Come i lettori più acuti non avranno mancato di notare, da queste parti si è fatta pausa. Fra i motivi, il diktat medico che vuol trasformare il gufo in allodola: e io - cosa non si fa per stare meglio - ci sto provando. Questo post, udite udite, è scritto in quello che tecnicamente è ancora mattino: non sono al mio meglio, a quest'ora, ma forse mi ci dovrò abituare e voi quattro che mi leggete, pure.
Ma il silenzio di questo periodo è stata anche una reazione al terremoto in Abruzzo: anche se ovviamente non importa a nessuno e non cambia nulla, a me pare brutto parlare di robe normali e quotidiane di fronte alle tragedie.
La vita continua, certo, ma insomma mi coglie un po' di pudore nel parlare di fatti miei; e sulla tragedia, che si può dire? Trasformata, mi dicono quei che la tivvù la vedono, in gigantesco spottone per il governo e destinata all'oblio come tutte le altre che l'hanno preceduta, è incommentabile senza cadere nella retorica e nell'ovvio - o almeno in quello che è ovvio per i miei lettori, come ad esempio l'assurdità criminale del "Piano casa" che il governo voleva varare e che si spera possa essere rallentato dall'evidenza della sua pericolosità.
Avrei taciuto, quindi, se non avessi trovato stamattina questo commento (chi sei, Stilobate? il tuo blog non è visibile, ma la curiosità è tanta: ci siamo conosciuti lassù, o c'eravamo in momenti diversi?) e non mi fossi resa conto che anch'io ci sto pensando da giorni, alla Brigata Salvatore Toscano e a quella solidarietà andata avanti mesi e mesi.
Il terremoto in Friuli , nella notte del 6 maggio 1976, fece il triplo delle vittime di quello odierno, radendo al suolo interi paesi. Ciò che non era crollato a maggio e nelle successive scosse di assestamento, tante e forti, andò giù l'11 settembre dello stesso anno, in ulteriori scosse che danneggiarono ciò che era già stato ricostruito e provocarono altri feriti.
Io andai a lavorare nella Brigata, attendata su un campicello appena fuori dai confini di Bordano, uno dei paesi completamente distrutti, verso la fine dell'estate: ma, come dice l'ignoto commentatore, dopo tanto tempo ci si smemora.
Forse ci andai anche due volte, non so più, e quel che ricordo sono le impressioni: la parete azzurra al secondo piano di una casa, con la cassettiera appoggiata, appena un po' storta. Tutto il resto non c'è più, solo quella parete azzurra che pare assurdamente in alto in mezzo a un paesaggio appiattito. O la coppia di emigranti, tornata per ricostruire la casa di paese: parlano con noi in un italiano pieno di francese e di dialetto, la loro vita vera ormai è "lavìa", un vocabolo che ripetono continuamente e che rende in pieno il senso della lontananza, di un mondo diverso. Ci offrono un caffè belga prima di farci salire sul tetto a sistemare i coppi. Fra noi c'è il ragazzo napoletano che diventerà poi il mio amicodelcuore: lui non riesce a bere il caffè lungo e chiaro e lo passa di nascosto a Lucifero, che viene dalle parti di Varese e che va giù duro di grappa: lui ingolla il caffè e sale, più o meno brillo come sempre, sul tetto. Il terremoto ogni tanto si sente di nuovo, ma non fa tanta paura: sono scosse di assestamento, si dice.
Sul senso di tragedia - la prima cosa che vediamo è la sterminata distesa di calcinacci che è Gemona, sullo sfondo l'ospedale pericolante e crollato in gran parte - prevale quello della fatica: la contadina che lava le lenzuola alla fontana torcendole con un antico movimento del polso, i viaggi su e giù dalla costa di chi ha la famiglia nelle case dei villeggianti, le damigiane recuperate nelle cantine e subito versate nei tombini chè il vino è diventato di colpo aceto con " una madre grande così sul fondo". Tutte le persone con cui parliamo ci raccontano del "gran caldo" che ha preceduto le scosse, degli animali agitati, e poco altro.
Il terremoto è tragedia rapidissima, che c'è da raccontare? Il silenzio stesso dei luoghi e della gente, quello rimane nella memoria come un non-più-luogo, un nowhere in cui la polvere smorza ogni suono, in cui i nostri colpi inesperti di martello o di piccone risuonano con forza. Sentiamo la paura: non il terrore che c'è stato e che c'è ancora negli occhi quando solo accennano a "quella notte", ma anche la paura che i paesi muoiano. Si teme che l'ospitalità di Lignano si riveli una trappola, una specie di deportazione che nessuno vuole: i paesi, invece, devono essere ricostruiti e sono i sindaci a prendere in mano la cosa. Non so perchè e come la Brigata andò a ricostruire Bordano, nè so se in paese c'erano altri volontari oltre a noi, che saremo forse una trentina.Veniamo da tutta Italia: fra noi c'è chi è già anoressico, chi si è preso un'ameba in Laos, chi bestemmia in alamanno e in goto, chi sa come si rubano le macchine, chi - un gruppo di bresciani - si alza prestissimo, "compagni, in già mo' le het!", sono già le sette.
Mi chiedo per la prima volta oggi se qualcuno si ricorda di noi, ragazzi comunisti a cui la solidarietà sembrava ovvia quando ancora la solidarietà non era nè spettacolo nè "immagine". Non lo era a tal punto che forse nessuno ha fotografie di quel periodo, del nostro camping improvvisato e dei lavori a cui cercavamo di dare un contributo. Del tutti ignari, come lo si è solo a vent'anni, del rischio ancora presente e perfino delle dimensioni reali, umane, della tragedia che avevamo intorno, come a vent'anni succede. E neppure la crepa che si allarga nell'asfalto facendo sbandare la macchina su cui sto tornando a casa riesce a darmi il senso della cosa: lo faranno solo questi ed altri ricordi, rimasti appiccicati alla mia mente pur nella loro minuzia. Così precisi nei particolari e così vaghi nel contesto da sembrare non narrabili, oggi che i fatti vivono soprattutto in virtù dell'enfasi mediatica: ed è strano accorgersi, nel confronto con l'oggi, che un pezzo del proprio passato si è fatto Storia e che noi ci siamo passati in mezzo con tanta noncuranza da conservarne quasi solo memorie un po' sciocche. L'anguria accuratamente scavata di nascosto dal cuoco della Brigata o la scalcinata macchina in dotazione che partiva con la chiavetta da scatola di sardine sono solo due fra questi ricordi da nulla, e taccio sugli altri chè potrebbero essere uguali in qualsiasi campeggio di ragazzi: però rimane il fatto che noi, allora, eravamo là. E, come ho scritto nel post a cui Stilobate ha lasciato il commento, è bello sapere che nel frattempo il paese allora distrutto è tornato ad essere un bel posto.
Oggi ci sono altre vittime, altri volontari: non so se allo Stilobate o ad altri della mia stessa età fa lo stesso effetto, ma a volte prende un grande sconforto nel vedere che, di generazione in generazione, le cose si presentano uguali se non peggiori. Ma nello stesso tempo è bello sapere che, come Bordano, anche noi che non facciamo della solidarietà un'occasione d'oro o uno sporco mestiere ci siamo, di generazione in generazione, ricostruiti. E riusciamo anche oggi ad esistere e resistere.
Sul senso di tragedia - la prima cosa che vediamo è la sterminata distesa di calcinacci che è Gemona, sullo sfondo l'ospedale pericolante e crollato in gran parte - prevale quello della fatica: la contadina che lava le lenzuola alla fontana torcendole con un antico movimento del polso, i viaggi su e giù dalla costa di chi ha la famiglia nelle case dei villeggianti, le damigiane recuperate nelle cantine e subito versate nei tombini chè il vino è diventato di colpo aceto con " una madre grande così sul fondo". Tutte le persone con cui parliamo ci raccontano del "gran caldo" che ha preceduto le scosse, degli animali agitati, e poco altro.
Il terremoto è tragedia rapidissima, che c'è da raccontare? Il silenzio stesso dei luoghi e della gente, quello rimane nella memoria come un non-più-luogo, un nowhere in cui la polvere smorza ogni suono, in cui i nostri colpi inesperti di martello o di piccone risuonano con forza. Sentiamo la paura: non il terrore che c'è stato e che c'è ancora negli occhi quando solo accennano a "quella notte", ma anche la paura che i paesi muoiano. Si teme che l'ospitalità di Lignano si riveli una trappola, una specie di deportazione che nessuno vuole: i paesi, invece, devono essere ricostruiti e sono i sindaci a prendere in mano la cosa. Non so perchè e come la Brigata andò a ricostruire Bordano, nè so se in paese c'erano altri volontari oltre a noi, che saremo forse una trentina.Veniamo da tutta Italia: fra noi c'è chi è già anoressico, chi si è preso un'ameba in Laos, chi bestemmia in alamanno e in goto, chi sa come si rubano le macchine, chi - un gruppo di bresciani - si alza prestissimo, "compagni, in già mo' le het!", sono già le sette.
Mi chiedo per la prima volta oggi se qualcuno si ricorda di noi, ragazzi comunisti a cui la solidarietà sembrava ovvia quando ancora la solidarietà non era nè spettacolo nè "immagine". Non lo era a tal punto che forse nessuno ha fotografie di quel periodo, del nostro camping improvvisato e dei lavori a cui cercavamo di dare un contributo. Del tutti ignari, come lo si è solo a vent'anni, del rischio ancora presente e perfino delle dimensioni reali, umane, della tragedia che avevamo intorno, come a vent'anni succede. E neppure la crepa che si allarga nell'asfalto facendo sbandare la macchina su cui sto tornando a casa riesce a darmi il senso della cosa: lo faranno solo questi ed altri ricordi, rimasti appiccicati alla mia mente pur nella loro minuzia. Così precisi nei particolari e così vaghi nel contesto da sembrare non narrabili, oggi che i fatti vivono soprattutto in virtù dell'enfasi mediatica: ed è strano accorgersi, nel confronto con l'oggi, che un pezzo del proprio passato si è fatto Storia e che noi ci siamo passati in mezzo con tanta noncuranza da conservarne quasi solo memorie un po' sciocche. L'anguria accuratamente scavata di nascosto dal cuoco della Brigata o la scalcinata macchina in dotazione che partiva con la chiavetta da scatola di sardine sono solo due fra questi ricordi da nulla, e taccio sugli altri chè potrebbero essere uguali in qualsiasi campeggio di ragazzi: però rimane il fatto che noi, allora, eravamo là. E, come ho scritto nel post a cui Stilobate ha lasciato il commento, è bello sapere che nel frattempo il paese allora distrutto è tornato ad essere un bel posto.
Oggi ci sono altre vittime, altri volontari: non so se allo Stilobate o ad altri della mia stessa età fa lo stesso effetto, ma a volte prende un grande sconforto nel vedere che, di generazione in generazione, le cose si presentano uguali se non peggiori. Ma nello stesso tempo è bello sapere che, come Bordano, anche noi che non facciamo della solidarietà un'occasione d'oro o uno sporco mestiere ci siamo, di generazione in generazione, ricostruiti. E riusciamo anche oggi ad esistere e resistere.
2 commenti:
Gidibì dixit:
Il vino diventato di colpo aceto, le lenzuola lavate col torcimento del polso, quanti particolari bellissimi che emergono, e che non hai mai raccontato, quando si smuove il terreno e le crepe lasciano venire a galla le cose. E seiu sicura di scrivere così male, la mattina?= A me mica mi pare
Cazzarola, avevo aperto i commenti per dire la stessa cosa dello gnomo.
La mattina ti dona.
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