, molto low cost, ma basteranno per attraversare quel fazzoletto di mare, al di là del quale li attende il leprechaun, con la sua pentola d'oro ai piedi dell'arcobaleno. E, naturalmente, la Guinnes.

venerdì, marzo 20, 2009

A BEN PENSARCI...


Ci sono momenti che mi farebbe comodo l'ortica della compagnamber. O il manuale di creatività dell'amicae. Mi farebbe ancora più comodo avere un orario inflessibile di lavoro, o un marito di quelli da barzelletta, quelli che urlano "qui comando io" e poi ti dicono cosa devi fare.
Sì, lo so che l'orario di lavoro non me lo sono tenuto quando mi è capitato di averlo, che a un marito così sarei appunto scoppiata a ridere in faccia ben prima che diventasse mio marito - e, anzi, forse non è un caso se non ne ho neppure incontrati mai, di uomini davvero così.
Epperò, devo ammetterlo: se non avessi questo carattere, o formazione, o inclinazione a discutere ogni cosa e a deciderla da me ora starei un po' meglio. Mi affiderei a qualcuno, o a qualcosa, o anche a un qualche niente, e mi farei meno problemi, avrei meno dubbi, potrei rilassarmi un po' di più.
Ma, come mi ha detto la mia amica Grandemaestra:" E' anche questo il casino di chi ha rifiutato il valore dell'Obbedienza."
Orpo, già: ma chi l'avrebbe detto, trentaepassa anni fa? Ah, Don Milani, se tu sapessi...

giovedì, marzo 19, 2009

DI SCRITTURA E ALTRE MERAVIGLIE


L'amicae. si chiede cosa vuol dire rotondo, scitturalmente parlando, e intanto fa i suoi bravi esercizi di creatività, con il molo e i pennarelli.
Allora, ecco, io della scrittura ne ho fatto un mestiere: questo non vuol dire affatto che io ne capisca, però per forza qualcosa in proposito mi è venuto in mente.
Per cominciare,
rotondo secondo me è un po' come il gusto del vino: tenuto conto che non capisco nulla neanche di vini, direi che è qualcosa che ti riempie con soddisfazione il gusto, che ti fa sentire appagato.
Nel post dell'amicae., la scrittura rotonda è contrapposta al periodare breve: non credo che siano necessariamente in opposizione, ma certo con le frasi brevi è più difficile far sentire appagato chi legge, e forse anche chi scrive.
Il periodare breve, che oggi va per la maggiore, ha un sacco di vantaggi: è incisivo, veloce, si scrive e si segue più facilmente, si presta con molta più elasticità a "cambiamenti di stile" anche all'interno dello stesso brano (una frase descrittiva di sette parole non forma un contrasto stridente con una successiva in tono colloquiale, mentre due analoghi periodi più lunghi e complessi vanno accostati con prudenza decisamente maggiore) e, non ultimo, è più adeguato al ritmo della vita qual è oggi. O, meglio, a quello che vogliono farci credere sia il ritmo "giusto" della vita, e questo è tutto un altro discorso: ma le cose "lente" sono considerate, ormai per definizione, brutte e pesanti. Con qualche eccezione tipo Sting, forse, ma insomma.


La scrittura, in verità, non è - non dovrebbe mai essere - veloce: si può scrivere di getto e fortunato chi riesce a farlo bene, ma la rifinitura deve comunque essere minuziosa, precisa, "lenta". Le parole hanno bisogno di tempo per sembrare, a chi le scrive, qualcosa da leggere: e di nuovo viene spontaneo il paragone con il vino, che deve farsi e poi star quieto sennò fatto non è.
Per questo sono belli i blog che non richiedono correzioni, ripensamenti, rifiniture: hanno tolto la scrittura dal regno del "dev'essere" e l'hanno portata nel qui e ora.
Ma, attenzione, i blog non sono Scrittura: possono essere esercizi, documenti, forme espressive anche stupende. Possono essere racconti, così come lo erano un tempo le fiabe e le ballate dei cantastorie: ma quando si vuole tradurli in un libro (che è la forma che ancora diamo alla Parola Scritta, quella vera, anche se è un e-book) bisogna mettersi lì e lavorare di lima. Provate a leggere un blog, uno qualsiasi, tutto di seguito, come se fosse un libro: dopo un po' la noia mortale vi assalirà.
Allora, ecco: nei blog, proprio perchè non sono libro, il periodare breve ci sta bene, così come ci sta bene un giusto turpiloquio, le frasi monche, quelle gergali, i dialoghi surreali. Nessuno di questi è necessario, ma tutti contribuiscono a fare del blog, appunto, un blog: non solo nei contenuti ma anche e soprattutto nella forma, che secondo me è bellissima, nuova e stimolante.
E produce risultati strabilianti di cui la comune-ty è un esempio bellissimo, con il suo ventaglio di stili molto diversi fra loro e ognuno efficacissimo.
Però, si è detto, la Scrittura può, deve, essere altro. L'italiano, in particolare, non si esprime al suo meglio nella frasi brevi: è una bellissima lingua se usata in tutto quel suo contorcersi fra subordinate, coordinate e secondarie in genere che ne rendono così ardua l'analisi logica alle medie. Forse dico una scemenza chè mai ci ho pensato prima d'ora, ma neppure i dialetti italiani si esprimono per frasi brevi: basta pensare a com'è articolato, e ricco, un discorso in napoletano, una descrizione in lombardo, un insulto in veneto. I liguri, forse, fanno eccezione: ma, appunto, confermano.
Però non è solo questione di nazionalità, di radici, ovviamente: sono tanti gli scrittori che hanno un periodare ricco (non solo
Mailer che ignorava l'esistenza del punto così come di ogni altro limite) e, anzi, sono la maggior parte. Un periodare più lungo, un ritmo più disteso di per sè non fanno una scrittura rotonda, ma certo ci provano già con più credibilità di un insieme di frasi a singhiozzo. Che sarà difficile possano rotolare con piacere sulla lingua, lasciandosi assaporare, pronte a un ripiglio di gusto se appena si fa caso a quel sapore secondario, adatte a lasciarsi dietro quel retrogusto particolare... salvo che tutto ciò succede nel cervello e non nel palato.
E poi, ancora, bisognerebbe distinguere tra lo Scrivere e il Narrare, ad esempio, e provare a capire quale delle due cose si ha più voglia di fare: distinzione un po' capziosa, forse, ma che con la scrittura rotonda ha a che fare, chè essa cambia anche a seconda del ruolo. Ma lasciamolo per un'altra volta, va'.


mercoledì, marzo 18, 2009

AHI, LA CRISI


Picchia duro anche alla Calamity Farm , eggià.
Come si può vedere nella testimonianza fotografica, non sono pochi gli abitanti della Calamity che hanno dovuto rinunciare al loro mutuo sulla casa e quindi alla casa stessa.
Costretti alla più avvilente promiscuità, abitano ora sotto il viadotto dell'autostrada. Il rombo del traffico sopra di loro è praticamente incessante: solo nel cuor della notte si potrebbe approfittare di un poco di tranquillità, ma ecco risuonare frasi che per gli abitanti della Calamity suonano misteriose:"Oh, bella lì, troppo fiera quella farfalla!"
Sono i writers: a loro e agli automobilisti la Calamity accampata tirerebbe volentieri i sassi su per il cavalcavia.

venerdì, marzo 13, 2009

AH-EHM...


Devo dire la verità, mi sento un po' cogliona.
Perchè mi viene spesso rimproverato di non leggere quanto dovrei Il Manifesto, e oggi che
l'ho letto mi ritrovo perplessa. Forse non capisco l'ironia.
Ma chiedersi, oggi,
se Fini ha in testa un'idea diversa della destra, quando sono anni che fa di tutto per accreditarla... ma mi portate per culo, compagni?
E poco conta che l'articolista, mi dicono, non sia fra i più stimati: che perfino Il Manifesto arrivi a plaudire il Delfino Nero mi pare gravissimo. Il quale non da oggi esprime posizioni certamente più in sintonia con il nostro sentire che con quello dei suoi (ex?) scagnozzi, tanto da far sentire autorizzato perfino Vespa a fare lo spiritoso, uah uah mi starà mica diventando di sinistra?, ma che non spende certo un briciolo della sua autorevolezza per fermare gruppini e gruppacci che sempre più imperversano e fanno tanto trendy. Ben protetti, come si vede in episodi sempre piuù frequenti, dalla polizia di Trentacavèi, come lo chiama il Davide.

A questo punto, dato sì che sono di sinistra e quindi per definizione appunto cogliona, mi chiedo se non compio però un arbitrio accusando il Delfino delle stesse cose che sono state usate contro Berlinguer e via via dopo di lui fino a Fassino - Veltroni no, era ormai talmente lontano che non ci ha provato neanche più nessuno, ad accumunarlo, che so, ai centri sociali.
Se, cioè, non sia giusto riconoscere anche a loro un'autonomia di "pensiero" che esprime posizioni differenti. E, del resto, è ovvio che le teste calde non mancano mai da nessuna parte.

Ma, se può essere così, se davvero pensiamo che siano possibili concordanze su temi di base con chi fino a ieri sentivamo nemico, non occorre forse tutto un ben più ampio ripensamento? Io non so se c'è già stato, sulle molte pagine del Manifesto che io non ho letto, ma dall'articolo in questione non si direbbe.

Così come non sembra neppure adombrata l'altra ipotesi, e cioè che Trentacavèi più il Delfino più i molossi per le strade - verdi o neri che siano - si stanno spartendo tutti gli spazi. Anche quelli buoni. E anche quelli cattivissimi - avete visto in giro quei manifesti dalla paternità nerissima che incitano alla ribellione contro il consumismo? E anche, come si va dicendo in questi giorni su questi blog, quelli frivoli e modaioli, che un tocco di leggerezza non guasta.

Per farne cosa, e come?
Se Il Manifesto sa qualcosa di rassicurante, che ce lo dica, per favore.

giovedì, marzo 12, 2009

ET VOILA'

Intossicati dai successi ottenuti, inebriati dalle luci delle ribalte, gli abitanti della Calamity Farm non sanno più rassegnarsi alla mera routine della vita agreste, nonostante il suo fascino magnetico.
Con un ardito quanto impulsivo colpo di testa, alla presentazione della Collezione Primavera-Estate 2009 alcuni di loro si sono perciò impossessati non solo della passerella, ma anche dei vestiti della top-model, che vergognosa si nasconde dietro le quinte.


Orgogliosamente, nel lussuoso ambiente dell'alta moda - come si deduce dalla lampada in primo piano - la Calamity indossa i modelli dei migliori stilisti.
Le taglie risultano tutte perperelle - così le chiamano alla Farm, chè loro sono colti - ma gli abiti fanno ugualmente un figurone e i modelli vengono applauditi dal pubblico.
Non manca il gossip: avete notato che i ranocchi sono solo in lungo? Fra le fila, malignamente, si bisbiglia che siano terribilmente complessati, in particolare riguardo le cosce. Specialmente se gli stilisti sono francesi.

UNA VITTORIA DELLA FEDE

Va bene, io entro nel Guiness della distrazione e scoordinamento mentale, ma il Quizzone biblico l'ha vinto la Fede.
E non è un gioco di parole, però forse avrei dovuto capire che era lei la predestinata, l'eletta.
In ogni caso,
è lei che ha indicato con precisione tutta scientifica personaggi ed avvenimenti e poi, colta da scrupolo, anche il racconto completo: e, come da regolamento, risulta Winner anche perchè è stata la prima a dare tutte le risposte giuste.
Alla Fede andrà quindi l'ambita copia di "Robot", che potrà scegliere personalmente dalla libreria.

Quanto agli altri, il brother vince il Premio Ghigna (notevoli in particolare i gomorroidi, neh?) e il gipunto il Premio Precisini - chè entrambi li abbiamo gustati assai, e anche i premi sono apprezzabili quanto concretamente inesistenti - ma come sempre anche gli altri concorrenti si fanno notare per un qualche aspetto divergente: come la bibbia in dialetto veneto o la Grande Papera che quasi quasi la trasformiamo in personaggio fisso, per non parlare dell'apprezzamento per la scenografia manifestato da uno stakanov pur debilitato dall'emicrania.

Per rimediare alla chiusura un po' brusca di questo quizzone, comunque, ecco che vado a imitare il Wally di
Dov'è Wally e vi inserisco il Quizzino nel Quizzone, quello che di solito sta nell'ultima pagina, scritto in piccolo.
Ecco qua, dunque. Si tratta di trovare, nelle stesse foto del Quizzone, i seguenti oggetti:

le lenticchie Beluga - questa è facile, ma così smettete di chiamarli fagioli
2 tessere da mosaico

un seme

1 portapillole

un levacomedoni

un orecchino
la cipria Karma di Lush


Premi non ce n'è, ma passerete un altro produttivo quarto d'ora alle vostre scrivanie.

mercoledì, marzo 11, 2009

TUTTO SBAGLIATO!

Io ho sbagliato tutto, pubblicando subito i commenti.
Accidenti, ci avevo la testa per conto suo. Ma se volete partecipare - a questo punto il quizzone si chiude stanotte, comunque - fate finta di essere svizzeri, e non guardate i commenti, va'.

QUIZZONE MISTICO

L'argomento è già stato detto, trattasi delle Bibbia-Vecchio Testamento.
I gruppi biblici - siano essi composti da uno o più partecipanti, o addirittura nessuno - sono in tutto nove, distinti ma non separati, visivamente, da alcuna barriera fra uno e l'altro.
Bisogna indicare il nome dei protagonisti di ogni gruppo e l'episodio, o la frase, in cui compaiono. Vale, come sempre. l'ordine di arrivo delle risposte esatte.

E andiamo a cominciare: la prima foto è una visione di insieme, le altre zoommano su uno o più gruppi.







SIAM GIUNTI


Esso è pronto. Il quizzone. C'è.
Se voi non lo vedete ancora è perchè verrà postato in un orario lavorativo random nella mattinata di oggi mercoledì, così da non favorire nè gufi nè allodole.
Questo è solo il post che ne dà l'annunciazione, in modo che possiate prepararvi spiritualmente ad accoglierlo, e ne racconta la genesi perchè voi abbiate fede nella vostra capacità di risolverlo. 
E i termini non sono scelti a caso perchè.... ta-dammm... l'argomento è un libro che in casa nostra alloggia da sempre nello scaffale della fantascienza, il best-seller di tutti i tempi, la Bibbia! 
Che il bagno che ospita la Calamity Farm, iersira vedeva il KGgB e l'uomobarbuto consultare con aria dotta le pagine - " Le dieci piaghe?" "Caino e Abele?" "Assalonne??" - e la Strega e la Nessie allestire gli scenari alla Cecile B.De Mille che potrete ammirare nelle foto. 
Il quizzone sarà moderatamente difficile, fors'anche addirittura quasi facile. E, come il Bertram Wooster di Wodehouse, anche voi potrete vincere il premio alla Gara di Sacre Scritture. 
Quale premio??? vi sento già chiedere in preda alla libidine. Ebbene, per competenza e attiguità, non può che essere una copia quasi antiquaria della rivista "Robot".

lunedì, marzo 09, 2009

NIENTE DA DICHIARARE


Volevo cominciare questo post con una bella cosa che ho notato sul calendario: Marc Chagall ha dipinto la sua famosa Passeggiata nel 1917. Marc Chagall è russo, neh? E in Russia, nel 1917... Ma poi è arrivato il KGgB e mi ha detto: "Ma lui nel '17 stava a Parigi." E io ho detto: "Già nel '17? Mannò, ci è andato dopo." Indovinate chi aveva ragione?
Così mi manca questo bellissimo spunto per ciò che voglio dire, ma lo dico lo stesso.

Perchè, ecco, lo so: non solo la Comune-ty è piena di casini personali, ma come se non bastasse ci hanno tolto la politica. E fate conto che sull'ultima frase si possa linkare almeno un post per ciascuno di noi, di angoscia e depressione, di schifo e di nausea, di timore e di confusione e di rabbia e di indignazione e di... E poi, però, basta: chè anche quando ci si prova a far proposte e dibattere, fuori e dentro la Comune-ty, sui blog e di persona, si arriva ugualmente al punto in cui ci coglie l'afasia. La mancanza di sponde, di qualcuno che possa raccogliere ancora la fatica e la rabbia, ci rende del tutto impotenti, per ora.
E mica è divertente deprecare e indignarsi a vuoto, replicando sè stessi: così, credo anche per questo, i blog della Comune-ty tacciono sempre più.

Non siamo mai stati fra quei bloggers che amano raccontare le prodezze del loro gatto e molti fra noi non amano raccontare neanche le proprie. Perchè, prodezze o sfighe che siano, ci prende la sensazione che c'è un limite, no? , a quello che uno può raccontare di sè senza diventare noiosamente autoreferente.
Così, piuttosto, si tace.


Ecco, non sarò io a pensare che si può scrivere senza averne voglia. E men che meno mi metterò a teorizzare che mettere in piazza i fatti propri sia un dovere, ovvio.
Però lo dico chiaramente, alla Comune-ty ma anche a chi magari mi legge senza mai mostrarsi: io, la mattina, se so di leggervi mi alzo più volentieri. E, credetemi, di questi tempi non è poco. Non solo per me, credo.
I commenti ai miei post sono sempre una bellissima sorpresa, ma un post di uno di voialtri dei linki qui accanto è ancora meglio.
Io penso che tra il dibattito "alto" del brother e l'Ortica di Compagnamber - ed ho apprezzato moltissimo entrambi - c' è la vita di tutti i giorni, c'è la Passeggiata di Chagall: anche se era a Parigi. Io questo concetto non ce l'ho chiarissimo (e però l'ho scritto lo stesso anche dentro un libro ): è l'imprevedibilità dei risultati delle cose.
Cose che si fanno anche quando magari sembrano sciocche o fuori luogo o inutili, e invece poi risultano migliori, più produttive o più durevoli di azioni più mirate.
Così, in questo preciso momento storico-social-politico-personale, penso che anche i post sulla vita di tutti i giorni, i post che mi raccontano qualcosa che non so, che informano di una cosa bella per uno di noi o di un momento speciale per un altro possano essere importanti non solo per me e il mio umore, ma forse anche in un modo che non ci aspettiamo.
Ci scopre Hollywood, ad esempio, o diventiamo il Direttivo del Nuovo Soviet Mondiale: niente di che, ovvio, ma potremmo accontentarci.

Partescherzi, non voglio diventare una palla: ma questi blog afasici mi stringono un po' il cuore e mi chiedo se, a volte, essere intelligenti non si trasforma in un boomerang, diventando una sorta di (immaginario) obbligo.
Voi che ne pensate? (Attenzione, è una domanda trabocchetto!)

domenica, marzo 08, 2009

SVENTATO UN VILE ATTACCO

Uh, che paura! Di primo mattino, ancora in mezzo alla bruma, la Calamity si è trovata a dover fronteggiare un brutto individuo e il suo seguito psichedelico.

Il signor Smith? Er sinnaco de Roma? Remo di Romolo e Remo? Totonno il discotecaro? Il fratello cattivo di Konrad Lorenz? La Digos of Benetton?
Non si sa, nè mai si saprà.
La Calamity Fram ha reagito compatta, opponendo cordoni serrati e tenendo al centro le paperelle, nel dubbio che potessero essere il vero obiettivo della Banda Fluò guidata dal Papero Nero. Di fronte all'evidente superiorità numerica e morale, i pessimi hanno rinunciato allo scontro e, fatto dietro front, si sono dileguati nella nebbiolina del mattino. Torneranno?


giovedì, marzo 05, 2009

martedì, marzo 03, 2009

LAVORATORI ATIPICI

Il contrabbando, dalle parti da cui provengo io, era un'attività normale, praticata da cittadini che per tutto il resto non avrebbero mai commesso un'infrazione alla legge. Fra loro, mio padre. Dadi da brodo, cioccolato, calze di nylon e sigarette: merci costose in Italia e molto meno in Svizzera (anzi, "in Isvizzera", come si diceva allora), su cui il guadagno era forse modesto ma sullo stipendio di uno statale faceva la sua differenza.
Mio padre, però, non faceva lo spallone: di loro canta Davide Van De Sfroos - il suo concerto è domani sera, neh? - e sono sempre un po' bulli, furbi e ingenui allo stesso tempo. Inevitabile fare il tifo per loro, che con la gerla in spalla ( o con addosso la Lacoste, come il Cimino del Davide) andavano su e giù per i sentieri che costeggiano il lago di Como, attenti a sfuggire le pattuglie della finanza.
Agli spalloni credo che mio padre dovesse la vita: quasi certamente fu grazie a loro che riuscì a "passare " in Svizzera dopo l'8 settembre, e a fare il resto della guerra come internato. E, chissà, forse erano spalloni comunisti, come mio nonno: che perfino nella rigidissima morale comunista di allora il contrabbando non poteva essere reato.
Quando io ero ancora piccola, un'estate andammo a trovare un tipo, su per la montagna al confine. Mio padre non ci disse perchè nè cosa lo legava a quel contadino, che ci accolse continuando a dar da mangiare pezzi di verme al suo merlo, ma fra mio padre e lui corse una strana e burbera gentilezza, di poche parole in dialetto, come un riassunto di qualche anno di vita. Ma questo fu dopo, chè quando mio padre chiese, sul limitare dell'aia, se era in casa il Giuàn (o l'Enrico, o il Giangi che fosse, non so più) non gli dissero nè sì nè no, ma solo "Chi lo cerca?"


A modo suo, la Calamity Farm rende omaggio a questa, e ad altre, storie di spalloni.



Nel campo lungo, il drammatico avvistamento degli spalloni da parte della finanza
Nella seconda scena, invece, il dialogo fra i due spalloni suona così: "Orpo, Giuanìn, te l'avevo detto che il Toblerone c'era mica la convenienza! E per di più si vede da lontano, varda lì la finanza che arriva, orcamadosca!"

lunedì, marzo 02, 2009

PAURISSIMA

Tutta la Calamity ha affrontato un periglioso viaggio con ogni mezzo disponibile, pur di raggiungere il drive in e vedere il thriller più pauroso di tutti. Ed è tutto uno sporgersi da finestrini, oblò e ali per gridare "Attento, Pierino!" "Occhio, è dietro di te!" e via di seguito: ma il protagonista è umano e sembra non capire mai gli avvertimenti che giungono dal partecipe pubblico. Per fortuna c'è l'happy end, fiiuuu...