martedì, giugno 29, 2010

I DAINI SULLA CIMA DEL MONDO


Non che ci sia tanto bisogno di andare in montagna per camminare, se si abita qui.
Purtroppo, si tende a dimenticare questo dato, epperciò eccoci partire baldanzosi per la
Villa Duchessa di Galliera, (in questa città i parchi pubblici si chiamano Ville, chè quello erano) per vedere i daini. L'ultima volta che ci andammo... be', potevano essere più o meno quindici anni fa, con almeno una figlia ancora piccola.
Si arriva, come sempre nei nostri orari non proprio da allodole, all'una sotto il sole a picco e la maccaia impietosa: ma, d'altronde, non si poteva evitare di fermarsi a fare scorta di focaccia da Marinetta - dicono che Agnelli mandasse lì il suo autista, quando aveva voglia di focaccia.
E quindi superiamo i giardini all'italiana che da soli hanno la dimensione di un qualsiasi giardino pubblico, saliamo la scalinata d'onore, passiamo sotto un archetto in pietra e cominciamo ad andare su. Su. Su.
Un grande spiazzo con panchine in pietra, ci fermiamo? Mannò, continuiamo ancora un po'. Su. Su. Un viottolo laterale, sembra quasi una scorciatoia fra i tornanti, dài andiamo di qui. La direzione è giusta, va in su. Noi anche. Fa un bel fresco, ora, c'è aria. Imprevisto, ecco il mare laggiù. Siamo in alto, ora, e invece del verde incolto che abbiamo attraversato finora sul sentiero che si confonde con il sottobosco, ci troviamo in mezzo agli ulivi e a terrazze curate e coltivate. Siamo sempre dentro la Villa, per forza, ma abbiamo sbagliato strada. Siamo finiti troppo in su: ecco un pezzo di rete del grande recinto dei daini, proprio sotto di noi.
Ancora qualche giro vizioso ed eccoci: i daini saranno una cinquantina e riescono ad essere quasi mimetici in mezzo al niente dell'erba gialla, ma appena ci vedono il capobranco corre verso di noi. E' un grande maschio con un palco di corna notevole, e dietro di lui arriva qualche femmina e buon numero di piccoli. Si degnano di prendere un po' di erba attraverso la rete e poi, di colpo, come erano arrivati, si girano e se ne vanno tutti dall'altra parte del prato.
Li seguiamo e ci fermiamo a mangiare su una panchina che sta per essere inglobata dal verde, così possiamo continuare a guardarli.
Una femmina rimane seduta vicino a noi, al di là della rete, e solo quando noi ci alziamo e ce ne andiamo tutti insieme, si alza anche lei e ci precede correndo. Gli altri daini sono più avanti di noi, nel prato lungo la recinzione, ma con l'arrivo dela femmina si scostano dalla rete. Caso o vigilanza?
Niente come la Natura, perfino quando è quasi addomesticata, riesce a farti sentire ignorante, neh?

lunedì, giugno 28, 2010

ESSERCI


Due belle giornate: e sarebbe un dato banale se le giornate non fossero state "giornate di sinistra", che ormai banale non è per nulla.
La celebrazione della
rivolta del 30 giugno nel circolo Arci omonimo, con tanto di distribuzione di attestati "Io c'ero" , è stata intelligente e commovente, ma anche "da ciocchi", come si dice qui: le testimonianze raccolte in un video e soprattutto quelle estemporanee in vivolive non hanno mancato di farci ghignare, anche se qualche compagno più anziano, una volta tornato al suo posto dopo aver ricevuto l'attestato, si asciugava di nascosto le lacrime.
Valeva la pena, e lo dico senza paura di sembrare patetica, di arrivare fin lassù, sulla terrazza dell'Arci 30 giugno da cui si vede tutto il mare e un bel pezzo della città: chè quando la Storia è viva, e ride e piange con noi, ci sentiamo confermati nelle nostre scelte e stiamo già meglio.
Senza contare che i vecchi compagni sanno scegliere anche il vino, una volta conclusa la parte ufficiale.

La sera c'era la nave, e la gente, dello
Sbarco, in concerto al Porto Antico: lungo la strada dal circolo Arci a lì, ci eravamo infatti imbattuti in quella che sembrava una visione dal passato: un mini-corteo sui marciapiedi, con tamburelli e bandiere rosse. Andavano incontro alla nave, così abbiamo strombazzato e salutato: stando alle foto di republikit al terminal traghetti la gente era ben di più di quella che avevamo visto sulla strada (sì, c'era anche la Marta, e invece no, il beppegrillo era lì solo per andare in vacanza, ci ha tenuto a precisare) in un riecheggiare quello che avevano raccontato gli ex- portuali: "Quando abbiamo cominciato la manifestazione, eravamo un po' preoccupati perchè eravamo pochi. Poi, man mano, siamo diventati sempre di più." Be', non proprio uguale all'oggi: loro quando erano pochi erano solo 30mila, e poi sono diventati 100mila, in quel 30 giugno di cinquant'anni fa.
Noi, ecco, forse un migliaio al porto antico eravamo, chissà. Ma anche se invece eravamo duecento, ci siamo divertiti: che nelle cose di sinistra più informali, più nuove, più impreviste si respira, secondo me, un'aria particolare che non è solo la voglia di scatenarsi nella taranta.
E' la gioia di scoprirsi ancora creativi, e zucconi, e fin geniali - be', non è grande quest'idea stessa della nave? - e disposti a
sbattersi: che nelle piazze tematiche di domenica le cose erano tante, alcune bellissime come i giochi degli Ingegneri del Buon Sollazzo . E anche le cose più "normali", come i cibi biologici o gli opuscoli della Lipu ( e finalmente ne saprò di più sulle upupe), i discorsi dal palco, le vignette contro il governo dentro il palazzo del Comune, i bambini fricchettini, gli stand piccoli piccoli pur di esserci, la gente che trascinava valigie e strumenti e bambini continuando a giocare per strada, tutto aveva quest'aria di "momento salvato", di attimo ritrovato, da fare una linguaccia a Proust.
Ci siamo ancora, dài. E magari, chissà, magari ci riusciamo anche a reagire tutti insieme, prima o poi.

giovedì, giugno 24, 2010

COSA VEDO DALLA MIA FINESTRA


Io non li ho visti, ma mi dicono che i gabbianini hanno cominciato a volare. Eravamo un po' preoccupati per il fradèl pirlotta che non si era più visto, invece tutti e due hanno preso confidenza con il volo , con qualche difficoltà solo nell'atterraggio. Alla festa della Rocca, peraltro, ho scoperto che tutta la parte palazzo che dà a nord fa il tifo per i gabbianini, anno dopo anno: "Una volta hanno provato a togliere il nido con le uova, ed è stato straziante - mi hanno raccontato - i gabbiani si sono lamentati, urlando, per quattro giorni. Non ci ha provato più nessuno, non si riusciva a reggere tanta pena." E, del resto, Larò raccontava della disperazione di un calabrone che aveva fatto il nido in uno schedario da ufficio: quando se ne sono accroti, lo schedario è stato buttato via, ma il calbrone ha provato tutto il giorno a entrare in tutti gli altri schedari, cercando il suo nido. Vabbe' non antropoformizzare gli animali, ma come si fa? E, a proposito di animali, raccomando, forse di nuovo, il bellissimo blog di Cristina Nadotti: leggete questo, pies. Intanto, le prime pesche stanno maturando nell'orto di Heathcliff che è esploso di verde come un geyser vegetale, e le upupe sono salite a tre, e poi a quattro. Japane nel volo come nella grafica, le upupe - saranno quattro piccoli o due piccoli e due genitori? - fanno solo tragitti finalizzati: dall'ulivo al prato, dal cipresso alla magnolia e poi, via, a casa, minga stare in giro a perder tempo, neh? L'ultimo esemplare ornitologico avvistato è un quetzal: be', in verità è il KGgB che lo chiama così ma è solo un pappagallo, però enorme e con la coda da quetzal. E, a proposito di mutazioni, dal tronco del nostro kumquat - sopravvissuto al trasloco con onore - è spuntato un ramo che ha spine (!) e foglie rotonde invece che ovali: la cosa ci inquieta, cosa sarà successo? Siamo soli nell'Universo?

domenica, giugno 20, 2010

SLOW BOOK


Ecco, vi dico subito la verità: ho letto un libro di più di mille pagine. millecentotrentasette, per la precisione.
Ciò è grave in questo Paese, ma tocca dirlo subito facendo coming out, per parlare de "Le ultime cronache del Barset" di Anthony Trollope, classe 1815.
Trollope non è, tuttora, considerato un grandissimo scrittore, anche se la costanza di Sellerio nel ripubblicare tutte le sue ponderose opere mi fa pensare di non essere l'unica lettrice, ma è senza dubbio un ottimo e puntiglioso cronista della società in cui viveva. Su Wiki trovate il giudizio che ne diede Henry James
e che mi permette di risparmiarvi il mio, passando al vero motivo per cui parlo di Trollope, e cioè Josiah Crawley.

Crawley è un "curato perpetuo" e tutta la vicenda si svolge fra gli incomprensibili (per noi) scenari della chiesa anglicana, con cariche ci suonano misteriose e altrettanto oscure distinzioni: ma possiamo fare a meno di capire, il punto importante è che il signor Crawley è accusato del furto di un assegno di venti sterline, che avrebbe girato a un creditore senza conoscenrne la provenienza. Tutto il romanzo, con l'eccezione forse di un centinaio di pagine sparse in cui davvero succede qualcosa, è di fatto gossip allo stato puro: nell'impossibilità, infatti, di poter stabilire in tempi brevi se Crawley è davvero colpevole nonostante l'assoluta integrità morale per la quale è noto, nella cittadina (immaginaria) di cui è curato e in quelle vicine si scatenano ridde di ipotesi e di prese di posizione, mentre conseguenze impreviste sembrano profilarsi a seconda del prevalere di un'opinione o di quella opposta.
Fin qui, di eccezionale c'è l'incredibile capacità di Trollope di non annoiare il lettore: ogni osservazione è talmente realistica, giustificata, plausibile che perfino quando un intero capitolo si snoda sulle esitazioni di uno qualsiasi dei personaggi, si va avanti a leggere, oscillando insieme alle sue contraddizioni.

Ma quello che è davvero interessante è il ritratto di Crawley come man mano si delinea: oggi lo si definirebbe un ciclotimico, o forse un depresso cronico con rari momenti di vittoria sulla propria "malattia" . Nell'800 era solo una persona strana e tormentata, che tutti tenevano a distanza eppure stimavano proprio per il suo bizzarro carattere: Trollope riesce a dimostrarci, pagina dopo pagina e senza tuttavia mai esprimere un giudizio, come la malattia di Crawley sia soprattutto uno smodato orgoglio travestito da modestia e da volontà di non pesare sugli altri.
Crawley, che ha due figlie e una moglie, è infatti afflitto da una povertà che sente indegna di lui, come provocata da ingiustizia palese pur senza che nessuno ne sia responsabile. Ma che lui, erudito e pio e scrupoloso fino all'eccesso, debba mancare di quei pochi beni materiali che gli renderebbero più agevole il lavoro, mentre il suo vecchio amico può sfoggiare libri rilegati in oro - libri che non leggerà mai, è questo il peggio - ecco, a Crawley proprio non va giù. E non tanto per sè, sostiene, quanto per la devotissima moglie e le rispettosissime figlie. Dal momento, quindi, che si vergogna della povertà che infligge loro, Crawley sta ben attento a non aggravare la propria posizione accettando aiuti, prestiti, offerte di collaborazione e di difesa: e la moglie deve far entrare di nascosto in casa il cesto di viveri che le regala l'amica, e il parente avvocato studiare tutta una strategia che permetta al brav'uomo di accettare una difesa nel caso si arrivi al processo, e il vecchio amico presentarsi a casa sua vestito del suo abito peggiore, e via di seguito.
Ma non basta, perchè Crawley deve dimostrare a tutti la propria povertà e la propria coerenza: così, se il vescovo lo chiama nella cittadina vicina, lui si alza prima dell'alba per poter fare a piedi tutta la strada. Non andrà poi così perchè la moglie si ingegna a studiare un astuto sotterfugio perchè lui possa accettare una passaggio in calesse, ma non per questo il curato rinuncerà a fare quanta più fatica inutile possibile, per poi ammalarsi e fare stare tutti in pena.

In termini moderni, Crawley è un esimio testa di cazzo e riesce più volte ad esasperare perfino il lettore, oltre che i suoi amici e parenti. Eppure, Trollope è bravissimo nel disegnare l'animo contorto e tuttavia limpidissimo di questo esemplare zuccone: riesce a comunicarci tutta la sua assoluta convinzione di essere nel giusto, tutto quell'arido eppure intoccabile rigore nell'aderire a principi assurdi, tutta quella voluta eppure reale cecità di fronte alla fatica supplementare che fanno gli altri per volergli bene nonostante. Si richiama a concetti come l'onestà e il dovere, ma anche ad altri come l'autonomia e il rispetto, senza accorgersi di quanto la loro somma diventi del tutto ingestibile in una dinamica di affetti qual è quella da cui è circondato nonostante se stesso.
Quando, per il proprio irrinunciabile orgoglio, è disposto a mandare all'aria perfino il matrimonio della figlia con il classico ( e benestante) bravissimo ragazzo, vien proprio da esclamare "ah, no, basta, che stronzo!" : ma un po' di pagine dopo non si può non esultare e non aver voglia di abbracciarlo quando, finalmente, la spinosa vicenda a suo carico si risolve.

Insomma, Trollope è bravissimo - grazie anche al fatto di non dedicare il minimo pensiero a una narrazione sintetica - a disegnare le contraddizioni umane, di cui Crawley diventa la massima espressione: e se si ha la pazienza di leggerlo nella sua ponderosità si possono fare molte riflessioni su Tizio e su Caio che, to', sembrano proprio il Maggiore Grantly o John Eames.
Ma, appunto, è proprio Crawley a suggerirci il maggior numero di pensieri, chè il suo atteggiamento non è così poco comune da risultarci alieno. Tutti abbiamo delle false modestie che si trasformano facilmente in orgogliosi quanto inutili puntigli, o addirittura sfoggiamo tutte queste virtù insieme, convinti di essere, noi e noi soli, nel giusto: quando invece non stiamo facendo altro che rendere la vita difficile a chi ci vuol bene e magari vorrebbe aiutarci in questa o quella contingenza. Spesso chiamamo queste cose indipendenza, o coraggio, quando invece sono più simili a presunzione e insicurezza, al voler dimostrare a tutti i costi ciò di cui noi stessi non siamo certi: io non mi curo della mia povertà, dice continuamente Crawley, e intanto fa in modo che nessuno possa dimenticarla neppure per un breve istante.
C'è chi è più Crawley e chi lo è meno: ma se non fosse improponibile il consigliare la lettura, oggi, di un libro di milletante pagine, bisognerebbe caldeggiarlo con forza per una salutare opera di autocoscienza.

CHI NON CERCA TROVA


Di traccia in traccia, cercando altro, sono finita prima sulla bellissima versione della Nuova Compagnia di Canto Popolare de La Palummella, un antico canto di libertà che fu proibito ma che il popolo continuò a cantare a bocca chiusa - e quello l'ho messo sul facciabuco - e poi su questa bellissima descrizione del mercato. 'Sendo che nella mia vita ho scritto anche una"Guida ai mercati" mi son mangiata le mani di non aver conosciuto la canzone all'epoca, tante sono le "voci" affascinanti che compaiono in questo testo. Chi vende (e compra) capelli, chi offre la testa del polpo o il veleno per gli scarafaggi,e chi salmodia la richiesta di elemosina. Non tutte, però, sono comprensibili a noi polentoni: ci sarà qualcuno che vuole scrivere nei commenti la tradu e la spiega?

venerdì, giugno 18, 2010

TERRE ALTE





Be', dispiace non raccontare gli Orti.
Intanto perchè se ne stanno lassù, vicino al cielo: ancora più in alto di loro c'è il ponte dell'autostrada, è vero, ma sembra messo lì per incorniciare la vista del mare là in fondo. Nella malridotta Liguria - che in quindici anni ha aumentato del 45% la propria superficie cementificata - la Vesima si è salvata, mi dicono,m grazie a un proprietario che non vuole vendere ed è una specie di tuffo nel tempo: la strada si arrampica su per fare passare giusto una macchina e poi muore lì, in mezzo a un disordinato profumo di mediterraneo che scende dai viottoli in mezzo al verde.
Ad aspettarci c'è la Cantadina, cappello di paglia, timpani nepalesi, chitarra e flauto: "per il primo pezzo di strada, che è in discesa, cantiamo. poi diventa salita e allora suono il flauto, va bene?" E come no, alla mia antica anima fricchettona non par vero di potersi divertire ancora un po'. Si canta Zena Bruxia, ma poi il sentiero diventa più impervio, proprio da lì, dalla barca abbandonata a venti chilometri del mare e che sembra starci benissimo.
Scivolando e facendo un po' di ironia sui sentieri che "ci dispiace, è piovuto, sono un po' disagevoli" si arriva agli Orti, che sono... be', commoventi è la parola giusta. Non perchè sembrino in qualche modo patetici, anzi, ma perchè la loro vita ordinata eppure non costretta, le macchie di colore create dalla paglia e dai fiori, "l'albero dei miracoli" e la cura non solo dell'aspetto produttivo ma anche di quello umano ed estetico riescono a dare l'impressione di essere in quei giardini che esistono solo nelle menti dei bambini.
Ci siamo stati tutti, in quei giardini lì dove un fiore era già un albero e gli aghi di pino una zuppa istantanea, e gli Orti Sinergici della Vesima riescono a riportarci proprio là.
Ecco, lo so che questo non dovrebbe essere il punto importante: chè l'aspetto più interessante dovrebbe essere il metodo, quello delle collinette di paglia che producono quanto l'aspro sudore della fronte, quel metodo che persone davvero serie e motivate si sono studiate per bene, prendendo appunti delle precise spiegazioni dei militanti di "Terra" che hanno creato e curano gli Orti Sinergici.
Ma io l'orto non ce l'ho, e anche il biobalcone dopo il trasloco si è ridotto alle aromatiche, ai fiori per le api e a una calla, perciò mi sono lasciata traviare dalla bellezza infantile del tutto, coronata dalla merenda di fragole. E' proprio vero che un orto fa bene all'animo prima ancora che al corpo.

giovedì, giugno 17, 2010

FINITA!

La traduzione, of course. Ma non ero più tanto abituata al duro lavoro.



(Per fortuna, il mio socio KGgB è andato avanti imperturbabile)

lunedì, giugno 14, 2010

GITA AGLI ORTI












Immersa fino al collo in una traduzione che rischia pesantemente di essere fuori tempo massimo, non ho più tempo nè mente per il blog, però mi piace postare un paio di foto della gita agli Orti Sinergici di Terra, in quel di Vesima.
Che magari poi riuscirò anche a spiegare cosa sono: per il momento, sappiate che se il Grande Cocomero è ancora per l'aere a cercare Orti Sinceri, alla Vesima ci andrà di sicuro.

venerdì, giugno 11, 2010

ARSENICO E VECCHI PROGETTI


Una cosa condivido con Umberto Eco: nè io nè lui siamo di periodo breve. In virtù di questa affinità, mi sento tutta confortata quando, per di più, mi dà anche ragione: non più tardi di ieri si nominava il golpe, con l'uomo barbuto, e io sostenevo che l'attuale governo non ne ha alcun bisogno, che il golpe è già questo.
Anche l'Umbertoeco dice la stessa cosa e quindi non aggiungo parola: mi limito a fare copincolla delle sue, qui come anche sul facciabuco
.

Umberto Eco: "A piccoli passi verso il regime"

Le norme sulle intercettazioni. Il controllo dei tg della tv pubblica. E prima il lodo Alfano, i tagli alla scuola... Berlusconi trasforma le istituzioni un passo dopo l'altro, con lentezza. Perché i cittadini assorbano i cambiamenti come naturali. Così al colpo di Stato si è sostituito lo struscio di Stato

È nota la definizione della democrazia come sistema pieno di difetti ma di cui non si è ancora trovato nulla di meglio. Da questa ragionevole assunzione discende, per la maggior parte della gente, la convinzione errata che la democrazia (il migliore o il meno peggio dei sistemi di governo) sia quello per cui la maggioranza ha sempre ragione. Nulla di più falso. La democrazia è il sistema per cui, visto che è difficile definire in termini qualitativi chi abbia più ragione degli altri, si ricorre a un sistema bassamente quantitativo, ma oggettivamente controllabile: in democrazia governa chi prende più consensi. E se qualcuno ritiene che la maggioranza abbia torto, peggio per lui: se ha accettato i principi democratici deve accettare che governi una maggioranza che si sbaglia.

Una delle funzioni delle opposizioni è quella di dimostrare alla maggioranza che si era sbagliata. E se non ce la fa? Allora abbiamo, oltre a una cattiva maggioranza, anche una cattiva opposizione. Quante volte la maggioranza può sbagliarsi? Per millenni la maggioranza degli uomini ha creduto che il sole girasse intorno alla terra (e, considerando le vaste aree poco alfabetizzate del mondo, e il fatto che sondaggi fatti nei paesi più avanzati hanno dimostrato che moltissimi occidentali ancora credono che il sole giri) ecco un bel caso in cui la maggioranza non solo si è sbagliata ma si sbaglia ancora. Le maggioranze si sono sbagliate a ritenere Beethoven inascoltabile o Picasso inguardabile, la maggioranza a Gerusalemme si è sbagliata a preferire Barabba a Gesù, la maggioranza degli americani sbaglia a credere che due uova con pancetta tutte le mattine e una bella bistecca a pasto siano garanzie di buona salute, la maggioranza si sbagliava a preferire gli orsi a Terenzio e (forse) si sbaglia ancora a preferire "La pupa e il secchione" a Sofocle. Per secoli la maggioranza della gente ha ritenuto che esistessero le streghe e che fosse giusto bruciarle, nel Seicento la maggioranza dei milanesi credeva che la peste fosse provocata dagli untori, l'enorme maggioranza degli occidentali, compreso Voltaire, riteneva legittima e naturale la schiavitù, la maggioranza degli europei credeva che fosse nobile e sacrosanto colonizzare l'Africa.


In politica Hitler non è andato al potere per un colpo di Stato ma è stato eletto dalla maggioranza, Mussolini ha instaurato la dittatura dopo l'assassinio di Matteotti ma prima godeva di una maggioranza parlamentare, anche se disprezzava quell'aula «sorda e grigia». Sarebbe ingiusto giocare di paradossi e dire dunque che la maggioranza è quella che sbaglia sempre, ma è certo che non sempre ha ragione. In politica l'appello alla volontà popolare ha soltanto valore legale ("Ho diritto a governare perché ho ricevuto più voti") ma non permette che da questo dato quantitativo si traggano conseguenze teoriche ed etiche ("Ho la maggioranza dei consensi e dunque sono il migliore").

In certe aree della Sicilia e della Campania i mafiosi e i camorristi hanno la maggioranza dei consensi ma sarebbe difficile concluderne che siano pertanto i migliori rappresentati di quelle nobilissime popolazioni. Recentemente leggevo un giornalista governativo (ma non era il solo ad usare quell'argomento) che, nell'ironizzare sul caso Santoro (bersaglio ormai felicemente bipartisan), diceva che costui aveva la curiosa persuasione che la maggioranza degli italiani si fosse piegata di buon grado a essere sodomizzata da Berlusconi. Ora non credo che Berlusconi abbia mai sodomizzato qualcuno, ma è certo che una consistente quantità di italiani consente con lui senza accorgersi che il loro beniamino sta lentamente erodendo le loro libertà. Erodere le libertà di un paese significa di solito mettere in atto un colpo di Stato e instaurare violentemente una dittatura. Se questo avviene, gli elettori se ne accorgono e, se pure non hanno la forza di zione di colpo di Stato che è con lui cambiata. Al colpo di Stato si è sostituito lo struscio di Stato. All'idea di una trasformazione delle strutture dello Stato attraverso l'azione violenta il genio di Berlusconi è stato ed è quello di attuarle con estrema lentezza, passettino per passettino, in modo estremamente lubrificato.

Pensate alla inutile violenza con cui il fascismo, per fare tacere la voce scomoda di Matteotti, ha dovuto farlo ammazzare. Cose da medioevo. Non sarebbe bastato pagargli una buona uscita megagalattica (e tra l'altro non con i soldi del governo ma con quelli dei cittadini che pagano il canone)? Mussolini era davvero uomo rozzissimo. Quando una trasformazione delle istituzioni del Paese avviene passo per passo, e cioè per dosi omeopatiche, è difficile dire che ciascuna, presa di per sé, prefiguri una dittatura - e infatti quando qualche cassandra lo fa viene sbertucciata. Il fatto è che per un nuovo populismo mediatico la stessa dittatura è un sistema antiquato che non serve a nulla. Si possono modificare le strutture dello Stato a proprio piacere e secondo il proprio interesse senza instaurare alcuna dittatura.

Si può dire che il lodo Alfano prefiguri una tirannia? Sciocchezze. E calmierare le intercettazioni attenta davvero alla libertà d'informazione? Ma suvvia, se qualcuno ha delitto lo sapranno tutti a giudizio avvenuto, e l'evitare di parlare in anticipo di delitti solo presunti rispetta se mai la privatezza di ciascuno di noi. Vi piacerebbe che andasse sui giornali la vostra conversazione con l'amante, così che lo venisse a sapere la vostra signora? No, certo. E se il prezzo da pagare è che non venga intercettata la conversazione di un potente corrotto o di un mafioso in servizio permanente effettivo, ebbene, la nostra privatezza avrà bene un prezzo. Vi pare nazifascismo ridurre i fondi per la scuola pubblica? Ma dobbiamo risparmiare tutti, e bisogna pur dare l'esempio a cominciare dalle spese collettive. E se questo consegna il paese alle scuole private? Non sarà la fine del mondo, ce ne sono delle buonissime. È stalinismo rendere inguardabili i telegiornali delle reti pubbliche? No, se mai le vecchie dittature facevano di tutto per rendere la radio affettuosissima. Ma se questo va a favore delle reti private? Beh, vi risulta che Stalin abbia mai favorito le televisioni private?

Ecco, la funzione dei colpi di Stato striscianti è che le modificazioni costituzionali non vengono quasi percepite, o sono avvertite come irrilevanti. E quando la loro somma avrà prodotto non la seconda ma la terza Repubblica, sarà troppo tardi. Non perché non si potrebbe tornare indietro, ma perché la maggioranza avrà assorbito i cambiamenti come naturali e si sarà, per così dire, mitridatizzata. Un nuovo Malaparte potrebbe scrivere un trattato superbo su questa nuova tecnica dello struscio di Stato. Anche perché di fronte a essa ogni protesta e ogni denuncia perde valore provocatorio e sembra che chi si lamenta dia corpo alle ombre.

Pessimismo globale, dunque? No, fiducia nell'azione benigna del tempo e della sua erosione continua. Una trasformazione delle istituzioni che procede a piccoli passi può non avere tempo per compiersi del tutto, a metà strada possono avvenire smandrappamenti, stanchezze, cadute di tensione, incidenti di percorso. È un poco come la barzelletta sulla differenza tra inferno tedesco e inferno italiano. In entrambi bagno nella benzina bollente al mattino, sedia elettrica a mezzogiorno, squartamento a sera. Salvo che nell'inferno italiano un giorno la benzina non arriva, un altro la centrale elettrica è in sciopero, un altro ancora il boia si è dato malato… Tagliare la testa al re o occupare il Palazzo d'Inverno è cosa che si fa in cinque minuti. Avvelenare qualcuno con piccole dosi d'arsenico nella minestra prende molto tempo, e nel frattempo chissà, vedrà chi vivrà. Per il momento, resistere, resistere, resistere.


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/noi-contro-la-legge/2127975

mercoledì, giugno 09, 2010

BARNUM COUNTRY

mah, che dire? non ho mai amato il circo e i pagliacci, poi, li ho sempre trovati patetici, irritanti, da vergognarmi per loro.
"L'effetto comico di una rappresentazione con pagliacci (che ha dato nome alla pagliacciata teatrale) è generato dal contrasto di queste due figure. L'uno (il bianco) autoritario, severo, preciso, in grado di fare (il suo costume tradizionale lo vuole vestito di bianco e col cappello a punta); l'altro (l'augusto) incapace, pasticcione e stralunato (abiti fuori misura e scarpe giganti).": così ci dice Wiki sul tema.

Il nostro ineffabile nano, però, riesce a comprendere in sè - come sempre, del resto - entrambi i ruoli: vittima eppure efficientissimo, di grassa comicità eppure impettito che pare una delle sue beneamate antenne, rutilante come un naso rosso ma ferocemente autoritario. Questo doppio concentrato di clownerie si è prodotto ieri in uno dei suoi show più esagitati, sparacchiando a destra e a manca con il suo fucilino a tappi - no, be', il suo fucilino a tappi riguarda le escort, ma lui ogni tanto non disdegna i succedanei che la politica gli può dare, in fatto di soddisfazioni. Così si è lanciato toccando mille temi, del rinnovo del contratto Rai - "ti parlo in qualità di ministroooo, esci da quel corpo, Giuditta, e lasciami tutta la pubblicità...!"- al suo volere che le Camere dovrano rispettare, fino ad arrivare al coup de theatre più grandioso, quello che contiene anche l'errore grammatical/sintattico che fa tanto popular : "... Appena vanno in Abruzzo gli saltano addosso, qualcuno con la mente fragile rischia che gli spari in testa". Un soggetto, nano, un soggetto!
Ah, già, il Soggetto può essere uno solo, Lui: ma almeno i complementi, suvvia.
E intanto che noi ci si diverte con i rumori osceni dalla bocca e con il fiore all'occhiello che schizza merda, là dietro, sulla pista rimasta discretamente quasi al buio, cambia la scena: stanno per entrare leoni e bestie feroci, di cui finora si sentivano solo i ruggiti. Fini giocolieri danno una mano al doppio clown e la manovra, oplà, eccola riuscita: gli spettatori si ritorvano imbavagliati, mentre orologi e portafogli che erano nelle loro tasche dondolano nella mani del clown e dei suoi aiutanti.


Chi ha letto
"La famiglia Winshaw", chi ha visto "Full Monty" o altri corrosivi film inglesi sugli anni '80, chi ha potuto rendersi conto, anche da lontano, della trasformazione della Gran Bretagna sotto il pugno della Tatcher non può non fare il parallelo con ciò che sta accadendo da noi. Per riassumere in una sola frase, lo sfascio generalizzato che prelude alla svendita ancor più generale è un passaggio richiesto dalle multinazionali, dal neoliberismo.
Qui procede a rilento: ci vuole il suo tempo per prendere accordi sulla spartizione del bottino. E la cecità - vera o finta? - della politica italiana ( pd compreso ) è quella di non comprendere che il mondo nel frattempo ha cambiato rotta, o sta cercando di farlo almeno da Obama in poi.
Non che le multinazionali siano diventate più buone: ma c'è chi ha capito che ci sono anche altre forze, altri modi, altri business, più promettenti per il futuro.
Ma a chi ci governa il futuro non potrebbe importare di meno, e chi
non ci governa ne ha altrettanta pau
ra: da anni sono convinta che la politica del Pd abbia fra i suoi fondamenti attuali l'obiettivo di lasciar compiere ad altri il passaggio alla privatizzazione, alla svendita, alla distruzione dello stato sociale, per poter quindi ereditare una situazione già sedata, acquiescente. Non è un segreto che che quella specchiata persona che è Tony Blair sia un modello per buona parte del Pd.
E quindi, avanti così.
Ma, perdio, che ci tocchi sorbirci anche tutta la vergogna dello spetazzare continuo del clown... corpo, ma saremo sfigati, neh?

lunedì, giugno 07, 2010

E' STATE?



Be', è andata così che avevo fatto il mio bel programmino da inizio estate, più o meno quei dieci giorni durante i quali riesco a prendere il sole per un intero quarto d'ora.
Che poi l'estate arriva sulserioperdavvero e la caldazza mi spinge ad agitarmi alla ricerca del cappello, acqua, posizione, occhiali, qualcosa da leggere, un posto dove appoggiare l'acqua, un posto dove appoggiare qualcosa da leggere che non riesco a leggere, l'asciugamano anche se sono sul balcone e finalmente, finalmente... be', no, ecco, ormai non ne posso davvero più, sono passati ben cinque minuti, ormai sarò abbronzatissima, no?
Ma ora non è ancora così: ed essendo che la Casa nella Rocca è rivolta a est, e il sole essendoci quindi solo al mattino, mi ero fatta tutto un programma virtuoso dell'alzarmi a un'ora che per me è quasi alba, infilarmi un prendisole e spaparanzarmi sulla sdraio, che in fondo è quasi come non alzarsi con il vantaggio che sembra però di non buttare via il tempo.

Va bene, lo so che avete già capito: sì, la colpa è mia e del mio programma se è tornato l'autunno. Va sempre a finire così, anno dopo anno.
Ma io e i piccoli di gabbiano non è che ci disperiamo, a noi l'autunno non dispiace affatto. Di me lo so per certo, e direi anche a loro perchè oggi, per la prima volta, se ne sono andati in giro sul tetto per un sacco di tempo: il fratèl pirlotta rimane più in basso, scivolando vieppiù se le tegole sono bagnate, invece il maggiore si è spinto fino in cima e frugava perfino fra i coppi sconnessi, evidentemente già in grado di cercare il cibo. Camminano ancora un po' instabili sulle zampe già lunghe, e danno l'impressione di borbottare tenendo le mani dietro le schiena: ma sono grigi su sfondo grigio - tetti o scogli, il mimetismo funziona benissimo - e fra lo zoom e il blog non credo che le foto vi dicano granchè. Ma eccole lo stesso.

sabato, giugno 05, 2010

ERA RIMASTO NELLE BOZZE...

...ma sarebbe un peccato lasciarlo lì.



Questa sera, solo un bellissimo barbagianni rubato al concorso Wwf-Repubblica.

giovedì, giugno 03, 2010


Non ho mai postato racconti miei - soprattutto perchè in genere li perdo, lo facevo quando erano cartacei e continuo a farlo or che sono informatici: infatti questo qui l'ho ritrovato frugando nel mac, che ogni tanto anche lì bisogna fare le pulizie di primavera.

Ella è leggiadra, ma ancor sì leggera da cedere al trasporto. Meco potrò condurla fin su le vette, o negli abissi se me ne verrà garbo, ch'ella non si adonterà, nè patirà offesa e neppure si opporrà, cedevole e morbida al mio tocco, segreta nelle sue capacità e ricca, oh, mio dio, quanto ricca assai di bell'aspetto e di grazie, e del fascino che seduce ogni persona, sia esso uomo o donna, o ancorché creatura degli inferi e dell'empireo perfino.

Accetterà in silenzio le mie carezze e sarà pronta al mio volere, accoglierà in sè le mie mani voraci e frenetiche, le mie oscure necessità e le voglie più riposte, quelle che si consumano tacitando la propria coscienza.

Custodirà i segni delle mie passioni, le ferite che ad altri nascondo, le chiavi degli oscuri recessi e delle luminose gioie, i garbati messaggi amorosi e i più inverecondi insulti, senza mai venir meno alla sua beltà. Potrò svuotarla d'ogni cosa, affinchè ella si mostri a me nuda nella sua purezza che nessun bisogno ha di vani orpelli, potrò, sì, una gioia selvaggia mi coglie al pensiero, potrò possederla, farla infine mia per sempre. Potrò rinchiuderla, e vivaddio legarla e negarla, se mi così mi piacerà. Potrò far scorrere le mie unghie rapaci sulla sua pelle, afferrarla come s'ella fosse pura cosa e da infame, quando mi parrà che il mondo che mi volga le spalle, con un sol gesto la butterò sulla mia alcova e lei mi aspetterà, prona ai miei capricci.

Se mi coglierà il furore della gelosia, o se dovessi temere l'invidia che il suo aspetto e la sua casata accendono, se mi accecherà il timore per la fragilità ch'ella dimostra, obliando in me la coscienza della sua forza, la nasconderò agli occhi del mondo, ch'ella non ne patirà, grata del mio amore che non scomparirà pur nell'oblio di subitanee vaghezze.

E se me ne coglierà il desìo potrò essere crudele con lei: abbandonarla per altre più fresche e minute, dimenticarla nel furore di nuove passioni. A lei tornerò infine, l'animo mio ne è certo, ch'ella acquisterà beltà negli anni, rivelando così la sua nobile nascita. Ma se conosco il mio più oscuro essere, sarò più facilmente preda di quel tarlo che mi spinge a far mostra di ciò che posso usare a mio piacimento: lei sarà al mio fianco, perfetta, come una schiava felice di esserlo, nè la offenderà la mia apparente noncuranza, chè piuttosto se ne sentirà onorata, intuendo in essa lo stratagemma per mettere in risalto il suo fulgore. Il nome stesso è una promessa, nell'allungarsi delle labbra come per baciare: Plume, ti voglio.


(Ebbene sì, me ne avevano chiesti due - questo è quello che non hanno scelto - per una famosa e inarrivabile marca di borse : si campa anche così ed è sempre meglio che fare l'annusatore di ascelle.)

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Non ho più trovato niente di bello, da postare.
Non una foto, nè un video o una poesia, e nemmeno una nuvola sul monte o una citazione, la foto di un albero o il racconto di qualcosa di piacevole.
Il perchè, non lo so: non sono mancate nè nuvole nè belle foto, nè momenti dolci nè pensieri, nè incontri nè letture.
Eppure.
Io credo che sia la
stupidità della cattiveria - o, ancor più, il contrario - a rendermi mutola per un po'. Mi succede sempre più spesso, come un lutto di parole e comunicazione umana.

sabato, maggio 29, 2010

COSE BUONE DAL MONDO


Come forse vi sarete accorti, voi tre e mezzo affezionati lettori, la fotografia è l'ultima delle mie passioni. Sto perfino quasi seguendo un quasi corso: io arrivo lì con la mia piccolissima, fantastica Lumix ("la più bella delle compatte", dice il quasi maestro Andrea) e me ne sto in un angolino a guardare come si incasinano gli altri con le loro megagalattiche reflex, ma questa è come al solito un'altra storia.

La storia di oggi, invece, l'ho trovata sul blog di Repubblica tenuto
da Michele Smargiassi e dedicato appunto alla fotografia: racconta di fotografi professionisti che, riuniti in un'associazione internazionale ma agendo in modo autonomo, regalano un ritratto a chi non si potrebbe mai permettere una foto migliore di una squallida fototessera.
Immigrati, homeless, ospiti delle case di riposo o di altre strutture di accoglienza... persone, insomma, il cui senso di identità è spesso vacillante diventano protagonisti di una seduta di posa in cui non vengono usati per documentare nulla, ma semplicemente fotografati al loro meglio.
Il video, qui sotto, che documenta alcune iniziative di Help Portrait , è commovente: "Fotografare, nella nostra cultura, almeno fino a quando l’ubiquità dei fotofonini non avrà demolito anche questo, è attribuire valore - scrive Smargiassi - Ti fotografo, dunque ti trovo interessante, bello, degno di essere guardato. Il dono vero è questo, più che la consegna materiale, qualche giorno dopo, del ritratto ben stampato e incorniciato."
Com'è ovvio, l'associazione si è data regole per evitare che i ritratti possano deviare in un qualsiasi sfruttamento commerciale, ma anche così non mancano le polemiche: chi è senza una casa, si rimprovera in sostanza a Help Portrait, certamente non ha come prima necessità una foto.
C'è del buon senso nell'obiezione, ma qualche volta il buon senso è grigio e finisce per perdere di vista le cose importanti della vita.
La mia generazione, che aveva storie e storiazze della Seconda Guerra Mondiale ancora relativamente vicine, ha fatto in tempo a sentirsi raccomandare il "mantenere la propria dignità in ogni occasione" , così come si diceva che facessero gli inglesi presi prigionieri dai nazisti, facendo ginnastica tutti i giorni nella cella due metri per due.
Aspetto fisico e fermezza d'animo venivano a coincidere, senza che però ci fosse ancora tutta la contaminazione commerciale che è venuta in seguito e che ha trasformato la piacevolezza estetica umana in paranoia. Anche così, fu il '68 a mettere in discussione quell'idea di dignità: nella quotidiana vita borghese finiva infatti per trasformarsi spesso in ipocrisia dell'apparenza, in tirannia dell'aspetto "ordinato e perbene" senza il quale non si poteva presentarsi al mondo. E, benchè quell'idea e quella tirannia si siano fortunamente modificate e stravolte e frantumate, da allora, uno dei modi più sicuri per riconoscere le persone che la vita ha duramente manganellato rimane ancora oggi quello dell'aspetto, di quel porgersi agli altri a cui non si riconosce più valore perchè non si riesce più a dar valore a se stessi. Ecco allora che un ritratto fatto come si deve, con tanto di luci e trucco discreto e scatti professionali, diventa l'equivalente della ginnastica degli ufficiali inglesi: non fa miracoli, ma aiuta a conservare o a ritrovare, il rispetto di sè, un aspetto troppo spesso trascurato anche da chi ha buone intenzioni. E che a volte, quello sì, può fare miracoli.


giovedì, maggio 27, 2010

FIOCCO BIANCO



Dopo un paio di mesi in cui si svolgevano feroci diatribe aeree - gabbiani contro gabbiani, gabbiani contro gazze, gabbiani contro umani, per fortuna mai sanguinose - che ci avevano fatto sospettare la presenza del nido, ecco la conferma: un pulcinotto grigio in bilico sulle tegole ancor più grigie di lui.
E' stato lì per un po', quasi mimetico, poi ha preso ad avanzare cautamente, dondolando sui piedi piatti, e si è affacciato al cornicione. Scrutava in giro curioso, poi ha berciato con una buffa vocetta acuta: dietro di lui è arrivato, con calma, anche il fratèl pirlotta, che dondolava ancora di più e che si è subito nascosto dietro il protettivo muretto, per evitare un attacco di vertigini.

Adesso aspettiamo i tentativi di volo, cercando di non avere la macchina fotografica scarica, come oggi.

martedì, maggio 25, 2010

METTIAMOCI A VENTO

Sì, lo so, manca più di un mese al quarantennale del 30 giugno, ma gira per l'aere il discorso che Sandro Pertini tenne il 28 giugno 1960 per rispondere alla provocazione del congresso che i missini volevano tenere in città - e che, come tutti i genovesi sanno, fu infatti impedito grazie alla sollevazione popolare.
Splendidamente retoriche e profondamente sincere, a leggerle oggi queste parole non fanno venire solo nostalgia: anche se solo per poco, in mezzo alla generale follia in cui è caduta perfino l'A.n.p.i. di Roma che non ha aderito alle proteste per il recente corteo dei fascipiùfasci, sono parole che restituiscono il senso vero delle cose, il nocciolo vero della nostra democrazia e del rispetto della nostra Costituzione. Che non è affatto quello di difendere i presunti diritti di chi, una volta ottenuto il permesso di parlare, lo usa per impedire agli altri perfino di pensare.


Gente del popolo, partigiani e lavoratori, genovesi di tutte le classi sociali. Le autorità romane sono particolarmente interessate e impegnate a trovare coloro che esse ritengono i sobillatori, gli iniziatori, i capi di queste manifestazioni di antifascismo.
Ma non fa bisogno che quelle autorità si affannino molto: ve lo dirò io, signori, chi sono i nostri sobillatori: eccoli qui, eccoli accanto alla nostra bandiera: sono i fucilati del Turchino, della Benedicta, dell'Olivetta e di Cravasco, sono i torturati della casa dello Studente che risuona ancora delle urla strazianti delle vittime, delle grida e delle risate sadiche dei torturatori.
Nella loro memoria, sospinta dallo spirito dei partigiani e dei patrioti, la folla genovese è scesa nuovamente in piazza per ripetere "no" al fascismo, per democraticamente respingere, come ne ha diritto, la provocazione e l'offesa.
Io nego - e tutti voi legittimamente negate - la validità della obiezione secondo la quale il neofascismo avrebbe diritto di svolgere a Genova il suo congresso. Infatti, ogni atto, ogni manifestazione, ogni iniziativa, di quel movimento è una chiara esaltazione del fascismo e poiché il fascismo, in ogni sua forma è considerato reato dalla Carta Costituzionale, l'attività dei missini si traduce in una continua e perseguibile apologia di reato. Si tratta del resto di un congresso che viene qui convocato non per discutere, ma per provocare, per contrapporre un vergognoso passato alla Resistenza, per contrapporre bestemmie ai valori politici e morali affermati dalla Resistenza.
Ed è ben strano l'atteggiamento delle autorità costituite le quali, mentre hanno sequestrato due manifesti che esprimevano nobili sentimenti, non ritengono opportuno impedire la pubblicazione dei libelli neofascisti che ogni giorno trasudano il fango della apologia del trascorso regime, che insultano la Resistenza, che insultano la Libertà.
Dinanzi a queste provocazioni, dinanzi a queste discriminazioni, la folla non poteva che scendere in piazza, unita nella protesta, né potevamo noi non unirci ad essa per dire no come una volta al fascismo e difendere la memoria dei nostri morti, riaffermando i valori della Resistenza.

Questi valori, che resteranno finché durerà in Italia una Repubblica democratica sono: la libertà, esigenza inalienabile dello spirito umano, senza distinzione di partito, di provenienza, di fede. Poi la giustizia sociale, che completa e rafforza la libertà, l'amore di Patria, che non conosce le follie imperialistiche e le aberrazioni nazionalistiche, quell'amore di Patria che ispira la solidarietà per le Patrie altrui. La Resistenza ha voluto queste cose e questi valori, ha rialzato le glorie del nostro nuovamente libero paese dopo vent'anni di degradazione subita da coloro che ora vorrebbero riapparire alla ribalta, tracotanti come un tempo. La Resistenza ha spazzato coloro che parlando in nome della Patria, della Patria furono i terribili nemici perché l'hanno avvilita con la dittatura, l'hanno offesa trasformandola in una galera, l'hanno degradata trascinandola in una guerra suicida, l'hanno tradita vendendola allo straniero.


Noi, oggi qui, riaffermiamo questi principi e questo amor di patria perché pacatamente, o signori, che siete preposti all'ordine pubblico e che bramate essere benevoli verso quelli che ho nominato poc'anzi e che guardate a noi, ai cittadini che gremiscono questa piazza, considerandoli nemici della Patria, sappiate che coloro che hanno riscattato l'Italia da ogni vergogna passata, sono stati questi lavoratori, operai e contadini e lavoratori della mente, che noi a Genova vedemmo entrare nelle galere fasciste non perché avessero rubato, o per un aumento di salario, o per la diminuzione delle ore di lavoro, ma perché intendevano battersi per la libertà del popolo italiano, e, quindi, anche per le vostre libertà.
E' necessario ricordare che furono quegli operai, quegli intellettuali, quei contadini, quei giovani che, usciti dalle galere si lanciarono nella guerra di Liberazione, combatterono sulle montagne, sabotarono negli stabilimenti, scioperarono secondo gli ordini degli alleati, furono deportati, torturati e uccisi e morendo gridarono "Viva l'Italia", "Viva la Libertà". E salvarono la Patria, purificarono la sua bandiera dai simboli fascista e sabaudo, la restituirono pulita e gloriosa a tutti gli italiani.
Dinanzi a costoro, dinanzi a questi cittadini che voi spesso maledite, dovreste invece inginocchiarvi, come ci si inginocchia di fronte a chi ha operato eroicamente per il bene comune.

Ma perché, dopo quindici anni, dobbiamo sentirci nuovamente mobilitati per rigettare i responsabili di un passato vergognoso e doloroso, i quali tentano di tornare alla ribalta?
Ci sono stati degli errori, primo di tutti la nostra generosità nei confronti degli avversari. Una generosità che ha permesso troppe cose e per la quale oggi i fascisti la fanno da padroni, giungendo a qualificare delitto l'esecuzione di Mussolini a Milano. Ebbene, neofascisti che ancora una volta state nell'ombra a sentire, io mi vanto di avere ordinato la fucilazione di Mussolini, perché io e gli altri, altro non abbiamo fatto che firmare una condanna a morte pronunciata dal popolo italiano venti anni prima.
Un secondo errore fu l'avere spezzato la solidarietà tra le forze antifasciste, permettendo ai fascisti d'infiltrarsi e di riemergere nella vita nazionale, e questa frattura si è determinata in quanto la classe dirigente italiana non ha inteso applicare la Costituzione là dove essa chiaramente proibisce la ricostituzione sotto qualsiasi forma di un partito fascista ed è andata più in là, operando addirittura una discriminazione contro gli uomini della Resistenza, che è ignorata nelle scuole; tollerando un costume vergognoso come quello di cui hanno dato prova quei funzionari che si sono inurbanamente comportati davanti alla dolorosa rappresentanza dei familiari dei caduti.

E' chiaro che così facendo si va contro lo spirito cristiano che tanto si predica, , contro il cristianesimo di quegli eroici preti che caddero sotto il piombo fascista, contro il fulgido esempio di Don Morosini che io incontrai in carcere a Roma, la vigilia della morte, sorridendo malgrado il martirio di giornate di tortura. Quel Don Morosini che è nella memoria di tanti cattolici, di tanti democratici, ma che Tambroni ha tradito barattando il suo sacrificio con 24 voti sudici voti neofascisti.
Si va contro coloro che hanno espresso aperta solidarietà, contro i Pastore, contro Bo, Maggio, De Bernardis, contro tutti i democratici cristiani che soffrono per la odierna situazione, che provano vergogna di un connubio inaccettabile.

Oggi le provocazioni fasciste sono possibili e sono protette perché in seguito al baratto di quei 24 voti, i fascisti sono nuovamente al governo, si sentono partito di governo, si sentono nuovamente sfiorati dalla gloria del potere, mentre nessuno trai responsabili, mostra di ricordare che se non vi fosse stata la lotta di Liberazione, l'Italia, prostrata, venduta, soggetta all'invasione, patirebbe ancora oggi delle conseguenze di una guerra infame e di una sconfitta senza attenuanti, mentre fu proprio la Resistenza a recuperare al Paese una posizione dignitosa e libera tra le nazioni. Il senso, il movente, le aspirazioni che ci spinsero alla lotta, non furono certamente la vendetta e il rancore di cui vanno cianciando i miserabili prosecutori della tradizione fascista, furono proprio il desiderio di ridare dignità alla Patria, di risollevarla dal baratro, restituendo ai cittadini la libertà.

Ecco perché i partigiani, i patrioti genovesi, sospinti dalla memoria dei morti sono scesi in Piazza: sono scesi a rivendicare i valori della Resistenza, a difendere la Resistenza contro ogni oltraggio, sono scesi perché non vogliono che la loro città, medaglia d'oro della Resistenza, subisca l'oltraggio del neofascismo.
Ai giovani, studenti e operai, va il nostro plauso per l'entusiasmo, la fierezza, il coraggio che hanno dimostrato. Finché esisterà una gioventù come questa nulla sarà perduto in Italia. Noi anziani ci riconosciamo in questi giovani. Alla loro età affrontavamo, qui nella nostra Liguria, le squadracce fasciste. E non vogliamo tradire, di questa fiera gioventù, le ansie, le speranze, il domani, perché tradiremmo noi stessi. Così, ancora una volta, siamo preparati alla lotta, pronti ad affrontarla con l'entusiasmo, la volontà la fede di sempre. Qui vi sono uomini di ogni fede politica e di ogni ceto sociale, spesso tra loro in contrasto, come peraltro vuole la democrazia. Ma questi uomini hanno saputo oggi, e sapranno domani, superare tutte le differenziazioni politiche per unirsi come quando l'8 settembre la Patria chiamò a raccolta i figli minori, perché la riscattassero dall'infamia fascista. A voi che ci guardate con ostilità, nulla dicono queste spontanee manifestazioni di popolo? Nulla vi dice questa improvvisa ricostituita unità delle forze della Resistenza? Essa costituisce la più valida diga contro le forze della reazione, contro ogni avventura fascista e rappresenta un monito severo per tutti. Non vi riuscì il fascismo, non vi riuscirono i nazisti, non ci riuscirete voi. Noi, in questa rinnovata unità, siamo decisi a difendere la Resistenza, ad impedire che ad essa si rechi oltraggio. Questo lo consideriamo un nostro preciso dovere: per la pace dei nostri morti, e per l'avvenire dei nostri vivi, lo compiremo fino in fondo, costi quello che costi.

ANIMALLY CORRECT


Dato sì che il millesimo post ha riscosso reazioni lusinghiere - su facciabuco e non qui, ma noi siamo mistotennologici, oièa - da milanesi e dintorni, oggi vado a sfrucugliare in casa loro e rubo dal Corriere la notizia del gigantesco sciame d'api che ha invaso piazza San Babila.
Un po' perchè sono stanca e volevo parlare di agricoltura biologica ma non è serata, un po' perchè le foto sono poche ma lasciano immaginare cosa doveva essere trovarsi in mezzo a migliaia di api.
Ma soprattutto perchè le notizie sempre più frequenti di animali di ogni tipo che "invadono i centri abitati" (così di solito viene descritto l'avvenimento) di solito registrano l'avvenimento come si potrebbe parlare di un'acquazzone, di una strana grandinata: e forse neanche, perchè sul clima il concetto che ne siamo responsabili almeno in parte è passato.
Degli animali, invece, si preferisce vedere ancora il lato curioso, pittoresco: tigri in mezzo ai villaggi, orsi nei pascoli, cervi in piscina fanno certamente sorridere o spaventare, ma forse sarebbe ora di dire che sono i nostri villaggi, pascoli, piscine a invadere sempre di più il loro territorio, a confondere le loro percezioni, a snaturare i loro istinti.
Dopo la campgana per il giornalismo non razzista nei confronti degli uomini, chissà se si potrebbe lanciare anche quella per diritti degli animali? Non fermerebbe la stupida e suicida crescita cementizia a cui il nostro governo sta per dare ancora una volta una mano a suon di condoni, ma almeno...

lunedì, maggio 24, 2010

UN MILLESIMO DI OTTIMISMO

Ci sono volte che questa città è non solo piena di cose da fare, ma piena di cose da fare visibili: allora i genovesi, siano o no doc, si dicono l'uno con l'altro: "Che casino c'è oggi! Sembra quasi una città" come se negli altri giorni ci fosse in giro solo la morte cicca.
E invece è già un po' che non è così, ma i genovesi, siano essi doc oppure no, ci mettono sempre un tot - un bel tot - ad accettare le novità. E tutti sanno che io non amo follemente questi luoghi che mi furono imposti quando ero piccola, però lo smisurato orgoglio dei genovesi, doc e meno doc, verso la loro città a volte sembra proprio giustificato.

Così la pensa anche Moni Ovadia, che sabato sera ha condiviso le sue "riflessioni sulla comicità" a palazzo Tursi e che ha esordito dicendo che qui, "nell'isola felice", è difficile rendersi conto di quanto imbarbarimento ci sia altrove. Moni Ovadia ha poi anche cantato due canzoni napoletane che credo avrebbero fatto la felicità del mio Amicodelcuore, ma questa è un'altra storia, così come è un'altra storia il piacere di sentire una persona che ragiona bene e in modo approfondito e riesce poi anche a far ridere con i suoi wiz che, come sottolinea lui stesso, sono parte integrante del ragionare.

Ma, per tornare alla città, la sala piena di gente ha annuito in modo invisibile nel sentirsi ricordare il privilegio e il merito di non essere ancora beceri come ormai troppi altri, ma di solito sembrano tutti scordarsene, forse per il piacere di esercitare il sacrosanto diritto al mugugno.
Eppure, per esempio: nel pomeriggio c'era la Fiera della Maddalena. La Maddalena è uno di quei posti di
Diagon Alley che secondo ove il guardo giri puoi essere affascinato o scappare, ma non mi addentro in spiegazioni e analisi.
Basti sapere che nella zona della Maddalena - che non è solo la via omonima - ci sono bar e locali dove nel pomeriggio c'era, pies, una festa all'aperto per un gruppo di persone stra-vestite come a Genova è difficile vedere, e un intero per quanto corto vicolo con almeno quindici prostitute al lavoro. Non c'è soluzione di continuità, girato appena un angolo eccoci da un mondo all'altro.

Nello stesso momento, poco oltre,
dentro il chiostro delle Vigne, gli amicici del Festival della Scienza facevano camminare i bambini sull'acqua, un'entusiasmante blasfemia a base di maizena: e lì, fra scivolate e urletti, grandi e piccini ricoperti di amido e manichetta dell'acqua, a un certo punto è arrivata la Sindaca. Qualcuno è andato a salutarla, qualcuno ha sbuffato, i più hanno continuato imperterriti chi a camminare nella vasca, chi a lavorare e chi a guardare i bambini: dal canto suo, lei non ha stretto la mano a nessuno, ha sorriso appena ed è rimasta ai margini della scena.
Sembrava una gara di genovesità, facciamo a chi è più scorbutico, e non si sa chi ha vinto.

Non gode di molte simpatie, la Marta, ma io sostengo che tutti i difetti che può avere (e ne ha) e le cose sbagliate che fa (e ne fa) non le costerebbero così tanto in termini di popolarità se non fosse donna. Perchè chi per caso crede che a sinistra non ci sia maschilismo non ha mai avuto contatti con la feroce misoginia della classe operaia (maschile) in un città di marinai (appunto) che costituiva la base del PCI e che ancora oggi ne mantiene alcune ferree qualità, buone e meno buone.
E però io pensavo della Marta, a vederla lì nel suo completino blu per niente d'ordinanza: va bene che il progetto di recupero della Maddalena l'ha voluto lei, va bene che non fa un granchè per accattivarsi le persone, va bene che per un genovese il centro storico è indissolubilmente legato alla presenza di prostitute e peggio, tanto che non ci si fa quasi caso, ma ecco io la Moratti che va a passeggio nei quartieri dell'hinterland, nelle zone peggiori di Milano, non so... succede?


Intanto c'erano i tamburi in giro per i vicoli, nella piazza principale c'erano i megastand della banca che faceva provare gli sport alla gente accanto a quelli dei fruttini di marzapane, gli umoristi a spasso per le vie dei Rolli e tutte le altre più minute attività di un sabato sera, che non sono ormai pochissime nonostante la proverbiale scarsa ospitalità genovese.
E ci son due particolari che mi sembrano dare il senso che qualcosa, in questa città, sta
funzionando ancora: uno è il numero di inaugurazioni che ho visto in questo periodo, tra cui una di una libreria in un quartiere popolare. Non è poco, di questi tempi, no?
L'altra è l'abbigliamento delle prostutite di cui sopra: che era, se così si può dire pur nell'osservanza dei criteri della loro corporazione, "decoroso". E mi par di ricordare che ci fosse stato un patto fra la categoria e il Comune, qualche anno fa, in cui rientrava appunto un certo bon ton delle puttane, in cambio della relativa tranquillità di poter lavorare in centro storico: ecco, magari mi sbaglio, ma fosse mai che il patto viene osservato? E, se è così, pare meglio delle multe e delle crociate.


Ecco, senza voler difendere in particolare la Marta e la sua giunta, che ci piacerebbe facessero di più e meglio, però ci sono volte che mi piacerebbe anche che ci si rendesse conto del positivo di questa città, di questa sindaca e di questa giunta,
nonostante il diritto al mugugno.

Ma siccome ci vuole sempre una scusa quando si cerca di essere ottimisti
- altrimenti di questi tempi ci sente comunque un po' idioti - sbandiero subito il mio alibi, che è quello del millesimo post di questo blog, giaggià proprio questo qui.

sabato, maggio 22, 2010

ERA ORA...


... che qualcuno ne parlasse: anche se non so chi è, anche se gira su Facebook come migliaia di altre cose senza importanza, mentre questa dovrebbe averne. Sì che abbiamo parecchio da pensare per conrto nostro, ma come si diceva un tempo "ogni lotta aiuta un'altra lotta": se non altro perchè è evidente che la strada imboccata dal governo greco è lì dietro l'angolo anche per noi.

C’era un tempo in cui sindacati, partiti di sinistra, o più semplicemente democratici, non mancavano mai di esprimere una solidarietà, sia pure solo verbale, con le lotte dei popoli di Paesi lontani, fossero gli operai polacchi di Solidarnosc o i sindacati del Cile in lotta contro la dittatura.

Sembra un millennio fa.

Oggi, se la Grecia brucia, l’auspicio condiviso è che qualcuno spenga l’incendio prima che bruci anche casa nostra. La campana suona sempre per gli altri, non suona mai anche per noi. Insieme alla solidarietà è sparita però anche ogni ricerca della verità e del senso degli eventi. Cosa altro vogliono i Greci, si dice, dopo il maxiprestito avuto?

Ma questo è il punto. Forse i Greci vogliono semplicemente la cosa che dovremmo volere anche noi. Vogliono mostrare la loro dignità. La grande attrice Irene Papas ha spiegato sinteticamente il senso di questo: Credevamo che qualcuno avesse rubato qualcosa. In realtà si erano presi tutto.

I Greci ricordano ai politici del mondo ( le Borse, o gli “speculatori”come si ama dire oggi, in modo sovietico, invece lo sanno da soli) che non basta imporre i sacrifici ai popoli, bisogna anche imporre ai governi le leggi che vincolino il loro operato per rendere difficili se non impossibili i futuri abusi del pubblico denaro.

Ricordano ai signori di Bruxelles e ai governi nazionali che non ci può essere potere senza responsabilità o responsabilità senza potere. Ricordano che l’ Europa “a geometria variabile”- in cui ognuno usa ciò che più gli fa comodo delle regole comuni- non ha nulla a che vedere con gli Stati Uniti d’Europa di Schuman, Monnet e Spinelli. E’ solo una versione aggiornata del Sacro Romano Impero germanico nella sua fase declinante. Quello che nel quindicesimo secolo in Italia serviva soltanto a legittimare- dietro pagamento- il potere dei vari tirannelli regionali. Ma non a garantire la pace. La sovranità dell’ UE non è oggi ancora la sovranità di un Parlamento rappresentativo- che svolge una secondaria funzione di controllo e di codecisione- ma è la sovranità a più teste di organismi come i Consigli europei e i Consigli dei Ministri- che non sono mai chiamati a rispondere di fronte all’ elettorato europeo. In questo modo la sovranità governante dei singoli Stati, grandi o piccoli, dopo aver dissestato le proprie finanze, può imporre ai propri cittadini il peso dei sacrifici per rientrare dal debito, avvalendosi della legittimazione “europea”, mentre nessuna sovranità comune europea può imporre ai governi ,oltre ai sacrifici, anche le strategie innovative che sono necessarie per promuovere l’economia dinamica e la società della conoscenza che lo stesso Consiglio Europeo ( Lisbona 2000) aveva stabilito.

I Greci, senza volerlo, senza rendersene conto, stanno combattendo questa anti- Europa dei finti europeisti. Sono i soli che oggi possono salvare il futuro possibile dell’ Europa politica, che non è la salvezza dell’euro,ma il superamento del deficit democratico.

Per questo mi sento dalla parte del popolo greco. Come cittadino italiano ma soprattutto come cittadino europeo.

Fonte: http://susannaambivero.blogspot.com/2010/05/io-sto-col-popolo-greco.html


Qualcosa, per la verità, c'è stato e non è giusto negarlo: c'è la già la censura a farci pensare che nessuno si muova, nessuno faccia niente.
Ma sarebbe anche sciocco negare che purtroppo, la censura in primis, più l'ignavia del PD e la scarsa capacità di comunicazione e mobilitazione della sinistra residua, hanno fatto sì che l'impressione generale sia quella del nulla. Su questo tema come su tutti gli altri.