Datati 1978, questi pensieri espressi dalla penna corrosiva (ancora oggi, figuriamoci allora...) di Natalia Aspesi sono una goduria silenziosa, da leggersi ben ricantucciate sotto le coperte quando "Lui" si è addormentato o è scivolato via, in altri casi, per tornare dalla mamma, dalla nonna, dalla moglie. Per ridere sotto i baffi che siamo tornate a eliminare accuratamente insieme a tutti quei peli che loro, i maschi, possono tenere ma noi no, chè ormai non se ne salva più uno e il mercato dell'estetica ha da rimproverarci solo il non essere tutte quante kingkonghe, perchè sai che guadagni?
Anche se, è ovvio, c'è ben poco da ridere, salvo il pensiero - per ora postumo, ma non si sa mai - di come, per una breve stagione, li abbiamo straccionati: "E' tale poi la sua ostinazione - dice ancora Natalia, che altrove parla senza remore anche di "imbecillità maschile" - la sua incapacità a capire, la sua permalosità quando l'essere maschio gli viene rinfacciato come un problema, e non apprezzato come il normale stato di chi è meglio, che è impossibile capirsi."
"Lui visto da lei " si intitola il libretto "scritto di getto e con mio gran divertimento" dice la Natalia nella brevissima prefazione intitolata "Trent'anni passati (quasi) invano". Ma su questo titolo dobbiamo darle un po' torto, chè almeno un cambiamento lo si nota subito: oggi, se appena una volesse dir la sua su un tema come la dignità delle donne (di gran moda) o la difesa della legge sull'aborto (nooo, out, out!) è d'obbligo faccia precedere le sue parole da "non sono femminista, ma...". E' una frase trasversale, si usa moltissimo anche nella sinistra: non fosse mai che gli uomini ci si spaventano di nuovo, neh?
Ma poi ci sono i gruppetti sparuti, le irriducibili che a volte riescono a sintetizzare in una frase la realtà, come questa fotografata nello striscione esposto ieri a Roma da un gruppetto di appunto femministe: e mai è stata così atrocemente vera come oggi.
Buon otto marzo, ragazze.
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