martedì, ottobre 07, 2008

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C'è una foto del mio papà, una foto che finchè erano vivi lui e la mia mamma io non avevo mai visto, così come non avevo mai saputo che il motivo per cui mio nonno veniva prelevato e portato in prigione ogni volta che a Como "arrivava un qualche gerarca" come raccontava il mio papà, era che il nonno era noto come comunista. Questo me l'ha detto la mia mamma ben dopo che il mio papà era morto, la foto invece la teneva nascosta nel suo cassetto, immagino senza nessun motivo al mondo per tenerla nascosta. 
Ma la mia era una famiglia così, di quelle che poi ti accorgi che non hai mai saputo un sacco di cose, e a questo punto mai le saprai: ma il mio papà piuttosto che parlare di se stesso avrebbe fato scattare una botola sotto i suoi stessi piedi per scivolare via che neanche ti accorgevi che se n'era andato. 
Già parlava poco di tutto, ma di se stesso men che meno. Di lui è rimasto qualche dato sparso, appena qualche notizia: la guerra nel Genio, al Sestrière, l'internamento in Svizzera (dove? mah...), il caldo che faceva a Torino con la divisa invernale quando era venuto via dalle montagne, l'8 settembre, i polacchi che non gli erano simpatici (perchè? mah..)  Da lì, poi, sembrava che fosse arrivato direttamente alla vita con noi e, se raccontava qualche episodio del suo passato più recente, era solo perchè i protagonisti eravamo noi, non lui. 

Ma in quella foto trovata in fondo al cassetto il mio papà è ben lungi dall'essere il mio papà, è un ragazzo insieme ai suoi amici: uno degli altri è seduto su un cavallo a dondolo, un altro fa una mezza smorfia , altri due invece sono seri nei loro ampi cappotti, in testa il borsalino. Il mio papà ha un cappello chiaro che, più che sulle ventitrè, sta giusto in bilico sul limitare della sua fronte, altissima già prima che si stempiasse, e un gran sorriso da Dario Fo gli mangia l'altra metà faccia.  
Mio papà sembrava una persona serissima: in realtà era molto timido e l'essere serio era il suo modo di affrontare il mondo, salvo tradirsi con una battuta surreale o un guizzo ironico negli occhi. Però, ecco, mio papà che "fa il buffone", come nella foto, ben pochi l'avrebbero creduto possibile e  quei pochi erano i bambini: prima noi, i suoi figli, e poi, e ben di più, i nipoti. Si divertiva un sacco a passare per sciocco e svagato, si divertiva a far finta di dimenticarsi per l'ennesima volta il finale della storia, a dire una parola nel modo sbagliato perchè il bambino di turno potesse correggerlo, a fare smorfie  e citare le sue frasi preferite dei fumetti, strabuzzando gli occhi per fare "Yuk yuk" come Pippo.  
Noi bambini, figli e nipoti, l'abbiamo adorato tutti, credo. Noi figli, come figli, qualche problema con lui l'abbiamo poi  avuto: e io dato i miei problemi  a quando lui ha smesso di strabuzzare gli occhi, di fare yuk yuk o il verso della trighe. 
Sembrava che avesse smesso perchè eravamo cresciuti, sembrava logico pensare così: ma stasera, in cui dopo molto tempo mi è uscita di nuovo quell'irresistibile voglia di fare buffonate che è la stessa, direi, del mio papà e che ultimamente era sparita, penso che no, neanche lui aveva "smesso" con decisione cosciente e razionale. E' solo che nell'uomo che era in quegli anni non c'era più posto per il ragazzo con il cappello in bilico: e, se devo dire la verità, quegli anni me li ricordo, pur senza reali motivi di tristezza,  come immersi in una realtà di colpo ingrigita. 

3 commenti:

Anonimo ha detto...

:-)
che bella storia che hai raccontato.
che poi sarebbe proprio un gran bello riuscire a tenersi un angolino per fare yuk yuk anche a novantatrè anni, o ad una riunione di lavoro...
dote rara...

lastreganocciola ha detto...

grazie, gipunto. però io capovologo il ragionamento: e penso che nel momento in cui non riesci più a trovare il "buffone che è in te" o comunque ti accorgi che non c'è più posto per il ragazzo che eri, ecco, in qualche modo ti devi preoccupare. E, mi dicevi, qui giunge a puntino lo shiatsu, no :-) ?

Anonimo ha detto...

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