lunedì, maggio 07, 2007

NOSTALGIA CANAGLIA 2


Essì, lo so che già tanto ho scritto: ma una cosa è la Storia e altra cosa sono gli individui, e l'amicae. ne fa un pout-pourri da cui non esce bene nessuno dei due. E se pensate che questo dibattito interessi solo me e lei, mi scuso e saltatemi pure.
Che, tanto per cominciare, mi vien da pensare che l'amicae. non abbia incontrato tanta gente bella o che, come spesso accade nei primi trent'anni di vita, non abbia saputo cogliere quello che c'è ancora di bello in persone che, come lei, ancora lottano. Silenziosamente, senza vantarsi troppo e senza menarlo su com'erano belli quegli anni. Ah, il casino, che meraviglia. Meraviglia un cazzo. Andavi in giro tranquillo per fatti tuoi e ti trovavi inseguito dai fasci (e non volevano certo salutarti, e neanche solo spaventarti), riunione fino all'una e alle sette davanti a scuola a dare i volantini, la scuola a puttane, lunghe discussioni politiche anche con i fidanzati - dentro un cabina del telefono, che allora c'erano, se pioveva, perchè nei locali andavano solo i borghesi - "una birretta" era espressione ignota chè ignota era, praticamente, la birra, chi ha imparato a ballare l'ha fatto negli anni '80 o ancora dopo. E potrei citare mille altri aspetti negativi se non temessi di apparire come chi magnifica i propri sacrifici e la propria virtù. No, non era nè sacrificio nè virtù: anzi, spesso eravamo anche proprio cretinetti. E incoscienti, e ignari del male che potevamo fare e che a volte abbiamo fatto. Io credo che chi ha vissuto davvero tutto ciò non possa avere quella nostalgia che ora si legge sui post: quella appartiene a chi le cose le ha viste di striscio o, al contrario, a chi ne ha avuto la vita in qualche modo bloccata. E anche questi ci sono, e a me dispiace per loro.
Però non credo sia giusto farne un discorso generazionale, nè da una parte nè dall'altra: si può forse fare una colpa ai diciottenni di allora se vi fu la Restaurazione dopo la Rivoluzione Francese e il periodo napoleonico? No, a distanza di tempo si colgono le motivazioni storiche e politiche di ciò che avvenne, e ciò che non avvenne non si può imputare a nessuno. Neanche a chi aveva fatto la Rivoluzione, o aveva sostenuto Napoleone: se gli esseri umani fossero in grado di difendere le conquiste di civilità e di progresso sociale contro ogni attacco, sempre, ormai saremmo una società perfetta. Invece, gli ottimisti dicono che un po' si va avanti un po' si torna indietro senza mai perdere del tutto ciò che si è conquistato, e i pessimisti dicono che non cambierà mai nulla: ma, in un discorso storico generale, nessuno si sogna di dare la colpa a una generazione o a quella precedente. Non basta aver voglia di fare la rivoluzione per riuscire a farla.
E il non riuscire, o il non essere riusciti, a fare la rivoluzione non può essere un motivo per dividere in base all'età le nostre già piccole forze. Io riconosco all'amicae. i suoi tentativi di fare la "rivoluzione più silenziosa", e l'amicae. mi piace e la stimo anche per questo, ma vedo che lo stesso tentativo lo stanno facendo molti cinquantenni e sessantenni, se non oltre. E che spesso viene facile capire come i ragazzi non si sentano attratti neanche dalla politica migliore - emergency o legambiente, i circoli culturali o le organizzazioni più spurie - prima di tutto perchè sono piene di gente, be', diciamo "nata prima" che è più carino. Non ci sono tanti quarantenni, a onor del vero, chè il '77, appunto, cose salde ne ha lasciate pochine: ma anche di loro qualcuno c'è.
Quello che l'amicae.rimprovera alla mia generazione, se ho ben capito, è di prendersi tutto lo spazio, di non aver saputo insegnare e trasmettere. E non ha torto: anch'io mi sono sempre stupita di come in manìf la stessa gente che ci viene da trent'anni non ci sia mai con i figli. Ci sono compagni onnipresenti a cui non oso chiedere dei figli, perchè a furia di non vederli mai non sono più neanche sicura che a un certo punto li abbiano avuti. Ma io, o noi, che in manìf con le figlie ci andiamo - e un tempo erano le figlie che venivano con noi - ci siamo sentiti spesso rimproverare l'invadenza: è naturale, a nessuno fa piacere sentirsi eroe in compagnia di mamma e papà. Anche se poi credo che ci siamo anche divertiti, tutti insieme, più di una volta. E allora forse non è facile applicarlo, ma un vecchio principio della Sinistra "vera" voleva che i compagni fossero prima di tutto compagni: io i limoni non li dò solo alle mie figlie, lo do a chiunque me lo chieda, finchè ce n'è. E se sono lì, non mi semnto la mamma di nessuno (almeno da quando nessuno ha più dodici anni), mi sento solo una compagna che, con più esperienza, sente di più la propria responsabilità, anche nei confronti degli altri. Di tutti gli altri. E se a volte taccio è perchè dà fastidio a me per prima sembrare saccente. E a volte sono saccente lo stesso. E a volte la mia esperienza serve (non mi ricordavo più, amicae., di avertelo detto io) e a volte, per fortuna, no. E quando non serve mi piglio la mia botta da paranoica, chè da sempre i più giovani mettono in ridicolo i timori dei meno giovani, anche fra compagni. E servono tutt'e due, i timori e il coraggio, l'esperienza e l'incoscienza: è quando ci sono tutt' e due, quando operano insieme, senza barriere nè da una parte nè dall'altra, che le cose cominciano a funzionare meglio. La serata al Mazda era un bell'esempio di ciò: nel gruppo Ansaldo che l'ha organizzata c'era gente di tutte le età adulte, e si vedeva.

E' vero, molti di noi non hanno saputo trasmettere ai figli le cose che pure loro stessi continuano ostinatamente a perseguire: io non so tanto immaginare il perchè, oppure ne so immaginare troppi. E potrei citare qualche difficoltà non da poco, nel decidere di crescere i figli "dalla parte dei perdenti": chè finchè ci stai tu è scelta tua, ma a loro magari scegli di passare la parte più innocua, chè abbiano qualche chance anche nel malefico mondo reale. Chè a crescere "diversi"o almeno controcorrente ci vuole fatica, e coraggio, e tostaggine: e alla maggior parte dei genitori non sembra giusto chiedere così tanto a un figlio. O forse non sa come fare in pratica: qual è il confine, a cosa dir di sì e a cosa di no... eccetera eccetera. E poi l'ansia, che da poco non è: chè, anche a parte i timori per l'incolumità fisica, chi può dire se quel figlio ha davvero la capacità di essere una pecora nera senza patirci? Non si può insegnare tutto, ci sono cose che non si insegnano, cose che sfuggono al controllo: e quando un figlio comincia ad oscillare di qua e di là senza trovare dimensione nè felicità, chè sogna grandi cose che non possono arrivare, non ora almeno, è difficile non chiedersi "cosa ho sbagliato?". Allora, forse per molti di noi è stato più facile, o a volte inevitabile, lasciarsi andare al ri-flusso dei tempi, almeno sui figli. E non è una giustificazione, ma neppure può essere una condanna.

Allora, a me non piace quando l'amicae. dice "la rivoluzione è nostra": di chi, nostra? Io sono d'accordissimo sulla valutazione che molte più cose stiano cambiando di quanto non appaia, sono d'accordo che ci siano modi e sentire che non emergono ancora ma ci sono, sono d'accordo che invidiare i francesi è una gran cazzata - e se poi il risultato delle banlieus è Sarkò... grazie, anche no - ma non sono d'accordo sul rivendicarne la proprietà e la gestione, su quel filo di sottile sufficienza che c'è nei confronti delle cose positive se sono fatte da cinquantenni, sul razzismo generazionale.

Credo che chi si riconosce, poco o tanto e per quello che vuol dire oggi, nella definizione di "compagno" debba comunque vedere nell'altro, nel vicino di corteo o nell'organizzatore di serate a favore del software libero, prima di tutto un compagno. Magari noioso - e credete che i partigiani non lo fossero? o quelli che avevano fatto il 30 giugno? - magari timoroso, magari fissato, magari stanco, magari provato dai suoi stessi limiti e dalle sue stesse speranze ancora una volta lontane: ma che ha ancora voglia di lottare, di provare, di fare. E credo che debba essere accolto da chi ha più forza e più speranze con la stessa gioia e voglia di capire con cui io guardo in manifestazione le due compagne vicino a me, che a volte sono anche, in più, le mie figlie. Ma che altre volte delle mie figlie hanno semplicemente l'età, e di questo sono contenta, e non per questo le sento lontane da me. Anche se poi la sera loro avranno ancora la voglia e le forze di andare a un concerto e io, magari, no.
La rivoluzione, amicae., è per definizione "di massa", di popolo, di tanti: il gap generazionale, almeno quando si parla di rivoluzione, lasciamolo agli americani che l'hanno inventato.

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