giovedì, settembre 08, 2011

LE ZUPPE DI JANINA

"Il 1.10.1996 Janina Turek, madre di tre figli, pranzò con una zuppa di funghi e pastina, spezzatino con contorno di patate e barbabietole rosse stufate e uva per dessert. Anche quarant'anni prima, il 19.02.1956, aveva consumato un pranzo semplice: una salsiccia calda con senape dolce, pane, composta di mele, un pezzo di cioccolato e torta di noci e frutta secca.
Il 21.03.1973 ricevette due telefonate mute
Il 21.o6.1976 trovò per strada un paio di calzini elasticizzati da bambino non usati; 
Il 15.08.1981 cedette al figlio i suoi tagliandi di razionamento per la carne."

Questo l'incipit di "Reality", il racconto che dà il nome alla piccola raccolta di racconti di Marius Szczygiel - ogni promessa è debito - pubblicato dalla carina editrice Nottetempo con il contributo  del programma Poland per la traduzione.  E approfitto dell'assenza della capra per iniziare questo post che non so dove mi porterà.

Perchè il racconto prosegue con molte annotazioni dello stesso tipo tipo - attenzione allo spoiler, neh? -  che si allargano a comprendere categorie come "persone viste di sfuggita"e "regali (fatti e ricevuti, di qualsiasi genere)", ma anche "eventi mondani", in cui un caffè con la panna mangiato in passeggiata conta esattamente come il passaggio di Fidel Castro ammirato dal mezzo di un'aiola di fiori.
Tutte queste annotazioni, talmente neutrali da registrare le visite dei figli con il loro nome e cognome senza alcun dato accessorio, vengono scoperte dalla figlia alla morte della donna, registrate con cura su quasi 800 quaderni chiusi in un armadio: dietro di loro, completamente ignorata se non nel caso raro e improbabile  in cui  tocchi direttamente Janina, scorre la vita della Polonia  dal 1943 al 2000. 
Non sono certo anni privi di avvenimenti, ma le cartoline registrano quanti zloty sono stati dati come offerta alla messa prima di smettere di andare in chiesa, o il film visto il giorno della morte di Stalin ("Fanfan laTulipe") senza che l'evento storico compaia nel quaderno, così come non compaiono le esecuzioni di massa naziste o la liberazione di Cracovia.
Dopo i quaderni, la figlia troverà anche un pacco di cartoline, mai spedite, su cui le annotazioni si fanno più intime, ma anche più partecipi della vita sociale e politica: ma i quaderni rimangono il luogo in cui Janina ha fissato la sua vita, con una serie di spilloni che ne immobilizzano la routine. Non prive di fascino, così come non lo sono le farfalle morte, pur a dispetto della contraddizione in termini e sentimenti.

E allora uno, dopo aver letto il racconto (che, vi assicuro è carino assai e lo sono anche gli altri, se non cercate l'azione) si chiede se poi, in fondo, non sia Janina da aver ragione: se non contino di più le visite fatte e ricevute, anche senza pretesa di descriverne affetti ed effetti, o i regali fatti ed avuti, anche senza pretesa di registrane importanza e peso emotivo, di... che so, un successo sul lavoro o un evento che sul momento ci pare eccezionale.  
Il primo, infatti, è probabile che abbia importanza solo per noi, e dunque perchè non metterlo sullo  stesso piano della cotoletta di pollo mangiata a pranzo? Il secondo rischia di essere assolutamente soggettivo comunque - la partecipazione a una manifestazione di cui tutti si scorderanno il giorno dopo - o soggettivo nella nostra incapacità di raccontarlo e farlo rivivere. 
Non è la stessa cosa, già: ma perchè? 
C'è qualcosa che appare disumano nella mera catalogazione dei nostri momenti di vita, senza che ne traspaia una partecipazione emotiva: eppure, non è l'unico modo per cercare di definirci, anche nella posterità, con assoluta precisione? Gli altri aggiungeranno quelle note che noi non riusciamo a sapere con certezza finchè siamo in vita ("era amabile generoso, gentile, cordiale, gli piaceva la bella vita..." o il contrario), ma saremo noi ad avere lasciato una traccia definita, una bava argentea ma indelebile di lumaca, dei nostri giorni e delle nostre azioni. 
Definendo tutto e non dicendo niente, ma togliendo alla posterità il potere di evidenziare solo aspetti della nostra vita scelti in modo totalmente arbitrario. 

Ecco, ve l'ho detto che non sapevo dove andavo a parare... ma a questo punto potete cominciare a porvi il problema voi, se vi va.

5 commenti:

Aglaja ha detto...

Il librettino promette bene :-)
Quanto alla domanda che ti/ci poni, se una fredda catalogazione dei nostri momenti di vita, senza alcuna emotività, sia l'unico modo per consegnare un oggettivo ritratto di noi ai posteri, senza l'arbitrarietà del ricordo soggettivo altrui, ebbene, per me no. Non credo, a dirla tutta, al concetto stesso di oggettività. La stessa scelta - per rimanere al personaggio della novella - di marcare con maniacale rigore i fatti nudi e crudi, sia nelle grandi (pur se misconosciute tali) occasioni, che nelle minutaglie quotidiane, è per l'appunto una "scelta", quindi di per se stessa soggettiva e indice - chissà - della volontà di indossare la maschera di una difensiva atarassia (vado per ipotesi, non avendo ancora letto la storia). La scelta appare - a quanto scrivi - anche negli avvenimenti storici "nascosti": in questo c'è volontà, soggettività, magari anche un celato dissenso o un dissidente celarsi. Infine, mi pare che l'arbitrarietà altrui nel definirci, nell'incasellarci in un ricordo, in un affetto, in un desiderio, sia inevitabile a prescindere da qualsivoglia tentativo di mostrarci spogliati dalle nostre mille sfaccettature, molte delle quali ignoriamo o disconosciamo. Quelle, temo, ci seguiranno nell'eternità.
A.

lastreganocciola ha detto...

Da pensarci, al tuo commento. Chè anch'io non credo nella possibilità dell'oggettività, però a volte me ne coglie la necessità. Si faceva, con figlia futura storica, giusto in un intervallo di febbre - il che spiega, , forse - tutto un porsi un dubbio sulle tante possibilli letture della Storia. Ma, d'altro canto, sulla... non-giustezza di non averne una lettura etica. Se tutto è opinabile, cosa è giusto? Se tutto è soggettivo, cosa mi dà dei punti fermi? Discussione vecchia, già, ma il librettino rosa ha saputo rispolverarla.
E poi, forse, la discussione non è neppure questa... :-)

Aglaja ha detto...

Ti chiedi: "Se tutto è opinabile, cosa è giusto? Se tutto è soggettivo, cosa mi dà dei punti fermi?".
A prescindere (cit.) dal fatto che questa mia stessa risposta non è oggettiva e che potrei disconoscerla domani (vedi il seguito del mio ragionamento), ritengo che i punti siano fermi su una linea infinita per definizione (chiamala esistenza, pensiero, essenza.. come ti pare). Siamo noi che percorriamo tale linea, o meglio, vagoliamo incerti, spinti dalla gioia, o dal dolore, o da un amore o una fantasia, un sentimento o un istinto che ci muove e ci induce a cambiare la prospettiva di osservazione, fino a che il punto fermo che avevamo preso come immutabile riferimento è così lontano da essere scomparso dal nostro orizzonte. In effetti è *oggettivamente* rimasto immutabile per quanto concerne la sua posizione in un certo spazio/tempo, ma essendo mutata la nostra, *soggettivamente* (ah, mio amato relativismo...) è cambiato lui! Analogamente, ciò che oggi ci sembra giusto, domani ci apparirà come un tremendo errore, e viceversa. Cambiando la prospettiva cambiano pure le nostre convinzioni/percezioni.
Riassumendo, l'unica cosa di cui sono certa è di non avere certezze ;-)
A.

lastreganocciola ha detto...

Eddài, non vale... ! perchè allora io ti impasto con le coerenze e i valori e non la finiamo più...
nonnò, la mia domanda iniziale era più stupida e più sottile, provo a renderla ancor più piatta: siamo poi così sicuri che il bilancio della nostra vita non sia nelle cose più semplici che facciamo, e non in quelle che ci appaiono meritevoli, importanti, grandiose, degne, eccetera?
Dopotutto, abbiamo così bisogno di obiettivi da raggiungere, e di obiettivi raggiunti? Io non so darmi una risposta: ovvio che forse le cose più semplici non sono "ciò che ho mangiato oggi", ma - tanto per fare un esempio con non condivido - un tempo una donna si accontentava di di aver diritto ad essere definita "buona moglie e buona madre" e un uomo "lavoratore esemplare".
Oggi non è più così, ma siamo sicuri che il tutto sia migliorato?

Aglaja ha detto...

Mah, io penso (guardandomi bene dentro, ripercorrendo in un nanosecondo tutta la mia vita) che l'unica cosa per cui si vive è riuscire ad essere amati e ad amare così profondamente da lasciare traccia di sé. Persino il nostro stesso anelito di realizzarci in una professione, in un'arte, in un ideale, il nostro formarci come persone, cittadini, lavoratori, ci apparirà - alla fine della fiera - insensato, se ci ritroveremo soli, senza lasciare "eredità di affetti". Per questo dico (parlo a me stessa) che il mio bilancio finale dovrà fare i conti con l'amore (e in questa parola inserisco i concetti indispensabili di stima, affetto, complicità, condivisione, rispetto) che avrò saputo meritare e sarò riuscita a trasmettere.
Non ho capito bene come sia riuscita a passare dal relativismo all'amor che move 'l sole e l'altre stelle, ma stasera va così ;-)
A.