giovedì, ottobre 13, 2011

DI INCANTEVOLI APRILI E PESSIMI AUTUNNI

 
Be', sì, oggi è stato un abbastanza buon-giorno, dove abbastanza è già parecchio. Ho chiacchierato piacevolmente con ben due amiche, fatto un giretto nel verde della Rocca, mi sono opportunamente ma sinceramente dimenticata di fare un paio di cose che non avevo voglia di fare e ne ho fatto un altro piccolo paio che avevo forzatamente rimandato. E, per chiudere in bellezza, ho visto  "Un incantevole aprile", un gradevolissima "commedia" - così viene definito il genere di film che piace a me, anche se poi comprende un po' di tutto, compresi film che non vedrei mai - tratta dal libro omonimo di Elizabeth Von Arnim. Ma cominciare una riflessione su libro, autrice, film all'una e mezza di notte non è sano, no.

Allora, invece, rubo la riflessione - su un tema completamente diverso - a un amico di blog: che mi ha colpito non tanto perchè sia particolarmente originale (anche se pare che in questo periodo più le cose sono ovvie e lampanti, meno se ne parla, come se ci fosse un tabù), ma perchè forse a noi, quaggiù nel triangolo industriale, non capita spesso di parlare di fabbriche come di "entità vere", o vive. Lo scrivo ben sapendo che Fincantierei è in lotta, ma addentrarmi renderebbero il tutto troppo per l'ora e le mie forse. Così, nonostante Fincantieri, direi che siamo abituati da tempo all'idea che le fabbriche possano chiudere, e infatti molte hanno già chiuso da anni e anni, ben prima di questa crisi. Quelle poche rimaste o sono troppo grandi o sono troppo piccole. 
Ciò che dice il pezzettino di post che riporto, dalla punta ben più pasciuta del triangolo, mi dà invece un'idea attuale, e triste, di quello che dev'essere la crisi: una specie di moria inarrestabile, di cui si fa il possibile e l'impossibile per far dimenticare che ci sono dei responsabili. Naturalmente, il post dice anche altro, prima e dopo, ma il resto andate a leggerlo al suo posto, come si deve, e qui sotto il pezzo rubato - Giuliano, potevo?

"(...) l’intero gruppo dirigente della Lega Nord che inneggia alla secessione, spiegando che il Sud è una zavorra e che il Nord da solo ha un PIL meraviglioso. Non so quanto durerà questo stato di felicità e benessere: qui intorno a me, tra Como e Varese, in questi ultimi dieci anni ho visto soltanto chiudere le fabbriche, mai riaprirle. Fabbriche che sono andate a produrre in Romania, in Croazia, in Egitto, nella Repubblica Ceca, in Cina (le industrie della seta ormai fanno tutto direttamente in Cina, qui la seta non si lavora quasi più), qui non torneranno mai più, e chissà chi le ha portate all’estero, queste Ditte. Forse qualche evento soprannaturale, forse gli extraterrestri, chissà. (...)"



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