mercoledì, aprile 01, 2009

RIFLESSIONI


Questo è un post che non è la prima volta che vorrei scriverlo. Un post che è già stato pensato in molte altre occasioni, da almeno vent'anni in qua, e per persone diverse - molte delle quali sono svanite dalla mia vita o addirittura dalla memoria, lasciandomi un frammento di "esperienza di vita", chè così viene chiamata.
Questo è un post che a volte ho pensato per me stessa, e a volte mi tocca di ripensarlo perchè tende ad essere soffocato da più bellicosi istinti.
Che sia chiaro, perciò, che non voglio mettere i piedi in nessun piatto - dalle parti della Comune-ty i piatti vengono già abbastanza calpestati senza bisogno dei miei interventi :-) - perchè è un riflessione generale, sul mondo l'universo e tutto quanto.

E' una riflessione sull'equilibrio e sull'equità.

Parecchissimi anni fa, io non ero molto amata nei giochi di squadra: pallavolo o fazzoletto che fosse, ho rischiato più volte le botte. Per fortuna ero agile e in più non mi lagnavo, nel caso, di sfracellarmi pur di fare punto, così le botte non me le hanno mai date. Ma le facce le vedevo, sissì, quando nel bel mezzo della lite furiosa fra le due squadre, io intervenivo calma:" No, il punto è loro, hanno ragione."
Era più forte di me: c'è qualche rigorosissimo antenato
cataro - i catari erano il partito marxista-leninista del cattolicesimo medioevale, una variante più severa del troppo allegro ascetismo  - che mi ha rovinato un po' la vita, e che non poteva astenersi dal riconoscere la ragione là dove mi sembrava che fosse. Neppure tacendo.
Oddio, sarebbe troppo bello se io riuscissi a vedere sempre la ragione dov'è, e perfino se riuscissi sempre a dar ragione a chi mi sembra averla. Nonnò, la storielletta amarcord è solo per dire che non ho esprit de corps: il che non significa che io non prenda le mie cantonate, non mi innamori di idee balzane e non le difenda appassionatamente, non litighi o non prenda posizione. Anzi.
Però credo che questa mia scarsità nel "sentirsi squadra" sia all'origine del cercare quasi sempre la motivazioni dei comportamenti altrui. Che non è una cosa sana da fare, in genere, come insegna il wiz ebraico in cui lo psicanalista si lascia sputacchiare tutti i giorni in ascensore da un suo collega, poichè il problema non è dello sputazzato ma dello sputazzante.
Infatti, una consistente parte dei miei pensieri inutili - tutti ne abbiamo un bel po' - gira intorno a questo grande busillis del capire troppo o capire troppo poco, essendo io perennemente in dubbio se quello che sto facendo può essere configurato come l'uno o l'altro errore. Naturalmente, mai risolvendo il dubbio una volta per tutte: altrimenti poi mi toccherebbe pensare inutilmente chessò, i gossip o le ricette o i commenti sul tempo.

E tutto questo è quindi solo la premessa alle mie riflessioni, giusto per dire in due parole che non voglio insegnar la vita a nessuno, dal momento che  sono convinta di non saperla.

Ma sono anche convinta che il diritto di dar fuori da scemi l'abbiamo tutti. Privatamente o pubblicamente, insultando ferocemente o minacciando il suicidio, parlando o agendo. Eccetera, secondo caratteri e storie. E che, quando succede che qualcuno dia fuori da scemo, l'esprit de corps sia una delle cose che fanno danno.
Poichè, in genere, si vengono a creare due opposti schieramenti e uno dei due è facile che sia formato da una sola persona. O da una sola categoria, o da una sola etnia. Succede, io credo, in tutte le comunità reali o virtuali: in caso di conflitto, c'è qualcuno che incarna il Torto. Magari ce l'ha, magari no.
E se sulle categorie e ancor più sulle etnie è più facile mantenere obiettività e lucidità di giudizio, se non altro in base all'assunto che ogni generalizzazione è perniciosa, e arrivare quindi ad un'opinione riconducibile anche razionalmente ai propri valori, nei conflitti tra singoli è difficile non lasciarsi trascinare.
Succede ai fansoni di uno dei due litiganti, e succede ai fansoni dell'altro, e per ognuna delle due squadre è l'Altro a incarnare il Torto, lui/lei solo/a.

Lasciatemi dire: non è mai così. E' logico, utile e fors'anche giusto che lo pensino, ciascuno dell'altro, i due litiganti. E' comprensibile, utile e fors'anche giusto che ciascuno dei due ricostruisca la storia comune nella propria memoria come se un riflettore illuminasse d'improvviso le zone d'ombra, che diventano i presupposti del Torto. E di qui a seguire: sono tante le cose furbe e sciocche che si fanno quando si è in mezzo a una lite per un posteggio, a un contrasto sul lavoro, alla fine di una storia, alla battaglia per lo spazio sul banco o per il più fico del ballo liscio geriatrico (non ridete, mi han detto che ci sono risse furibonde!).
E quelle cose giuste o sciocche le facciamo tutti, e quasi sempre le raccontiamo agli altri per averne non solo affetto e sostegno, ma anche appoggio etico e razionale. In quel momento siamo convinti di meritarcelo, che se mai è esistita una vittima quella/o sono io, ohimè meschina/o.
Ma, ecco finalmente il punto, io sono convinta che quasi mai si faccia bene a fornire sostegno razionale alle motivazioni che una persona può tirar fuori in una situazione di contrasto. Non abbiamo bisogno, per fornirle affetto e appoggio, di pensarla dalla parte della Ragione. Avrà le sue ragioni, che non necessariamente sono Il Torto dell'altro.

I rapporti interpersonali sono sottili equilibri tra equilibri differenti, come i castelli di carte, che sembrano solidi solo finchè stanno in piedi. E non sempre l'equilibrio che sta in piedi, del resto, è un equo equilibrio: fra colleghi, nelle amicizie e più di tutto nelle storie di coppia, l'equilibrio è spesso dato dall'accettazione di una disequità di base che, vista da fuori, potrebbe ampiamente meritarsi il nome di "iniquità". Ma che diventa davvero "iniqua" per uno dei protagonisti solo quando viene a mancarne l'accettazione.
Fino a quel momento, è percepita solo come "non equa" (e più spesso non viene neppure percepita) e può anche fornire moltissimi spunti ad interessanti contrasti: ma è solo quando il contrasto arriva a livelli "seri" che arriviamo a considerare non tanto la gravità della cosa in sè - qualunque essa sia - quanto l'ingiustizia nei nostri confronti. Dimenticandoci che fino a ieri quella stessa cosa ci sembrava fastidiosa, forse meschina o pesante, ma non così ingiusta come ci appare oggi. Anche perchè, in genere, una disequità viene compensata da un'altra in direzione uguale od opposta, esattamente come le carte che si fronteggiano e al tempo stesso si appoggiano l'una all'altra.
Ma nel momento in cui siamo diretti protagonisti di un contrasto, nel momento dell'urlo o del pianto o dello spintone, non siamo molto lucidi: sarebbe inumano riuscire a conservare, in quei momenti, la coscienza che abbiamo vissuto in un castello di carte.
Il contrasto potrà risolversi, eliminando la disequità o portandola a livelli di accettazione più equi o bilanciati, oppure potrà rivelarsi insanabile, e allora avremo anche più tempo per ragionare con calma e freddezza. E, di solito, per tornare almeno un poco sulle nostre posizioni, per capire che davvero Il Torto non è mai tutto da una parte sola, e se siamo bravi e fortunati anche per capire dove e quale è stata la nostra parte. Senza eccedere nel sentirci eroi o vittime, senza smentire del tutto ciò che abbiamo pensato con rabbia e tristezza, senza coltivare una rabbia e una tristezza ormai inutili.

In tutto ciò, le persone che ci vogliono bene ci faranno sentire il loro affetto e il loro appoggio soprattutto se, io credo, riusciranno a sottrarsi alla tentazione di credere davvero a tutto ciò che diciamo sull'Altro. Chè, in fondo, passate la rabbia e il furore, ci farà piacere essere considerati quelli che per anni non si sono neppure accorti di quanto fosse falso o gobbo o ignorante o superficiale o perverso o cecato o leso quell'amico/a, fidanzato/a, collega, amante ? Io credo di no, credo che il ruolo della vittima ci faccia sentire meglio per un po', ma poi sia una gabbia atroce. Così come credo che, in alternativa, dover smentire se stessi sia pesante.
Allora io penso che la cosa migliore che possa fare un amico sia quella di non credere del tutto a ciò che diciamo e pensiamo quando il cervello è pieno di rumore e di vento, mantenendo anche per noi  una piccola riserva mentale che forse ci aiuta anche a spegnere un po' la rabbia invece di alimentare il fuoco. 
Credo che, da amici (o da colleghi/fidanzati/amanti) , si possa e si debba mantenersi lontani da quella forma di spirito di squadra che porta ad assolutizzare cose, parole, condanne e accadimenti, magari convincendosi di essere tutti sulla stessa malefica barca: perchè stare lontani dal dramma e vicini alle persone, cercando almeno nella propria mente l'equità, mi pare il miglior modo di far sì che chi è in mezzo ad un contrasto possa recuperare più in fretta il proprio equilibrio.


3 commenti:

e. ha detto...

Ma è perchè sono un'egocentrica che mi sento chiamata un pochino in causa da questo post??? :-)

Amici, io vi dico questa cosa qui, che sono daccordo su tutta la linea, e che è già la seconda volta di seguito che sono daccordo con la Strega e che, forse, dobbiamo cominciare a preoccuparci :-)
E' vero che giudicare e cercar di capire e fare le squadre non è utile per nessuno, tantomeno per me.
E se scrivo non è per darvi un quadro della situazione, ma perchè mi fa stare meglio. Mi pettino un po' le idee scrivendo, che c'ho in testa un cespo di lattuga. Me le metto a posto.
Poi è vero che ci sono troppe tante cose variabili in una storia che pensarla da fuori è impossibile e, tra l'altro, a che serve?
Quindi, se per caso vi viene in mente di far squadra con me, poichè ci conosciamo da trent'anni e siamo amici del cuore, prescindete da quello che fa e pensa e è il mio ecs. Statemi vicini come ieri sera, aiutatemi a cenare, a respirare un po', finchè non sono dinuovo capace di farlo da sola.
Io non avevo dubbi che voi lo faceste, in realtà. E forse questo post non è per me e neanche per voi, forse.
Ma però è sempre utile ricordarselo.

lastreganocciola ha detto...

Forse :-)))))

kiri ha detto...

Occhei, il mio commento è assai, assai più vago. Volevo solo dire che in danese (la mia seconda lingua, o la prima, dipende dai giorni e dai luoghi) si dice che un amico (o un partner degno di questo nome) ideale è quello che sa "contenerti", nel senso che è in grado di ascoltarti, capirti ed eventualmente contraddirti senza farti sentire sbagliato. Significa che deve avere le spalle larghe, e avere voglia di starti vicino. Perché tutti abbiamo i nostri casini, i nostri sfoghi e le nostre giornate no. Ed è importante sentirsi capiti.
Chi ti sta di fronte farà anche bene a tenere un po' le distanze, ma deve comunque accoglierti, se ne hai bisogno. Poi si possono fare i commenti pertinenti e cercare di "lisciare" un po' la situazione, di sbrogliare una matassa confusa come il cespo di lattuga di e., provare un po' a guidare i pensieri, magari (come si cerca pedagogicamente di fare con un figliolo infuriato), ma principalmente bisogna essere lì.